Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25558 del 10/10/2019
Cassazione civile sez. I, 10/10/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 10/10/2019), n.25558
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23338-2018 proposto da:
P.D., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Ferrati e Luisa
Ranucci e presso lo studio di quest’ultima in Roma Piazza
dell’Unità n. 13 è elettivamente domiciliata, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui Uffici è elettivamente domiciliato in Roma, Via dei
Portoghesi 12;
– controricorrente –
Avverso il decreto del Tribunale di Milano, n. 3844 depositato il
17/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA
GIOVANNA SAMBITO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 17.7.2018, il Tribunale di Milano ha rigettato le istanze volte al riconoscimento della protezione internazionale, avanzate da P.D., cittadina cinese, la quale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese a causa delle persecuzioni inflitte dal governo nei confronti di chi, come essa richiedente, professa la fede cristiana protestante, denominata (OMISSIS) ((OMISSIS)). Il Tribunale ha ritenuto il racconto della straniera non credibile, ha anche escluso la situazione di violenza di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato e la sussistenza dei requisiti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di un motivo. L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col proposto ricorso, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 2, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 135 c.p.c., comma 6, art. 737 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per avere il Tribunale “posto a fondamento della decisione un fatto falso ovverossia avere riferito alla ricorrente dichiarazioni assolutamente incompatibili, da punto di vista sia logico che semantico, rispetto a quanto dalla stessa effettivamente dichiarato, su tale unica base pervenendo ad un giudizio di inverosimiglianza ed insufficienza delle dichiarazioni rese” da essa ricorrente.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Occorre premettere come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. da a) ad e) (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138). Tuttavia, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere, a suo carico, di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).
4. Nel caso in esame, il Tribunale ha diffusamente spiegato le ragioni, desunte dall’audizione della richiedente da parte della Commissione e dalla sua rinnovata audizione, atte a giustificare il mancato accoglimento delle proposte domande di protezione internazionale. In particolare, il Tribunale, dopo aver posto in evidenza la genericità del narrato, e l’assenza di sforzi per circostanziare la domanda, priva di dettagli riguardanti la conversione ed esposta in versione “standardizzata”, ha rimarcato la mancata esposizione dell’esperienza della vita interiore, per essere il racconto soprattutto incentrato a descrivere il momento della detenzione e le conseguenze inerenti all’adesione del culto vietato, ha ritenuto non verosimile che, in una situazione di forte intolleranza religiosa, si potessero verificare di nascosto riunioni di sessanta fedeli, e che la ricorrente non conoscesse i nomi dei pastori che avevano subito l’arresto.
5. Il ricorso, che riporta per intero le dichiarazioni rese dalla ricorrente, nonostante sia prospettato in termini di violazione di legge, tende, dichiaratamente, a modificare il significato che ne ha desunto il Tribunale (la versione dei fatti non sarebbe standardizzata, sarebbe circostanziata, esporrebbe le esperienze di vita interiore) significato ritenuto pure non coerente con quanto verbalizzato (sul numero dei fedeli presenti alle riunioni). In tal modo, la censura impinge direttamente nella valutazione di merito circa lo svolgersi della vicenda che avrebbe indotto la richiedente ad abbandonare il suo Paese, e tale valutazione, com’è nozione ricevuta, non è censurabile in sede di legittimità, non potendo il giudizio espresso in punto di credibilità del racconto -che costituisce, appunto, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito- essere in questa sede messa in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non dedotto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Essendo la ricorrente stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito ed a spese generali.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019