Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25557 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/10/2017, (ud. 12/07/2017, dep.27/10/2017),  n. 25557

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19424-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DIA PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

ANTELMI AUTO S.R.l,.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 297/24/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALI DI BARI – SEZIONE DISTACCATA DI LECCE, depositata il

03/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/07/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO NIANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 2 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 138/3/12 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi che aveva accolto il ricorso della Antelmi Auto srl contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES ed altro, IVA ed altro 2004. La CFR osservava in particolare che l’atto impositivo impugnato doveva considerarsi invalido poichè emesso oltre il termine decadenziale di legge, non potendosi al caso concreto applicare la disciplina normativa vigente ratione temporis sul raddoppio del termine stesso, con ciò significativamente differenziando la propria motivazione di rigetto dell’appello da quella del primo giudice, di accoglimento del ricorso introduttivo della lite, basata su differenti questioni di merito.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.

L’intimata società contribuente non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico mezzo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo controverso, poichè la CFR ha affermato l’inapplicabilità del raddoppio del termine decadenziale per l’accertamento, in quanto ha escluso la rilevanza penale dei fatti oggetto della lite tributaria.

La censura è fondata.

In via preliminare si deve osservare che il mezzo, quale esplicitato in concreto, deve essere ri-qualificato, secondo il principio di diritto che “L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239).

L’agenzia fiscale infatti anche se ha sussunto formalmente la critica alla sentenza impugnata nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sostanza l’ha poi sviluppata in termini di violazione di legge, quindi secondo la previsione di cui al n. 3 della medesima disposizione codicistica.

Il punto essenziale e, come appena oltre si dirà, dirimente della censura non concerne il giudizio della CTR in ordine all’insussistenza dell’ipotesi delittuosa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 dovendosi secondo la prospettazione della ricorrente di contro riferire la notitia criminis in oggetto ai reati di cui agli artt. 2 e 3, stesso decreto, quanto, come pure denunciato dalla ricorrente stessa, l’applicabilità non in concreto, bensì in astratto della disciplina del raddoppio del termine decadenziale de quo vigente ratione temporis ossia prima della novella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, introdotta dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 131 e 132.

Sicchè è evidente che non tanto si tratta di valutare la sussistenza di un vizio motivazionale, ma piuttosto di considerare se la sentenza impugnata sia incorsa in una violazione/falsa applicazione di tale disposizione legislativa.

Ciò posto, vi è da ribadire che:

-“In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015″ (Sez. 5 -, Sentenza n. 26037 del 16/12/2016, Rv. 641949 – 01).

-“In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011″ (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11171 del 30/05/2016, Rv. 639877 – 01).

-“In tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9322 del 11/04/2017, Rv. 643795 – 01).

La sentenza impugnata collide radicalmente con tutti i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, posto che ha escluso l’applicabilità della disciplina legale de qua non, come appunto in detti arresti affermato, sulla base di una valutazione astratta circa la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, ma sulla valutazione in concreto della irrilevanza penale delle condotte oggetto dell’avviso di accertamento impugnato.

In ogni caso e per altro verso, come pure denunciato dalla ricorrente il giudice tributario di appello ha mal valutato il contenuto effettivo della denunzia penale effettivamente fatta dall’Ente impositore, riguardando la medesima non il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, ma quelli di cui agli artt. 2 e 3, stesso decreto.

Anche per questa ragione la CIR pugliese ha falsamente applicato al caso concreto la disciplina previgente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo dedotto, come diversamente qualificato, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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