Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25557 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. II, 21/09/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19618/2019 proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dall’avv. GIUSEPPE LUFRANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA

PROTEZIONE INTERNAZIONALE ANCONA IN PERSONA DEL PRESIDENTE PRO

TEMPORE;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere e Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

B.M., cittadino della (OMISSIS), proponeva ricorso avverso il provvedimento col quale la Commissione territoriale di Ancona aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A base della domanda, l’essersi dovuto allontanare dal suo Paese in quanto avrebbe dovuto prendere il posto del padre, deceduto quando egli aveva quindici anni, nelle funzioni di capo del villaggio e membro di un gruppo dedito a rituali magici e al sacrificio umano, anche di bambini.

Il Tribunale di Ancona, con Decreto n. 6224/19 rigettava il ricorso. Riteneva che il racconto non fosse credibile perché non circostanziato su fatti essenziali e determinanti (quali l’attività del padre), al cui chiarimento il ricorrente aveva mancato di collaborare, non presentandosi all’udienza fissata per la sua audizione; incoerente rispetto al riscontro estrinseco (le informazioni non segnalavano l’affiliazione forzata a gruppi segreti, l’adesione ai quali costituiva semmai un processo di scalata sociale nell’ambito di club elitari nella società); e che, ad ogni modo, esso fosse confinato ad una vicenda di carattere privato. Escludeva, quindi, l’esistenza nella Sierra Leone di una situazione di violenza indiscriminata, e rigettava la domanda di protezione umanitaria per difetto di allegazione di fattori di vulnerabilità soggettiva e di radicamento in Italia.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso, affidato a sette motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa o “errata” interpretazione del D.Lgs. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2 e art. 276 c.p.c., perché il giudice innanzi al quale è avvenuta la discussione della causa e che si è riservato la decisione era un G.O.T. (Giudice onorario di Tribunale), come tale non facente parte né della sezione specializzata né, poi, del Collegio giudicante.

1.1. – Il motivo è infondato.

Le S.U. di questa Corte hanno recentemente chiarito che non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta (sentenza n. 5425/21).

2. – Il secondo mezzo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, lett. d), per aver il giudice di merito erroneamente ritenuto non credibile la narrazione del richiedente, omettendo di valutare i rischi che questi correrebbe in caso di rientro forzoso in Sierra Leone. In particolare, il Tribunale non avrebbe considerato come il verbale riporti numerosi ed importanti dettagli, tutti utili a confermare l’opportunità di concedere la protezione invocata. Deduce, inoltre, che sarebbe privo di significato l’aver dubitato della veridicità delle circostanze riguardanti la condotta paterna, da cui addirittura trarre un vantaggio, tenuto conto che il richiedente aveva dichiarato che durante i rituali venivano sacrificati dei bambini.

2.1. – Il motivo è infondato.

In disparte che una violazione dell’art. 115 c.p.c., è configurabile solo ove il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (S.U. n. 20867/20); tutto ciò a parte, va osservato che l’apprezzamento dei fatti è notoriamente insindacabile innanzi a questa Corte di legittimità, anche sotto la lente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”. nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U. n. 8053/14).

3. – Col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che le dichiarazioni del richiedente, “anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune”.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

In tema di ricorso per cassazione, qualora la motivazione della pronuncia impugnata sia basata su una pluralità di ragioni, convergenti o alternative, autonome l’una dall’altra, e ciascuna da sola idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di esse all’impugnazione rende del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perché l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse mai condurrebbe alla cassazione della pronuncia suddetta (n. 3633/17).

Nella specie, ne deriva che, insuperato, per inidoneità della critica, il giudizio di non credibilità del racconto del richiedente, non occorre verificare la legittimità della seconda ed alternativa ratio decidendi posta a base del decreto impugnato, connessa al carattere esclusivamente privato della vicenda, la prima rullo valendo da sola a sostenere la decisione.

4. – Col quarto mezzo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver il Tribunale disatteso “la prova legale” costituita dalla fotografia del torace del richiedente che mostrava le cicatrici causate dai segni di lama d’un coltello, durante i rituali.

4. – Il motivo è manifestamente infondato.

Nessuna fotografia costituisce prova legale, perché: a) è tale solo quella in relazione alla quale la legge non consente il prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c., comma 1); b) in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (n. 20867/20).

5. – Il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il Tribunale, si sostiene, nel negare la protezione sussidiaria ai sensi di detta norma, avrebbe omesso d’indagare, esercitando i poteri di cooperazione istruttoria, sulle condizioni di pericolo esistenti nel Paese d’origine e sul generale clima di violenza che lo caratterizza.

5.1. – Anche tale motivo non ha pregio.

Il decreto impugnato, premessa la situazione generale della Sierra Leone, tratta dal report Easo 6.6.2018, e richiamata, ai limitati fini della protezione sussidiaria di cui dell’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze Elgafaji e Diakite’) (in base a tali pronunce la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia: n.d.r.), ha insindacabilmente escluso tale ipotesi di danno grave per effetto delle sole sporadiche tensioni sociali, che danno luogo a periodici episodi di violenze e di scontri nella Sierra Leone.

6. – Il sesto motivo espone la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver il Tribunale considerato la Libia quale Paese (non di solo transito, ma) di provenienza del richiedente, il quale ivi si era radicato per ragioni di vita e di lavoro, dovendosene, poi, allontanare solo a causa della guerra civile scoppiata nel 2011.

6.1. – Il motivo è inammissibile.

L’art. 8, comma 3, D.Lgs. cit., impone che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati. La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che l’esame della situazione del Paese di transito è necessaria: a) se il richiedente deduca, a sostegno della sua condizione di vulnerabilità, di essere affetto da disturbo post-traumatico da stress a causa delle sevizie subite nel paese di transito, nel qual caso il giudice, ove la peculiare condizione allegata sia accertata, deve specificamente valutarne l’incidenza, ben potendo, la valutazione comparativa tra la condizione soggettiva ed oggettiva in cui lo straniero si troverebbe nel paese di provenienza ed il livello di integrazione raggiunto in Italia, porsi giuridicamente in termini attenuati, quando non recessivi, di fronte ad un evento in grado di incidere, di per sé solo, per il forte grado di traumaticità, sulla condizione di vulnerabilità della persona (n. 8990/21); b) se l’esperienza vissuta nel Paese di transito presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine (n. 13758/20, che ha cassato il decreto con il quale il giudice del merito aveva rigettato al domanda di protezione umanitaria trascurando del tutto di valutare il lungo soggiorno del ricorrente in Libia, ove era giunto a poco più di dieci anni rimanendovi fino alla morte del padre intervenuta quando ne aveva 18).

Nel caso in esame, la dedotta violazione avrebbe potuto essere valutata solo se ed in quanto parte ricorrente avesse specificato come e in qual atto del processo di merito avrebbe allegato un radicamento di vita e di lavoro del richiedente in Libia. Allegazione, questa, che, invece, non si ricava né dal decreto impugnato, né dal ricorso, che – al contrario – descrive l’esperienza in Libia in termini incompatibili con qualsivoglia ipotesi di volontario e duraturo inserimento socio-lavorativo. Si legge, infatti, a pag. 4 del ricorso che “(i)l ricorrente si rifugiava quindi in Libia dove viveva per circa sette mesi e dove veniva rinchiuso in prigione per tre mesi. I sequestratori chiedevano quindi un riscatto che veniva pagato dalla madre e che gli permetteva di essere liberato”.

7. – Il settimo motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il Tribunale, si sostiene, avrebbe ritenuto insussistenti le condizioni di vulnerabilità del richiedente, in caso di rientro forzoso nel Paese d’origine, senza esplicitare alcuna argomentazione a base della pronuncia di rigetto, così non considerando l’impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche e la compromessa possibilità del richiedente di soddisfare nel suo Paese i bisogni e le ineludibili esigenze di vita personale, per ragioni di salute o di situazione politico-economica o di povertà inemendabile.

7.1. Anche tale motivo è inammissibile.

Occorre premettere che la protezione umanitaria, al pari del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha carattere essenzialmente individuale, per cui non se ne possono ritenere esistenti le condizioni sulla base della pura e semplice allegazione di fattori contrari genericamente riferibili al Paese di provenienza, e tali da coinvolgere potenzialmente chiunque ivi si trovi a vivere. Correttamente, pertanto, il giudice di merito pretende, al riguardo, l’allegazione specifica di (ancorché non tipizzati) elementi di vulnerabilità personale.

Nella specie, il Tribunale ha così motivato: “con riferimento alla valutazione prognostica dell’elevata vulnerabilità determinata per effetto dello sradicamento del richiedente dal contesto socio-economico nazionale, va precisato che nessuno (sic) aspetto degno di nota è stato allegato”.

A fronte di tale motivazione parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare come e in quali atti del processo avrebbe, invece, allegato elementi fattuali specifici e rilevanti ai tini della concessione della protezione umanitaria. Al contrario, il ricorso si limita a considerazioni di carattere generale, per poi ed infine limitarsi a contestare la situazione pseudo agiata che, secondo il Tribunale, il richiedente avrebbe nel suo Paese.

8. – In conclusione il ricorso va respinto.

9. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

10. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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