Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25556 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. III, 30/11/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 30/11/2011), n.25556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17368/2009 proposto da:

D.M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato

TAMPONI Michele, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GABRIELE DOMENICO giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

AXA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VESPASIANO 17-A, presso lo studio dell’avvocato INCANNO’

Giuseppe, che la rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

MANGIMI ARISTON SRL, C.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 761/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 06/11/2008; R.G.N. 523/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6 novembre 2008 la Corte di appello dell’Aquila accoglieva in parte l’appello principale di D.M.M., rideterminando la quantificazione del danno alla persona da lui subito nelle componenti del danno biologico, morale e patrimoniale, cosi come operata dal Tribunale di Vasto con sentenza del 13 luglio 1999, che confermava nel resto.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il D. M., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso la Axa Assicurazioni s.p.a., società incorporante la Allsecures Assicurazioni, presso cui era assicurato l’autocarro di proprietà della società Mangimi Ariston s.r.l., condotto da C.V., che ebbe a tamponare il ciclomotore Piaggio condotto dal D.M. il (OMISSIS).

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo (violazione degli artt. 112 e 333 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè carente o insufficiente motivazione su di un fatto controverso), in estrema sintesi il ricorrente assume chela sentenza di appello, senza che sul punto vi fosse stato gravame, avrebbe determinato un situazione di reformatio in pejus.

La censura è infondata.

Infatti, per come si legge nella sentenza impugnata, oggetto del giudizio era esclusivamente la quantificazione del danno alla persona, nelle sue componenti di danno biologico, patrimoniale e morale.

Il giudice dell’appello, a seguito di nuova C.T. espletata in quella sede, ha dichiarato definitivamente la natura dei danni e ha chiarito la entità delle lesioni personali riportate, ritenendo pienamente condivisibili le conclusioni assunte dall’ausiliario, dopo aver esaminato anche la consulenza di parte ed avere escluso la riconducibilità, sotto il profilo del nesso causale, delle ulteriori patologie evidenziate dal consulente di parte, al trauma dell’incidente stradale.

Non vi è stata alcuna reformatio in pejus, in quanto il danno biologico è stato aumentato di cinque punti percentuali e in merito alle altre voci di danno il giudice si è attenuto alle “più recenti precisazioni operate” dal consulente di ufficio (p. 9 sentenza impugnata), che, come sottolinea il giudice a quo, hanno fatto superare la “non corretta quantificazione globale dei danni alla persona”.

Nè si può parlare, come si esprime il ricorrente, di confusione tra danno da riduzione della capacità lavorativa specifica e danno biologico (p. 13 ricorso), solo che ci si attenga all’argomentare della sentenza impugnata, allorchè tratta del danno biologico temporaneo e danno da lesione della capacità lavorativa specifica (p. 11 sentenza impugnata).

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, insieme al vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente, in realtà, richiede una ricostruzione quantitativa delle conclusioni raggiunte dal giudice dell’appello, sulla base di una “più corretta e completa valutazione dei danni alla persona”, attuata attraverso la nuova CTU, che il giudice a quo ha condiviso.

Pertanto, appare evidente che il ricorrente, più che di violazione di norme di diritto, si duole dei criteri adottati dal giudice dell’appello sulla base della relazione del consulente di ufficio e che, congruamente motivate, sfuggono al sindacato di questa Corte.

3.-Il terzo e il quarto motivo vanno esaminati congiuntamente per la loro interconnessione.

In effetti, con essi si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in comb. disp. artt. 1223, 2059, 1226 c.c. e art. 41 c.p., nonchè la omessa o insufficiente valutazione su fatto controverso e decisivo del giudizio.

Al riguardo, osserva il Collegio che è sufficiente leggere la sentenza impugnata per constatare che le censure non colgono nel segno.

Di vero, esse contestano le conclusioni della CTU, che, contrariamente al suo assunto, non è stata recepita acriticamente (v. p. 9 sentenza impugnata).

Le censure, infatti, si limitano a criticare la ritenuta non riconducibilità di alcune patologie da cui il D.M. è risultato affetto, ma non indicano quali altri criteri avrebbero dovuto essere seguiti perchè l’accertamento del consulente avrebbe potuto essere diverso, nè perchè la dedotta riconducibilità sussisterebbe, attese le lesioni riportate nell’incidente.

E ciò pur dovendosi affermare che in via processuale il giudizio sul nesso di causalità è un giudizio in fatto, come tale sottratto al giudice di legittimità, in specie se congruamente e logicamente motivato sulla base di una CTU ritenuta esemplare.

Nè risponde al vero che per quanto concerne la valutazione equitativa del danno morale il giudice a quo si sia limitato nella sostanza ad una operazione matematica, omettendo la valutazione del caso concreto (v. p. 21 ricorso).

Infatti, tale affermazione non tiene conto di quanto argomenti il giudice a quo, allorchè si sofferma sul punto (v. p. 10-11 sentenza impugnata), così come va sottolineato che non risponde al vero che il giudice dell’appello non abbia speso una parola per valutare il danno biologico al 15% (v. infatti, p. 9-10 sentenza).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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