Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25554 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. III, 30/11/2011, (ud. 23/09/2011, dep. 30/11/2011), n.25554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – est. Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20381/2009 proposto da:

S.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CAVOUR 211, presso lo studio dell’avvocato CAPECCI

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIZZUTELLI Marco,

giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DELLA

VALLE, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRANTE Riccardo giusto

mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2645/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/06/2009; R.G.N. 8092/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato PIZZUTELLI MARCO;

udito l’Avvocato FERRANTE RICCARDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 16 novembre 2002 B.C. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Cassino, S.T..

Premesso di avere intrattenuto con il convenuto una relazione sentimentale iniziata nel 1995 l’attrice ha esposto – da un lato – che nel corso del 2001, le parti avevano deciso di trasferirsi in un appartamento in (OMISSIS) di proprietà dei genitori del S. e in tale prospettiva avevano preso di comune accordo le decisioni necessarie per l’arredamento della futura abitazione e essa B. si era fatta carico di pagare il prezzo dei beni (mobili, elettrodomestici, lampadario, lampada da sospensione, tendaggi, set di accessori per il bagno) puntualmente e analiticamente indicati in citazione (per la somma di Euro 13.866,79), – dall’altro – che nel maggio 2002 il rapporto tra le parti si era interrotto bruscamente per colpa del S. (dopo che essa attrice si era dimessa dal posto di lavoro).

Tutto ciò premesso l’attrice ha chiesto che l’adito tribunale condannasse il S., da un lato, ai sensi dell’art. 2043 c.c., al risarcimento dei danni cagionati a essa attrice – sia in termini di perdita di prospettive di carriera che per il rilevante stress psicofisico causatole – e da liquidare in una somma non inferiore a Euro 11.000,00, dall’altro, a norma dell’art. 2041 c.c. a indennizzare essa concludente della somma di Euro 13.866,79 spesa per l’acquisto di oggetti di arredamento oltre rivalutazione e interessi.

Costituitosi in giudizio il S. ha ammesso l’esistenza del rapporto sentimentale con l’attrice e che in realtà la stessa aveva acquistato i beni indicati in citazione, presenti tuttora nell’appartamento in (OMISSIS), ma ha escluso che le domande avversarie potessero trovare accoglimento.

Ha evidenziato, infatti, il convenuto – da un lato – che la propria condotta non era illecita (non avendo ingenerato nella B. false aspettative), sì che non poteva trovare accoglimento la domanda ex art. 2043 c.c., dall’altro, che non ricorrevano le condizioni di legge per l’accoglimento della domanda di arricchimento, atteso che i mobili (da lei acquistati) erano (ancora) di sua (dell’attrice) proprietà e che esso concludente non ne aveva mai rifiutato la restituzione, restituzione che – comunque – ha offerto sottoscrivendo la comparsa di risposta.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale ha respinto entrambe le domande, osservando – da una parte – che dal comportamento del S. non poteva farsi discendere alcuna (giuridica) responsabilità per la rottura della relazione con la B., dall’altra, che mancava il presupposto del depauperamento, essendo stato riconosciuto dal convenuto che i beni erano sempre di proprietà dell’attrice che poteva provvedere a ritirarli.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente B., nel contraddittorio del S. che, costituitosi in giudizio anche in grado di appello ha chiesto il rigetto dell’avversa impugnazione, la Corte di appello di Roma con sentenza 21 novembre 2008 – 15 giugno 2009 in parziale riforma della sentenza del primo giudice ha condannato il S. al pagamento, in favore della B. della somma di Euro 13.866,79, oltre gli interessi legali dalla domanda nonchè al pagamento delle spese di lite del doppio grado.

Per la cassazione di tale pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso S.T., affidato a due motivi e illustrato da memoria, con atto 8 settembre 2009 e date successive.

Resiste, con controricorso, illustrato da memoria, B.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Assume, in limine, la difesa della controricorrente che la sentenza di appello è stata depositata il 15 luglio 2009 e che il presente giudizio è – di conseguenza – soggetto al rito di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69.

L’assunto è destituito di qualsiasi fondamento.

In realtà, la sentenza impugnata, deliberata il 21 novembre 2008, è stata pubblicata – mediante deposito in Cancelleria – il 15 giugno 2009.

Non possono, di conseguenza, invocarsi le disposizioni sopravvenute con la L. 18 giugno 2009, n. 69, applicabili quanto al giudizio di cassazione, secondo la non equivoca formulazione dell’art. 58 della stessa legge, unicamente in caso di ricorso avverso provvedimenti depositati successivamente al 4 luglio 2009.

2. Disatteso l’appello della B., in punto rigetto (da parte del primo giudice) della domanda ex art. 2043 c.c., i giudici di secondo grado hanno accolto il gravame della stessa, quanto al rigetto della domanda ex art. 2041 c.c..

Hanno osservato quei giudici:

– venuta meno la prospettiva di una stabile convivenza è venuto meno l’obiettivo che costituiva l’unico presupposto, certamente tenuto presente da entrambe le parti, che giustificava l’esborso da parte della B.;

– mentre, però, costei ha subito una diminuzione patrimoniale senza alcun vantaggio corrispettivo, i beni da lei acquistati sono rimasti dal 2002 in casa del S. e da lui fin da allora sono stati pacificamente usati;

– poichè deve escludersi che la condotta del S. integri un fatto illecito fondante una responsabilità risarcitoria e, d’altro canto, la condotta tenuta dalla B. non può ricondursi a una qualsiasi ipotesi contrattuale, quale il mutuo, il comodato o la donazione, il riferimento al disposto di cui all’art. 2041 c.c., appare corretto, essendo l’esborso avvenuto in vista di una finalità di carattere personale (la convivenza in una certa abitazione) poi non realizzatasi per fatto non colpevole del S.;

– non osta al diritto dell’appellante a ottenere l’indennizzo l’offerta di restituzione che il S. ha fatto in giudizio in quanto mobili e altri arredi destinati a una determinata abitazione sono fatti su misura per adattarsi a questa e di essi il S. tuttora gode senza causa, laddove la B. che della casa non può godere, non può avere interesse alla restituzione, rilevando per lei solo il depauperamento subito nell’ambito della particolare collaborazione di coppia;

– quanto alla concreta determinazione dell’indennizzo, tenuto conto del fatto che la B. non ha mai usato i beni acquistati, essendo la rottura avvenuta prima dell’inizio della convivenza, la Corte ritiene che il depauperamento subito dall’appellante debba necessariamente essere rapportato all’importo delle spese sostenute per gli acquisti, puntualmente documentate in atti.

3. Il ricorrente censura, nella parte de qua la impugnata sentenza denunziando:

– da un lato, violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. sotto più profili nonchè delle norme e principi in materia di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e di autonomia negoziale (art. 1322 c.c. e art. 41 Cost.); omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, primo motivo, che a sua volta si articola in due distinte censure;

– dall’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 2042 c.c.:

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, secondo motivo.

In relazione ai riferiti motivi il ricorrente ha formulato – ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile nella specie ratione temporis, essendo oggetto di ricorso una sentenza pubblicata il 15 giugno 2009, cfr. D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27 e L. 18 giugno 2009, n. 69, artt. 47 e 58 – i seguenti quesiti di diritto:

– dica codesta Ecc.ma Suprema Corte se l’art. 2041 c.c., comma 2, in caso di esistenza in natura della res oggetto della domanda ex art. 2041 c.c., al momento della proposizione della domanda stessa, della quale resa venga fatta offerta di restituzione da parte del presunto arricchito nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado, preclude o non la possibilità di riconoscere indennizzo in misura pari al valore stesso della resa in luogo della sua restituzione in natura e se in una tale ipotesi il presunto depauperato possa pretendere o no in luogo della restituzione della resa, offerta dal presunto arricchito, la condanna a carico di quest’ultimo al pagamento di indennizzo, commisurato all’intero valore della res in relazione alla prima delle censure sviluppate con il primo motivo;

– dica codesta Ecc.ma Suprema Corte se nel caso in cui il presunto depauperato ometta di ritirare le res oggetto della domanda ex art. 2041 c.c., esistenti in natura al momento della proposizione della domanda stessa, res la cui restituzione sia stata offerta dal presunto arricchito sin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado – la condotta omissiva del presunto depauperato assurga a causa giustificatrice dell’ipotetico arricchimento dell’altra parte (consistente nella perdurante presenza nella sfera di materiale disponibilità di quest’ultimo delle res non ritirate malgrado l’offerta di restituzione) o comunque se tale condotta omissiva renda in configurabile l’esistenza di un unico fatto generatore tra ipotetici impoverimento dell’una parte e arricchimento dell’altro, o ancora se la ridetta condotta omissiva sia comunque idonea a interrompere il nesso di interdipendenza diretta e immediata tra ipotetici impoverimento dell’una parte ed arricchimento dell’altra; e conseguentemente se in tale ipotesi sia o non configurabile un indennizzo per arricchimento senza causa a carico del presunto arricchito. Dica codesta Ecc.ma Suprema Corte se – nel caso in cui il presunto depauperato ometta di ritirare le res oggetto della domanda ex art. 2041 c.c., esistenti in natura al momento della proposizione della domanda stessa, res la cui restituzione sia stata offerta dal presunto arricchito sin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e pertanto le res stesse continuino a permanere nella sfera di materiale disponibilità del presunto arricchito contro la sua espressa volontà – il riconoscimento di indennizzo ex art. 2041 c.c. a carico di quest’ultimo contrasti con le regole generale di buona fede e sulla tutela della autonomia negoziale, sostanziandosi in uno scambio di beni o servizi imposto dal presunto depauperato contro la volontà del presunto arricchito in relazione alla seconda delle censure sviluppate con il primo motivo;

– dica codesta Ecc.ma Suprema Corte se – nel caso in cui venga proposta azione ex art. 2041 c.c. sostanzialmente lamentandosi che l’ipotetico arricchito si sarebbe appropriato di beni dell’ipotetico impoverito e chiedendosi la liquidazione dell’indennizzo ragguagliata all’intero valore dei beni in parola – difetti il requisito della sussidiarietà della azione ex art. 2042 c.c. per esser proponibile l’azione risarcitoria quanto meno da illecito extracontrattuale o comunque l’azione recuperato ria, personale o reale, o financo l’azione possessoria in margine al secondo motivo.

4. Precisato quanto sopra evidenzia la Corte – in limine – che entrambi i motivi sono inammissibili nella parte in cui denunziano omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, posto – a tacere da ogni altra considerazione – che fa totalmente difetto al termine di essi la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 4 novembre 2010, n. 22502; Cass. 7 maggio 2010, n. 11236; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

5. Per il resto, nei limiti di cui appresso i motivi sono fondati e meritevoli di accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

Giusta quanto assolutamente incontroverso in diritto, l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale.

E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (in termini, ad esempio, Cass. 15 maggio 2009, n. 11330).

Contemporaneamente la nozione di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., va intesa, indifferentemente, sia in senso qualitativo che in senso quantitativo e può consistere tanto in un incremento patrimoniale, quanto in un risparmio di spesa e, più in generale, in una mancata perdita economica.

Correlativamente il depauperamento può consistere tanto in erogazioni di un’entità pecuniaria, quanto in attività o prestazioni di cui si avvantaggia l’arricchito.

E poichè l’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c., è finalizzato a reintegrare il patrimonio del depauperato, esso va commisurato all’arricchimento, riconoscendo, in via sostitutiva, al depauperato un quid monetario “nei limiti” dello stesso arricchimento (perchè, altrimenti, si verificherebbe un arricchimento nel senso inverso).

Premesso quanto precede si osserva che come assolutamente pacifico in causa (cfr. oltre che accertamento di cui a p. 6 della sentenza impugnata, quanto riferito sia nel ricorso introduttivo – p. 17 – ove è trascritto il contenuto della citazione introduttiva di primo grado, l’esposizione dei fatti contenuta nel controricorso – p. 3 – ove si sottolinea che l’esponente si è fatta carico di pagare il prezzo di acquisto dei seguenti beni, come da documenti prodotti in giudizio…) B.C. ha acquistato beni determinati per un valore complessivo di Euro 13.866,79 in considerazione della prospettiva di iniziare, con il S., una convivenza more uxorio.

Contemporaneamente, si osserva che giusta le testuale previsione di cui all’art. 2041 c.c., comma 1, e art. 2042 c.c., da un lato, chi senza una giusta causa si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale, dall’altro, l’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito.

Certo quanto precede, non controverso – la circostanza non risulta neppure in ipotesi prospettata, dalla lettura degli atti di causa – che in qualche momento la B. abbia trasferito la proprietà di tali beni a terzi e, in particolare, al S., è palese che fanno difetto in radice, i presupposti perchè possa dirsi realizzato, in qualche modo, da un lato, un impoverimento della B., dall’altro un arricchimento del S. per un valore pari al corrispettivo pagato dalla B. per l’acquisto dei beni in discussione Euro 13.866,79 (assunto che, in tesi, avrebbe un fondamento nella eventualità l’impoverimento della B. si fosse realizzato nella perdita della proprietà dei beni in questione, proprietà acquistata dall’arricchito S., ma non certamente in forza del mero godimento, precario, dei beni in questione da parte del S.).

Assume la sentenza impugnata che l’arricchimento del S. è costituito dalla circostanza che i beni acquistati dalla B. sono rimasti dal 2002 in casa del S. e da lui fin da allora sono stati pacificamente usati.

A prescindere da ogni altra considerazione non controversa la proprietà in capo alla B. dei mobili in questione, deve escludersi che a fronte dell’uso, certamente precario e temporaneo di tali mobili – uso che ha avuto inizio non per fatto arbitrario e contra ius del S., ma a seguito di una scelta volontaria della B. che ha disposto la consegna di tali mobili nell’alloggio nella disponibilità del S. – il S. sia tenuto per il solo godimento di tali mobili nel tempo anteriore all’offerta di restituzione ai a corrispondere alla proprietaria un canone par al costo al nuovo, di tali mobili, maggiorato degli interessi dal 16 novembre 2002, cioè, in pratica, che il S., debba corrispondere alla B. il prezzo da questa pagato per l’acquisto dei vari beni, senza – contemporaneamente – divenirne proprietario la sentenza impugnata è senza ombra di dubbio censurabile nella parte in cui afferma che è irrilevante l’offerta di restituzione dei beni contenuta nella comparsa di risposta del S., trattandosi di beni fatti su misura.

A prescindere da ogni altra (in tesi, pur pertinente) considerazione quanto ai mobili come descritti nelle fatture in atti tenuto presente che sono stati dichiarati inammissibili i motivi del ricorso in cui, nel denunziare vizi di motivazione della sentenza impugnata si evidenzia che in realtà trattavasi di mobili di serie e non costruiti su misura osserva la Corte che è stata una libera scelta della B. acquistare i mobili in questione con determinate caratteristiche, sì che la stessa non può addebitare al S. che non essendosi realizzata la auspicata convivenza tra le parti, l’impoverimento di essa concludente è pari al valore (al nuovo) dei mobili stessi.

Accertato – oramai con pronuncia passata in cosa giudicata – infatti che il S. non può e non deve rispondere delle conseguenze della cessazione della relazione sentimentale tra le parti e, quindi, della circostanza che i mobili in questione non siano in ipotesi di alcuna utilità per la sua proprietaria è evidente l’erroneità, in diritto della proposizione della sentenza impugnata, allorchè ha affermato che l’impoverimento della attrice (e di conseguenza l’arricchimento del convenuto) è pari al valore di acquisto dei beni, sul rilievo che questi non possono – dalla proprietaria – essere utilizzati diversamente.

Contrariamente a quanto invoca la difesa del ricorrente, peraltro, deve escludersi che accertato, da un lato, che la B. è ancora proprietaria dei beni oggetto di controversia, e, quindi, ha facoltà, in qualsiasi momento, di agire per ottenere la restituzione degli stessi, dall’altro, che il S. ha legittimamente offerto in restituzione i beni in questione in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, non possa (come affermato dal primo giudice) che pervenirsi al rigetto della domanda della B..

Come già affermato da questa Corte regolatrice – in realtà – deve ribadirsi, ulteriormente, che la proponibilità, da parte del proprietario di un bene, dell’azione di arricchimento, nei confronti del terzo che ne abbia goduto senza titolo, al fine di essere indennizzato del pregiudizio subito, va riconosciuta indipendentemente dalla possibilità del proprietario medesimo di chiedere la restituzione del bene, dato che tale seconda azione non previene nè elimina il danno verificatosi prima del suo utile esercizio, e, quindi, non configura un rimedio di esso, idoneo ad escludere la prima azione alla stregua del suo carattere sussidiario (In termini, Cass. 3 maggio 1988, n. 3295).

Non essendosi i giudici del merito attenuti al sopra riferito principio di diritto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione, perchè proceda a un nuovo esame della controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto: “la proponibilità, da parte del proprietario di un bene, dell’azione di arricchimento, nei confronti del terzo che ne abbia goduto senza titolo, al fine di essere indennizzato del pregiudizio subito, pari al corrispettivo per il godimento da parte dell’arricchito del bene, va riconosciuta indipendentemente dalla possibilità del proprietario medesimo di chiedere la restituzione del bene, dato che tale seconda azione non previene nè elimina il danno verificatosi prima del suo utile esercizio, o anteriormente all’offerta di restituzione, e, quindi, non configura un rimedio di esso, idoneo ad escludere la prima azione alla stregua del suo carattere sussidiario”.

Il giudice di merito provvederà, altresì anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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