Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25550 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. III, 30/11/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 30/11/2011), n.25550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13258/2010 proposto da:

M.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE CARSO 51, presso lo studio dell’avvocato RUFINI

Alessandro, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SENALDI PAOLO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRORAMO di Morlacchi Mario e Terreni Luigia e C. Sas, (OMISSIS)

in persona del socio accomandatario ed inoltre MORLACCHI di Morlacchi

Mario e Terreni Luigia e C. Srl (OMISSIS) in persona del suo

amministratore unico entrambe elettivamente domiciliate in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 11, presso lo studio dell’avvocato TORNABUONI

Filippo, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati SCOPSI

CLAUDIO, SCOPSI NICOLA, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 672/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

4.3.09, depositata il 31/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p. 1. M.U. ha proposto ricorso per cassazione contro la Morlacchi Mario e terreni Luigia & C. s.r.l. e la Proramo s.a.s., avverso la sentenza del 31 marzo 2009, con la quale la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Milano, Sezione Distaccata di Legnano, in una controversia di risarcimento danni da inadempimento di obblighi restitutori per la cessazione di un comodato immobiliare.

Al ricorso hanno resistito con congiunto controricorso la s.a.s.

Proramo e la società Morlacchi di Morlacchi Mario e Terreni Luigia e C. s.r.l..

p. 2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) 3. Il ricorso appare inammissibile perchè proposto senza l’osservanza dell’art. 366 bis c.p.c., siccome eccepito anche dalle resistenti.

Il ricorso prospetta, con indicazione a lettere alfabetiche sei motivi, articolati, con indicazione subordinata di numeri, in varie censure e tutti deducenti vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” e, quanto al solo motivo d) anche violazione di norme di diritto, le quali, poi vengono individuate nelle censure d4) e d.5).

p. 3.1. Ora, per quanto attiene alla denuncia dei (plurimi) vizi di motivazione nessuno dei sei motivi si conclude o contiene la formulazione del c.d. momento di sintesi espressivo della c.d. chiara indicazione, alla quale alludeva l’art. 366 bis c.p.c. (si vedano, per i termini nei quali detta formulazione doveva avvenire, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n. 20603 del 2007, nonchè la conforme giurisprudenza successiva).

p. 3.2. Per quanto attiene alle censure di violazione di norme di diritto, di cui ai punti d4) e d5) sono formulati, invece, quesiti di diritto, i quali appaiono assolutamente inidonei ad assolvere al requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c., attesa la loro astrattezza e genericità.

Con il primo si chiede che la Corte valuti se è ammissibile ignorare il disposto dell’art. 938 c.c., in tema di occupazione illegittima di porzione di suolo attivo, con una costruzione, limitando il risarcimento del danno alla metà di quanto previsto da detto articolo, che dispone che il costruttore debba pagare il doppio del valore della superficie occupata oltre al risarcimento del danno.

Con il secondo di valutare se nella determinazione e quantificazione risarcitoria, è consentito ricorrere a criteri di liquidazione equitativa, applicando i disposti dell’art. 1226 c.c. e art. 2056 c.c., pur in presenza di una quantificazione specifica dei danni, acquisita agli atti processuali attraverso una perizia tecnica d’ufficio”.

Ebbene, l’art. 366 bis c.p.c., quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo, imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appariva evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presentasse questa contenuto era, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

I due quesiti si presentano inidonei alla stregua di questi principi.

p. 3.3. E’ da rilevare che l’art. 366 bis c.p.c., è applicabile al ricorso nonostante l’abrogazione intervenuta il 4 luglio 2009 per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 47. L’art. 58, comma 5, della legge ha, infatti, sostanzialmente disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati – come nella specie – dopo quella data avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (si vedano: Cass. (ord.) n. 7119 del 2010; Cass. n. 6212 del 2010 Cass. n. 26364 del 2009; Cass. (ord.) n. 20323 del 2010). Nel contempo, non avendo avuto l’abrogazione effetti retroattivi l’apprezzamento dell’ammissibilità dei ricorsi proposti anteriormente a quella data continua a doversi fare sulla base della norma abrogata”.

p. 2. Il Collegio, letta la relazione ed esaminati gli atti, rileva che ne sono condivisibili le argomentazioni e le conclusioni, alle quali nulla è necessario aggiungere.

Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza verso i resistenti e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alle resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro quattromila, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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