Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2555 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32718/2018 proposto da:

L.K., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Briganti, giusta procura in calce al

ricorso;,

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il giorno

01/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato l’1 ottobre 2018, respinge il ricorso proposto da L.K., cittadino della Nigeria, proveniente da Edo State, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale nè lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) pertanto, i fatti riferiti non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra; e piuttosto restano confinati nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, anche laddove credibili;

c) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che le notizie raccolte da aggiornate fonti internazionali affidabili evidenziano che nella zona geografica di provenienza del ricorrente si riscontra soprattutto la presenza di una criminalità sostanzialmente comune, mentre non possono dirsi presenti situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente;

d) inoltre dalle fonti consultate risulta che in Nigeria – tranne che nei territori settentrionali sotto il controllo del gruppo terroristico (OMISSIS) sono presenti strumenti di protezione per i casi di giustizia comune, come quello rappresentato dal richiedente;

e) neppure può essere concessa la protezione umanitaria perchè la situazione del Paese di provenienza esclude la sussistenza di una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente, anche se credibili e giustificate, non consentono da sole il rilascio del permesso per motivi umanitari;

3. il ricorso di L.K., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per cinque motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato in cinque motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità del decreto impugnato per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 1 e 13, nonchè degli artt. 737,135 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., comma 6, in considerazione delle lacune motivazionali riscontrabili nel decreto stesso a proposito del rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato la cui motivazione si sostiene essere meramente apparente al pari di quella che sostiene il rigetto della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalle conseguenze per il ricorrente, orfano di entrambi i genitori e privo di adeguati supporti familiari, dei maltrattamenti e dei tentativi di omicidio perpetrati dalla zia nell’attuale contesto socio-economico-politico della Nigeria che non offre le garanzie di cui alla Costituzione italiana;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione di numerose disposizioni normative per non avere il Tribunale preso in esame le dichiarazioni del ricorrente nella loro integralità al fine della valutazione della relativa credibilità, disponendo eventualmente l’audizione dell’interessato anche con riguardo alla natura “privata” della vicenda narrata e comunque attivando i poteri istruttori officiosi anche per approfondire le notizie sulla situazione generale del Paese di origine;

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione di numerose norme di diritto, rilevandosi che, anche a voler ritenere “privata” la vicenda narrata comunque il Tribunale avrebbe dovuto accertare se le Autorità nigeriane siano o meno in grado di offrire al ricorrente adeguata tutela rispetto alle vessazioni subite dalla zia, in relazione alle garanzie offerte dal sistema istituzionale locale;

1.5. con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della CEDU, dell’art. 47 della Carta UE dei diritti fondamentali, dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UE, richiamandosi le argomentazioni dei precedenti motivi ed aggiungendosi che il principio di effettività del ricorso non può dirsi rispettato in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice;

2. l’esame congiunto dei motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

2.1. in linea generale va rilevato che le censure proposte, nella sostanza, si risolvono nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti sulla cui base sono state respinte le domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria, esse pertanto finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente sulla base sia dei dati tratti da fonti accreditate sia delle dichiarazioni dell’interessato;

3. in particolare, poi, risulta del tutto inammissibile per genericità la censura – che ha un ruolo centrale nel ricorso – di motivazione apparente del decreto impugnato con riguardo al rigetto delle domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria;

3.1. invero, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la “motivazione apparente” ricorre allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; sezioni unite n. 8053 e n. 19881 del 2014);

3.2. nella specie sia per quel che riguarda il rigetto della protezione internazionale sia per quanto si riferisce al rigetto della protezione umanitaria non è ipotizzabile il vizio denunciato perchè entrambe le statuizioni risultano sostenute da una chiara – ancorchè sintetica – motivazione;

3.3. nel primo caso, risulta chiaramente che è stata esclusa la sussistenza degli elementi che possano eccezionalmente portare a dare rilievo alle vicende di tipo privato – come quella narrata – le quali non possono essere addotte, di per sè, come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, in quanto le “vicende private” sono estranee al sistema della protezione internazionale, a meno che emergano atti persecutori o danno grave non imputabili da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), anche indirettamente laddove non possano o non vogliano fornire la protezione adeguata (vedi: Cass. 1 aprile 2019, n. 9043);

3.4. nel secondo caso è altrettanto chiaro che il rigetto della protezione umanitaria è stato disposto per mancanza di elementi da cui desumere che l’interessato versi in una delle ipotesi di vulnerabilità rilevanti per la suddetta forma di protezione, non essendo stata neanche dimostrata, in modo specifico, l’avvenuta integrazione e stabilizzazione in Italia;

3.5. nella descritta situazione la suddetta censura appare senz’altro inammissibile, in quanto la motivazione contenuta nel decreto impugnato, con riguardo alle statuizioni contestate, risulta dotata della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata) sia delle ragioni di diritto delle decisioni stesse, cioè di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso;

3.6. si tratta, quindi, di una motivazione che non corrisponde affatto alla suindicata nozione di “motivazione apparente”, alla quale il ricorrente fa riferimento nel tentativo di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente, senza contestare in modo specifico, da un lato, la qualificazione della vicenda come privata e dall’altro la carenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria rilevata dal Tribunale;

4. a ciò va aggiunto che risulta impropria l’invocazione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi visto che è pacifico che la vicenda narrata sia di tipo privato e come tale estranea al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (Cass. 1 aprile 2019, n. 9043);

4.1. certamente nel racconto del ricorrente (relativo a liti familiari per l’attribuzione di beni ereditari) non si rinvengono gli estremi per l’imputabilità delle persecuzioni e dei danni lamentati allo Stato o ad organizzazioni collettive, nel senso indicato, sicchè in tale situazione è ininfluente, ai fini della protezione internazionale, accertare che le Autorità del Paese di provenienza siano o meno in grado di offrire tutela rispetto ad una vicenda squisitamente familiare;

5. nell’anzidetta situazione risultano irrilevanti anche le censure relative alla mancata audizione del richiedente da parte del Tribunale, censure che peraltro risultano proposte senza considerare che, in base al consolidato orientamento di questa Corte nel giudizio di impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973);

6.per quanto si è detto, risulta inammissibile, perchè irrilevante, anche il profilo di censura con il quale si denuncia la violazione del principio di effettività del ricorso derivante dall’asseritamente mancata utilizzazione da parte del Giudice dei poteri istruttori officiosi;

7. va ricordato, peraltro, che secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia in favore dell’interessato dell’effettiva conoscenza della facoltà di esercitare il proprio diritto a prender parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, sentenza 27/04/2017, Schmidt c. Lettonia);

7.1. nella specie, il ricorrente non deduce di non aver potuto esercitare tale diritto;

8. deve essere, infine, precisato che Cass. 12 settembre 2018, n. 22233, reiteratamente richiamata dal ricorrente, ha esaminato una fattispecie diversa dalla presente nella quale risultava che il Giudice del merito non aveva effettuato un esame dei fatti prospettati anche alla luce delle condizioni sociopolitiche generali di suddetto Paese, in ordine a possibili discriminazioni per motivi religiosi (nel contrasto ivi esistente tra sciiti e sunniti);

9. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

10. nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto difese in questa sede;

11. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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