Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25548 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31557/2019 proposto da:

A.F.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CHISIMAIO, 29, presso lo studio dell’avvocato MARILENA CARDONE, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

MILANO;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI l2, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1131/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.F.S., cittadina della (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza la richiedente dedusse di esser fuggita dalla Nigeria per scappare dagli esponenti di una delle fazioni della propria città (Benin City), i quali, dopo aver dato fuoco alla sua abitazione, uccidendo il padre, la perseguitavano in quanto ella, essendo infermiera, aveva curato i feriti dello schieramento avversario. Passando per la Libia, nel 2015 giunse in Italia e chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento A.F.S. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Milano, che con ordinanza del 31 luglio 2017 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto che:

a) la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato fosse infondata, risultando il racconto della richiedente scarso e contraddittorio, in particolare avendo la ricorrente dato due versioni diverse circa la morte del padre e mostrando forte reticenza durante l’interrogatorio formale;

b) la domanda di protezione sussidiaria fosse infondata, in quanto non era stata fornita alcuna prova circa la violenza generalizzata presente nel paese d’origine, tale da far ravvisare un rischio di un danno grave alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato o internazionale;

d) la domanda di protezione umanitaria fosse infondata, tenendo conto delle condizioni sociopolitiche del paese di provenienza e di quelle personali;

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1131/2019 pubblicata il 14 marzo 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da A.F.S. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1 Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 4, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. In particolare, la Corte d’appello avrebbe scambiato la ritrosia mostrata dalla ricorrente durante l’interrogatorio come vaghezza e inattendibilità.

Il motivo è inammissibile. Il giudizio sulla credibilità del richiedente è un accertamento di fatto, che compete al giudice di merito e non è sindacabile dinanzi la Corte di Cassazione se non per una anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge (Cass. Sez. I n. 3340/2019). La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri che questo stesso collegio ha specificamente ed analiticamente indicato con la pronuncia n. 8819/2020 essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso.

L’analisi, analitica e approfondita (cfr. pag. 8 del decreto impugnato), di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Nel caso in esame, infatti, non è dato evidenziare una anomalia motivazionale: i giudici hanno infatti motivato la mancanza di credibilità della richiedente, rinvenendola in una poca attenzione nell’individuare l’eventuale pericolo nel caso di rientro nel paese d’origine (non appare infatti verosimile che il pericolo possa sussistere in base al collegamento tra la sua professione da infermiera e un ipotetico conflitto in loco) e nella mancanza di riscontri del conflitto armato, non essendoci prove di un eventuale conflitto in quella zona nel periodo da lei dichiarato.

5.2 Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, in quanto la Corte avrebbe disatteso al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, non avanzando un accertamento della situazione oggettiva del paese d’origine al fine di valutare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è fondato. Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente. Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (Cass. 28990/2018).

“Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti – tale non potendosi ritenere il sito ministeriale “(OMISSIS)”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale – alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazinali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate”

Nel caso di specie il giudice del merito ha fatto riferimento genericamente al sito “(OMISSIS)” (cfr pag. 6 sentenza impugnata).

5.3 Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. (D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6), “non avendo la Corte effettuato una valutazione comparativa degli elementi che concorrevano a determinare una condizione di vulnerabilità”.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

6. Pertanto la Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo di ricorso come in motivazione, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo di ricorso come in motivazione, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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