Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25547 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31386/2019 proposto da:

J.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA

NAVA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1143/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. J.A., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal Bangladesh nel 2013 per necessità riconducibili al bisogno di sostenere economicamente la famiglia, e in particolare le cure mediche del padre malato, in una zona in cui la povertà è molto diffusa e non permette opportunità lavorative significative. Dopo esser giunto in Libia, il richiedente asilo giunse in Italia nel 2015 dove propose immediatamente richiesta di protezione internazionale.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento J.A. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 e D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, dinanzi il Tribunale di Milano, che con ordinanza del 12 luglio 2017, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ritenne trattandosi di migrante economico, come da lui stesso dichiarato, non ravvisarsi le condizioni per il riconoscimento di nessuna forma di protezione richiesta.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1143 del 2019 del 15 marzo 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da j.A. con ricorso fondato su un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1 Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con il D.L. n. 113 del 2019, con riferimento alla domanda di riconoscimento di protezione umanitaria. In particolare le condizioni di povertà del Bangladesh e le difficoltà a reperire un posto di lavoro, renderebbero il ricorrente, nel caso di rientro, in una condizione di vulnerabilità, non potendo avere quelle stesse condizioni di dignità che avrebbe ora in Italia.

Il motivo è fondato.

Il giudice d’appello ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria ritenendo che nel Bangladesh non sussiste una situazione di violenza indiscriminata nei confronti dei cittadini e ritenendo assente qualsiasi condizione di vulnerabilità o rischio di discriminazione per il ricorrente nel caso di rientro in patria.

Ma, in realtà, questa Corte con la sentenza n. 4455 del 2018 ha affermato come rispetto alla protezione umanitaria si debba far riferimento alla vulnerabilità e a un giudizio comparativo che deve essere fatto in concreto, non in astratto. La protezione può essere accertata anche effettuando il bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ne ha determinato la partenza, così da accertare la condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento.

Ancora, è necessario premettere che il permesso per motivi umanitari è una misura atipica che può esser riconosciuta per motivi diversi rispetto a quelli che consentono la protezione sussidiaria e lo statu di rifugiato, per cui si potrà concedere tale forma di protezione quando ci siano situazioni meritevoli di tutela per salvaguardare i diritti umani ex art. 2 Cost.. E’ fondamentale in tal senso una comparazione che debba tener conto della situazione oggettiva del soggetto e in particolare del suo inserimento sociale in Italia, per cui non si può non considerare che nel caso di rimpatrio, il soggetto si vedrebbe immerso in un contesto sociale in cui vedrebbe compromessi i suoi diritti fondamentali. Si ricorda inoltre che la vulnerabilità ricomprende anche la lesione del diritto alla salute, e, partendo da una interpretazione estensiva della protezione umanitaria, si ritiene che questo diritto debba essere salvaguardato non solo quando riguardi strettamente il richiedente ma anche un proprio familiare, come nel caso di specie, in cui il richiedente ha bisogno di sostegno economico per le cure del padre.

Nel caso di specie A. si è allontanato dal proprio paese per l’impossibilità di trovare un lavoro a causa delle scarse possibilità che la zona offre, caratterizzata da condizioni di estrema povertà, per cercare un impiego per sostenere l’intera famiglia e le cure del padre malato.

Si ritiene quindi che il giudice di merito non abbia tenuto adeguatamente tenuto conto di quel giudizio controfattuale così come richiesto nella sentenza SS.UU n. 29459 del 2019 secondo cui ai fini del riconoscimento della protezione occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine in raffronto all’integrazione raggiunta in Italia, dove il richiedente ha un contratto in una pizzeria, non potendosi negare una sproporzione tra la condizione raggiunta dal richiedente e quella che avrebbe se tornasse nel paese d’origine.

6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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