Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25542 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28084/19 proposto da:

B.O., difeso dall’avvocato Raffaele Miraglia, procura

speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato a Roma,

v.le Angelico n. 38;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma 11.7.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15 luglio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.O., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo che, essendo stato dichiarato erede universale alla morte del proprio padre, gli altri parenti dopo la pubblicazione del testamento lo minacciarono di morte.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento B.O. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Roma, che la rigettò con Decreto 11 luglio 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso, perchè nei fatti narrati dallo stesso ricorrente non era ravvisabile alcuna persecuzione;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potesse essere concessa, perchè il ricorrente, secondo quanto da lui stesso riferito, non era esposto al rischio di tortura, nè al rischio di condanna a morte;

c) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa perchè nella zona di provenienza del ricorrente (Ondo State, Nigeria), non era in atto alcuna situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (il tribunale richiama al riguardo il contenuto del rapporto EASO del 2017);

d) la protezione umanitaria, infine, non potesse essere concessa perchè il ricorrente nè si trovava in una condizione di vulnerabilità, nè aveva conseguito nel nostro paese alcuna integrazione sociale; ha osservato al riguardo il tribunale che il ricorrente non aveva un lavoro, nè aveva non solo provato, ma nemmeno allegato “particolari condizioni di vulnerabilità, per motivi personali o di salute, che consentano di accordare la protezione umanitaria, nè la condizione sociopolitica del paese di origine mette a rischio l’esercizio dei diritti fondamentali della popolazione”.

Infine, il tribunale ha osservato che alcun rilievo, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, poteva darsi alle dichiarate torture subite durante il soggiorno in Libia, “le quali, in presenza di un certificato medico che non attesta il persistere ad oggi di eventuali esiti patologici, restano del tutto indefinite ed irrilevanti nel caso di specie”.

3. Il suddetto decreto è stato impugnato per cassazione da B.O. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente, formalmente prospettando i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato la domanda di concessione della protezione sussidiaria.

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene plurime censure.

1.1. Con una prima censura il ricorrente deduce che il decreto impugnato sarebbe “privo di motivazione”; sostiene che il tribunale, per stabilire se nella regione di provenienza del ricorrente esistesse o no una situazione di conflitto armato, ha fatto riferimento ad un rapporto dell’EASO “senza neppure estrapolarne una riga”; il che costituirebbe una omissione di motivazione.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato.

Il giudice di merito infatti ha l’obbligo di indicare nella motivazione le fonti del proprio convincimento, ma non certo quello di trascriverle.

1.3. Con una seconda censura il ricorrente sostiene che il decreto impugnato sarebbe contraddittorio perchè, da un lato, ammette che in Nigeria esiste una “situazione critica sotto il profilo del rispetto dei diritti umani”; ma dall’altro lato ha negato la protezione sussidiaria richiesta dal ricorrente.

1.4. La censura è manifestamente infondata. Il decreto impugnato non contiene nessuna contraddizione tale da rendere nulla la motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

La motivazione esordisce con una proposizione concessiva (“pur ammettendo che la situazione in Nigeria continua a restare critica sotto il profilo del rispetto dei diritti umani”), e si conclude con la proposizione principale in cui si afferma che tuttavia tali criticità si “declinano in modelli distinti” a seconda delle varie regioni del Paese, e che in quella di provenienza del ricorrente tale situazione critica non sussisteva.

Il Tribunale dunque non è affatto incorso in una contraddizione (concepibile solo se avesse affermato e negato nello stesso tempo il medesimo fatto), ma ha semplicemente adottato una struttura sintattica della motivazione costituita da una proposizione principale (“nella regione del ricorrente non c’è violenza indiscriminata”), preceduta da una proposizione concessiva subordinata esplicita (“anche se in Nigeria vi è una situazione critica”).

1.5. Con una terza censura il ricorrente prospetta la “contraddittorietà” del decreto impugnato, sotto un diverso profilo: e cioè a causa dello iato tra le conclusioni cui è pervenuto il tribunale e le fonti di informazioni citate nel ricorso. In sostanza deduce il ricorrente che il tribunale ha sbagliato a ritenere “sicura” la regione di Ondo State.

1.6. Il motivo è manifestamente inammissibile perchè censura un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito.

La legge, infatti, impone al giudicante di valutare la domanda di protezione internazionale sulla base di fonti attendibili ed aggiornate. E indubbiamente i rapporti dell’EASO costituiscono fonti attendibili e nel caso di specie, aggiornate (alla data di pronuncia del decreto impugnato quello utilizzato dal tribunale era l’ultimo rapporto EASO disponibile, in quanto il rapporto sulla Nigeria del 2018 è stato rilasciato a novembre 2019, quattro mesi dopo il deposito del decreto impugnato).

Lo stabilire, poi, se le valutazioni dell’EASO siano più o meno attendibili rispetto a quelle di Amnesty International o altre organizzazioni, è questione di puro fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il motivo, la cui illustrazione si concentra in nove righe e mezzo, si compendia in una censura così riassumibile: le valutazioni compiute dal tribunale circa l’assenza di rischi per il ricorrente in caso di rimpatrio “sono apodittiche e destituite di fondamento”.

2.1. Nella parte in cui prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile, in quanto tale censura viene annunciata, ma non illustrata.

Nella parte in cui prospetta il vizio di violazione di legge il motivo è del pari inammissibile, in quanto puramente tautologico.

In esso, infatti, il ricorrente si limita a sostenere che il tribunale avrebbe errato nel negare la protezione sussidiaria perchè la sua valutazione sarebbe erronea: un’autentica immotivata petizione di principio, dunque, che non sottopone a questa Corte alcuna concreta e ragionata censura al decreto impugnato.

3. Col terzo motivo il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge e quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

La censura investe il capo di sentenza che rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il motivo, dopo una lunga premessa sui presupposti in iure del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (p. 13-16), prospetta due censure così riassumibili:

a) ha errato il tribunale a rigettare la domanda di protezione umanitaria, ritenendo “non allegati” dal richiedente i fatti giustificativi della stessa; infatti in questa materia non vige il principio dispositivo, e se il tribunale avesse ritenuto sussistere un deficit assertivo nelle allegazioni del ricorrente avrebbe dovuto, d’ufficio, “cooperare” per verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria;

b) in ogni caso ha errato il tribunale a ritenere non provati i fatti giustificativi della domanda di protezione umanitaria, perchè il tribunale avrebbe dovuto “completare l’indagine sociopolitica della Nigeria, non limitandosi alla verifica delle condizioni di violenza nella regione dell’Ondo State. Se l’avesse fatto, il tribunale avrebbe dovuto concludere che la Nigeria è un paese che si trova in una condizione generale di povertà e di compromissione grave dei diritti umani inviolabili”.

3.1. La prima delle censure appena riassunte è infondata perchè nessuna delle norme contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007 e nessuna delle norme contenute nel D.Lgs. n. 25 del 2008, consente di derogare all’onere di allegazione.

Questa Corte, a tal riguardo, ha già ripetutamente affermato che “in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione (Sez. 1, Ordinanza n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624 – 01; nello stesso senso, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10042 del 28.5.2020; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10041 del 2020; Sez. 1, Ordinanza n. 9833 del 2020; Sez. 1, Ordinanza n. 9825 del 2020; Sez. 1, Ordinanza n. 9818 del 2020; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9554 del 2020).

3.2. Quanto alla censura di cui al p. 3 che precede, lettera (b), essa è nello stesso tempo:

-) inammissibile, perchè il ricorrente, in violazione dell’onere impostogli dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, non indica mai nel ricorso con chiarezza quali sarebbero le “condizioni peculiari di vulnerabilità” poste a fondamento della domanda di protezione umanitaria, al di là di riferimenti generici e generali sulla condizione della Nigeria.

Giova rammentare, a tal riguardo, che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 29459/19, hanno affermato (p. 10.2 dei “Motivi della decisione”) che “non può (…) essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari (…) in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (…).

Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Colui il quale invoca il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto, ha l’onere di allegare a fondamento di tale domanda, sin dall’atto introduttivo del giudizio, non già e non solo quale sia la generale condizione del suo paese di origine, ma anche e soprattutto i fatti particolari ed a lui solo riferibili, che lo renderebbero, in caso di rimpatrio, una persona “vulnerabile”.

Con la ulteriore conseguenza che, ove la suddetta domanda venga rigettata nel merito, chi intenda ricorrere per cassazione avverso tale decisione di rigetto ha l’onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, di indicare nel ricorso quali erano le circostanze specifiche e particolari dedotti sin dall’atto introduttivo del giudizio a fondamento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

-) inammissibile, altresì, perchè lo stabilire se nella regione nigeriana di Ondo State vi sia o non vi sia una situazione di compromissione dei diritti umani è una valutazione di fatto, riservata al giudice di merito, e sindacabile in sede di legittimità solo sotto il limitato profilo del mancato ricorso, da parte del giudice di merito, a fonti attendibili ed aggiornate sulla situazione del paese;

-) in ogni caso infondata, giacchè ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari può venire in rilievo la condizione oggettiva nella regione di provenienza del richiedente, non certo quella delle parti restanti del Paese di origine.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

Il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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