Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25542 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/10/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 12/10/2018), n.25542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 696-2014 proposto da:

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO 45, presso lo studio degli avvocati GIOVANNI PELLETTIERI,

ROSA TRONCELLITI, che la rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 54, presso lo studio dell’avvocato MARINA ZELA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANILO VITALI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7311/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/10/2013 R.G.N. 3726/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione;

udito l’Avvocato ROSA TRONCELLITI;

udito l’Avvocato MARINA ZELA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 7311/2013, depositata il 7 ottobre 2013, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado; con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto la domanda di B.A. diretta ad ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., in luogo del formale datore di lavoro Rotoclass S.r.l., società dalla quale era stata assunta con un contratto a termine nel (OMISSIS) nell’ambito di un contratto di appalto di servizi stipulato da detta società con la Cassa prima per fornitura di archivi metallici e poi per movimentazione fascicoli.

2. La Corte di appello rilevava, a sostegno della propria decisione, come fosse univocamente emerso dall’istruttoria che erano i referenti della Rotoclass S.r.l. a decidere dove collocare i dipendenti nei diversi compiti e a controllare il lavoro svolto e come., d’altra parte, secondo quanto riferito dai testi, l’appellante non ricevesse ordini e direttive dai personale della Cassa, a dimostrazione che quella dell’impresa appaltatrice non era una mera gestione amministrativa ma una genuina ed effettiva organizzazione del personale addetto al servizio appaltato: un quadro probatorio la cui valutazione la Corte territoriale condivideva con il primo giudice e che risultava corrispondente tanto ai criteri di cui alla L. n. 1369 del 1960, ancora in vigore all’epoca di inizio del rapporto, quanto ai criteri della successiva disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, senza che potesse rilevare in senso diverso l’esame del contenuto del contratto di appalto o dell’oggetto sociale dell’appaltatrice, esame che la parte appellante riteneva omesso ma di cui non chiariva l’idoneità a fondare conclusioni diverse.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la B. con undici motivi, cui Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. ha resistito con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per assenza della sottoscrizione del Presidente estensore, non risultando idoneo alla identificazione dello stesso il segno grafico apposto sul documento.

2. Il motivo è infondato.

3. E’ stato al riguardo precisato che “la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, costituente requisito della sua esistenza giuridica a norma dell’art. 162 c.p.c., comma 2, deve essere costituita da un segno grafico che abbia caratteristiche di specificità sufficienti e possa quindi svolgere funzioni identitarie e di riferibilità soggettiva, pur nella sua eventuale illeggibilità, la quale non inficia la idoneità della sottoscrizione se sussistono adeguati elementi per il collegamento del segno grafico con un’indicazione nominativa contenuta nell’atto (nella specie, la S.C. ha ritenuto non inficiata da nullità la sentenza di appello in quanto era stato possibile individuare l’estensore dalla indicazione del relatore nell’intestazione della decisione con sigla dello stesso in tutte le pagine, stante la presunzione di identità tra questi e l’estensore del provvedimento)”: Cass. n. 7713/2002.

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di appello omesso di valutare la legittimità degli appalti tra Rotoclass e Cassa Depositi e Prestiti alla luce della L. n. 1369 del 1960, sebbene tale valutazione fosse stata parte del dibattito processuale già dal primo grado di giudizio e il rapporto di lavoro della ricorrente fosse sorto in epoca precedente ((OMISSIS)) all’entrata in vigore della nuova disciplina del D.Lgs. n. 276 del 2003 in tema di somministrazione irregolare e fraudolenta.

5. Il motivo è inammissibile, poichè non si conforma al modello legale del nuovo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte nel 2012 (a fronte di sentenza di appello depositata in data successiva all’entrata in vigore della riforma): in particolare, il motivo in esame, risolvendosi nella denuncia dell’erronea qualificazione giuridica della fattispecie, trascura di individuare il fatto “storico”, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito e che, ove considerato nella ricostruzione della vicenda, avrebbe determinato un diverso esito della controversia, in termini di certezza e non di mera probabilità (Sez. U n. 8053 e n. 8054 del 2014 e successive numerose conformi).

6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce (3a) la nullità della sentenza di appello ex art. 360, n. 4 per omessa motivazione, essendosi la Corte limitata a ritenere e dichiarare infondato il motivo di gravame relativo all’applicazione della sola disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003 sul rilievo che il giudice di primo grado aveva applicato principi comuni alle due normative e peraltro senza chiarire in che cosa consistessero tali principi; deduce, inoltre, in subordine, ex art. 360 c.p.c., n. 3: (3b) il vizio di falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,29 e 30, all’art. 11 disp. gen. e all’art. 113 c.p.c. e (3c) il vizio di violazione di norme di diritto, in relazione alla L. n. 1369 del 1960, per avere la Corte, nel ribadire la decisione del primo giudice circa la “continuità di principi”, sostanzialmente valutato l’intera fattispecie alla stregua della disciplina sopravvenuta ovvero mediante l’applicazione di norme (quale la L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3) in esplicito contrasto con quest’ultima.

7. Il motivo è inammissibile.

8. Quanto al profilo di censura (3a), si osserva che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017).

9. Nella specie, non è identificata dalla ricorrente alcuna di tali gravi situazioni di anomalia motivazionale, nè comunque la motivazione risulta astretta alla sola proposizione censurata, la quale, in una lettura necessariamente unitaria della decisione, deve essere integrata con le ampie considerazioni successivamente svolte in sentenza (cfr. pp. 3-4).

10. Quanto ai (subordinati) profili di censura (3b) e (3c), se ne deve rilevare la palese inammissibilità, per difetto di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che risulterebbero in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione di queste stesse norme fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, solo in tal modo il giudice di legittimità essendo posto nella condizione di verificare il fondamento della violazione denunciata (cfr., fra le molte, Cass. n. 14832/2007).

11. Con il quarto motivo la ricorrente deduce ex art. 360, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte di appello trascurato di considerare che la lavoratrice dall’inizio del rapporto aveva prestato attività di “movimentazione dei fascicoli di archivio” quando ancora tale attività non era stata affidata all’appaltatrice (lo sarebbe stata a partire dal (OMISSIS)) e, quindi, risultava prestata fuori contratto, in violazione del divieto di intermediazione di manodopera.

12. Con il quinto motivo la ricorrente deduce ex art. 360, n. 5 l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti per avere la Corte ritenuto tardivi i richiami effettuati allo svolgimento di mansioni estranee all’appalto.

13. Il quarto e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente per l’identità delle questioni che pongono, risultano inammissibili.

14. Con entrambi, infatti, la ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 360, n. 5, senza censurare – con i mezzi specifici e pertinenti a ciascuna di esse – le ragioni di ordine processuale situate “a monte” del dedotto omesso esame di fatti decisivi per la ricostruzione della vicenda e cioè, da un lato, la ritenuta genericità del rilievo mosso dall’appellante alla decisione di primo grado (“… non essendo precisato in che modo l’esame dei contratti potesse far pervenire ad una diversa decisione”: cfr. sentenza impugnata, p. 2, penultimo e ultimo capoverso); dall’altro, la ritenuta tardività di “qualsiasi rilievo sul punto”, la deduzione che le mansioni svolte “fossero estranee all’appalto” non essendo contenuta “nel ricorso originario” dell’appellante (cfr. p. 3, in principio).

15. Con il sesto la ricorrente deduce ex art. 360, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte omesso di motivare, o per avere reso una motivazione del tutto incongrua, là dove aveva ritenuto generico il rilievo, contenuto nel ricorso in appello, secondo cui la Cassa non aveva contestato specificamente i fatti e la documentazione allegata, non essendo precisato, dall’appellante, quali fatti e documenti, rilevanti per la decisione, non fossero stati contestati, a fronte delle specifiche contestazioni formulate invece nella memoria di costituzione.

16. Il motivo in esame è infondato, posto che – secondo consolidato orientamento di questa Corte (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 24155/2017) ad integrare il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. è necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; e peraltro anche inammissibile, consistendo nella perplessa deduzione sia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 4, sia – come sembra doversi desumere dallo sviluppo argomentativo e segnatamente dalle osservazioni riportate a p. 13 del ricorso, sub b) – di un vizio di omesso esame di fatti che, in quanto non specificamente contestati, risulterebbero di portata decisiva per la risoluzione della controversia.

17. Con il settimo motivo la ricorrente (7a) deduce ex art. 360, n. 4 la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) per non avere la Corte proceduto ad un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie, essendosi limitata a utilizzare le considerazioni svolte in proposito dal giudice di primo grado; (7b) deduce inoltre, in via subordinata, il vizio di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360, n. 5) con riferimento a quella parte della motivazione della sentenza in cui la Corte di appello ha ritenuto univoci gli elementi istruttori acquisiti al giudizio, pur a fronte di testimonianze non concordanti.

18. Anche questo motivo non può essere accolto, con riferimento ad entrambe le censure in cui esso si articola.

19. In primo luogo, si rileva, quanto al profilo (7a), che può aversi violazione della regola della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato); con la conseguenza che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (cfr., fra le molte, Cass. n. 455/2011).

20. D’altra parte, è da ritenere che il giudice di appello, diversamente da quanto esposto nel corpo della censura, abbia proceduto ad un’autonoma e motivata valutazione delle risultanze istruttorie, secondo ciò che emerge dalla sentenza (cfr. p. 3, 4 capoverso e p. 4, 7 capoverso).

21. Quanto al (subordinato) profilo di censura (7b), si deve rilevare che, con esso, la ricorrente abbandona di fatto il terreno del controllo motivazionale nei termini peraltro ora consentiti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – per sollecitare una rilettura e una nuova valutazione del materiale di prova e cioè il compimento di un’attività che è estranea ai compiti e al ruolo rivestito nell’ordinamento dalla Corte di legittimità e che è invece propria del giudice del merito.

22. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360, n. 5) con riferimento a quella parte della sentenza in cui la Corte ha preso in considerazione il motivo di appello relativo al fatto, di cui il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto, che nell’oggetto sociale dell’appaltatrice non era compresa la fornitura di propria manodopera.

23. Con il nono la ricorrente deduce ex art. 360, n. 4 la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) per avere la Corte, nella trattazione dello stesso mezzo di gravame, omesso di motivare circa le ragioni per le quali le mansioni di usciere e commesso e le attività di anticamera dovessero essere ricondotte all’oggetto sociale “movimentazione di documenti cartacei e archiviazione” invece che ad una chiara fornitura di manodopera al di fuori dell’oggetto sociale.

24. I motivi ottavo e nono, da esaminarsi anch’essi congiuntamente, risultano inammissibili.

25. Ribadito, infatti, quanto già sopra osservato (n. 16) riguardo alla portata del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, si deve osservare come la sentenza impugnata abbia, in realtà, esaminato le circostanze di fatto relative alle mansioni concretamente assegnate alla B. nel loro rapporto con l’oggetto sociale dell’appaltatrice.

26. Con il decimo la ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, fatti individuati nell’utilizzo, da parte dell’appaltatrice, di strumenti, attrezzature e beni aziendali in proprietà della committente, con le relative conseguenze in tema di presunzione assoluta di illiceità in base alla L. n. 1369 del 1960.

27. Il motivo è fondato.

28. La Corte di merito si è invero limitata ad affermare la tardività della deduzione senza considerare le allegazioni svolte al riguardo nel ricorso introduttivo del giudizio (riportate nel ricorso per cassazione, p. 22, nel rispetto del preciso onere di deduzione richiamato dalle pronunce delle Sezioni Unite).

29. Nè può revocarsi in dubbio, e comunque la ricorrente l’ha fatta oggetto di specifica discussione, la “decisività” della circostanza, in quanto potenzialmente idonea a fondare la presunzione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3, disciplina regolatrice della fattispecie dal sorgere del rapporto ((OMISSIS)) fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003.

30. Al riguardo, questa Corte ha, tuttavia, precisato che “la utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dalla L. n. 1369 del 1960, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore. La sussistenza o meno della modestia dell’apporto va accertata in concreto, e il relativo apprezzamento costituisce valutazione di fato, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivata” (Cass. n. 2852/2004).

31. Risulta infine palesemente inammissibile, per difetto di idonea e pertinente censura, l’undicesimo motivo, con il quale la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5) con riferimento all’affermazione in diritto della Corte territoriale, per la quale l’eventuale nullità del termine apposto al contratto di lavoro non potrebbe avere alcun effetto nei confronti della Cassa in presenza di un appalto genuino, il quale esclude l’attribuzione della titolarità del rapporto alla interponente.

32. L’impugnata sentenza n. 7311/2013 della Corte di appello di Roma deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del decimo motivo, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuova valutazione della fattispecie sotto il profilo dell’utilizzo da parte della lavoratrice di strumenti, attrezzature e beni aziendali in proprietà della committente, si atterrà al principio di diritto sopra richiamato (n. 30).

P.Q.M.

La Corte accoglie il decimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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