Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25540 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/10/2017, (ud. 11/07/2017, dep.27/10/2017),  n. 25540

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15152-2016 proposto da:

O.R.V.I. (ORGANIZZAZIONI. ROMANA VENDITA INFISSI) S.R.L. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIA, n. 833, presso lo

studio dell’avvocato GIANLUCA MACCHIA, che la rappresenta e difende

unitamente e disgiuntamente all’avvocato FLAVIO PIERI PAVONI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6660/38/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. MANZON ENRICO.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 25 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dalla ORVI -Organizzazione Romana Vendita Infissi- srl avverso la sentenza n. 6622/2/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRIS, IVA 2006. La CFR osservava in particolare che la metodologia accertativa doveva considerarsi legittima, affermando il principio che la relativa scelta, nell’ambito delle tipologie previste dalla legge, doveva considerarsi una facoltà discrezionale dell’agenzia fiscale; che il contraddittorio era stato pienamente realizzato nella fase endoprocedimentale e che comunque tale adempimento non doveva affermarsi obbligatorio nel caso di specie, poichè si trattava di attività istruttoria non espletata presso la società contribuente.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

La ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative e costituzionali, poichè la CTR ha sancito la legittimità della metodologia accertativa seguita dall’Ente impositore ancorchè contraddittoriamente basantesi sulle diverse tipologie previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 1 e 2 e quindi sia su quella di tipo analitico-induttivo sia su quella di tipo induttivo “puro”.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, rientra nel potere dell’amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata” (Sez. 5, Sentenza n. 8333 del 25/05/2012, Rv. 622708 – 01; conforme Sez. 5 -, Sentenza n. 2872 del 03/02/2017, Rv. 642889 01).

Correttamente la sentenza impugnata ha seguito tale arresto giurisprudenziale consolidato e per tale ragione non merita certo cassazione.

In particolare la CTR ha puntualmente risposto sul corrispondente motivo di gravame meritale sia in termini generali sia sullo specifico punto della “riconciliazione contabile”, sicchè risulta evidente che la censura chiede in realtà a questa Corte non tanto l’esercizio della sua funzione di nomofilachia, quanto, inammissibilmente, quello di revisione della decisione di secondo grado su di una questione valutativa di merito.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., poichè la CIR ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante il vizio motivazionale e l’omessa pronuncia della sentenza appellata sull’eccezione -fatta valere con il ricorso introduttivo della lite- di inadeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

La censura è infondata.

Risulta infatti evidente che il giudice tributario di appello pronunciandosi sulla questione delle metodologie accertative concretamente utilizzate dall’agenzia fiscale, ha per implicito sancito anche la correttezza del percorso motivazionale dell’atto impositivo impugnato.

Così decidendo la CTR si è correttamente adeguata al principio di diritto secondo il quale “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011, Rv. 619134 – 01).

Peraltro va anche rilevato che, così come dedotto e riportato nel ricorso, il motivo di gravame de quo non può comunque considerarsi dotato di sufficiente specificità, poichè censura soltanto l’omessa pronuncia del primo giudice, ma non ripropone nel merito la questione oggetto del punto decisionale implicato.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poichè la CTR ha rigettato la sua eccezione – riproposta in secondo grado- di illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per difetto del contraddittorio endoprocedimentale.

La censura è infondata.

Va anzitutto ribadito che:

“In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01);

“In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01).

Non è dubbio che la sentenza impugnata abbia attuato entrambi tali arresti giurisprudenziali, peraltro rilevando in fatto, con giudizio meritale non ulteriormente sindacabile in questa sede, che contrariamente a quanto sostenuto dalla appellante società contribuente, nella fase amministrativa di accertamento del tributo e prima dell’emissione dell’atto impositivo conclusivo della medesima, vi era stato un ampio ed articolato contraddittorio con la società contribuente stessa.

In ogni caso va anche notato che la CTR laziale ha specificamente valutato la questione della “pretestuosità” dell’opposizione della società contribuente, esprimendo un giudizio in questo senso negativo. Infine va rilevato che con ordinanza n. 187/2017 la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione incidentale di legittimità costituzionale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana di cui è cenno nella memoria della ricorrente.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 22.000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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