Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25540 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 13/12/2016, (ud. 12/10/2016, dep.13/12/2016),  n. 25540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3194-2015 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CRISTINA MINICI giusta procura speciale rilasciata il 27/11/2014

innanzi al Notaio I.G.L. allegata in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA PERUGIA, QUESTURA PERUGIA;

– intimate –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di PERUGIA, emessa

l’8/11/2014 e depositata il 10/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, rilevato che sul ricorso n. 3194/15 proposto da B.M. nei confronti del Prefetto di Perugia il consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis c.p.c. la relazione che segue.

“Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue.

B.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso il provvedimento del giudice di pace di Perugia depositato il 10.11.14 che ha rigettato il ricorso proposto avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Perugia.

L’amministrazione dell’Interno non ha resistito con controricorso.

Con i due motivi di ricorso il ricorrente lamenta sotto diversi profili la violazione del diritto all’unità familiare deducendo di essere convivente con la sorella cittadina italiana. In particolare assume che il giudice di pace abbia omesso di pronunciarsi sulla esistenza di causa ostativa all’espulsione e inoltre di aver violato l’art. 115 c.p.c. basando la propria decisione su circostanze non emerse in giudizio.

Al di là della intestazione delle due rubriche i motivi in esame lamentano in sostanza una carenza di motivazione da parte del decreto impugnato, come risulta dalla affermazione contenuta nelle premesse in fatto secondo cui “la motivazione del provvedimento risulta manifestamente carente non contenendo alcun riferimento alle censure mosse in ricorso”.

Le doglianze appaiono sotto tale profilo fondate.

L’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art 54, comma 1 convertito con L. n. 134 del 2012, che prevede la possibilità di proporre ricorso per cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e non più per insufficiente o contraddittoria motivazione.

Su tale modifica normativa è intervenuta una sentenza delle Sezioni unite di questa Corte che ha chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (8053/14 sez un).

La sentenza in esame ha anche precisato al livello interpretative che la nuova la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. 8053/14 sez un).

Le censure del ricorrente appaiono fondate in relazione a questi ultimi citati aspetti.

La motivazione fornita dal giudice di pace è la seguente.

RITENUTO:

– che B.M. cittadino albanese scarcerato dalla Casa circondariale di Perugia per espiazione della pena di anni 6, mesi 10 e giorni 20 di reclusione e privo, in seguito ai rilievi effettuati presso la Questura di valido permesso di soggiorno;

che in seguito ai controlli effettuati risultava irregolarmente presente sul territorio nazionale da oltre 12 anni;

– che, come risulta dai documenti in atti per i vari reati commessi in Italia, sia contro il patrimonio che contro le persone, aveva cumulato pene fino a 31 anni;

– che la moglie e i due figli nati Italia dimoravano presso la sorella B.M.;

– che la permanenza in Italia in forma irregolare da oltre 12 anni e che la mancanza di certificazione circa i legami familiari, anche con la sorella che ha acquisito la cittadinanza italiana il 15/02/2013, ben undici mesi dopo il suo arresto avvenuto il 06/02/2012;

che, visti i gravi precedenti penali a suo carico, la mancanza del passaporto e di idonea documentazione che dimostri stabile dimora e adeguate risorse economiche;

che la Dott.ssa C., Giudice di Pace di Perugia aveva disposto l’espulsione con accompagnamento alla frontiera il 24/09/2014;

– che risultano pretestuose tutte le censure contenute nel ricorso;

che una permanenza nel territorio italiano lo porrebbe in stato di clandestinità.

Tale motivazione appare del tutto apparente.

Da essa non è infatti dato comprendere se il giudice di pace abbia esaminato e preso in considerazione la dedotta causa ostativa all’espulsione costituita dalla convivenza con un parente entro il secondo grado avente cittadinanza italiana stante l’assolutamente generico riferimento alla mancanza di certificazione circa i legami familiari ed alla circostanza di per sè irrilevante che la moglie ed i figli del B. si trovavano presso la sorella di quest’ultimo nonchè alla ulteriore circostanza che la sorella abbia acquisito la cittadinanza solo nel 2013.

Parimenti non è dato comprendere dal riferimento ai precedenti penali del ricorrente se il giudice di pace abbia voluto sottolineare che,anche in caso di sussistenza della causa ostativa all’espulsione di cui al TUI, art. 19, comma 2, lett. c).

quest’ultima era venuta meno per effetto della pericolosità sociale di cui alla disposizione di cui al medesimo TUI, art. 13, comma 2, lett. c).

Ma anche in tal caso non si rinviene alcuna specifica motivazione in ordine alla detta pericolosità.

La motivazione appare quindi del tutto apparente oltre che perplessa ed obiettivamente non comprensibile.

Ricorrono i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c. per la trattazione in camera di consiglio.

PQM.

Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.

Roma 3.1.16.

Il Cons. relatore”.

Considerato:

che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;

che pertanto il ricorso va accolto con conseguente cassazione del provvedimento impugnato e rinvio anche per le spese al giudice di pace di Perugia in persona di diverso giudicante.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese al giudice di pace di Perugia in persona di diverso giudicante.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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