Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2554 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 25/11/2019, dep. 04/02/2020), n.2554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32940/2018 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliato in Roma Piazzale Don G.

Minzoni, 9, presso lo studio dell’avvocato Luponio Riccardo che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 750/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata in data 4.6.2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., proposta da A.D., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo il suo racconto stato ritenuto credibile (costui aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria per paura del gruppo terroristico di (OMISSIS) che già aveva ucciso suo padre).

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel suo paese di provenienza.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione A.D. affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta l’omessa, insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

2. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, a prescindere dal fatto che ha riportato erroneamente la previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non ha minimamente illustrato il motivo, limitandosi ad indicare genericamente e in via generale i criteri in base ai quali il giudice deve esaminare la domanda di protezione internazionale.

3. Con il secondo motivo è stata la violazione delle norme di diritto in materia di protezione internazionale.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha preso in considerazione la precaria situazione terroristica nel nord della Nigeria nonostante lo stesso avesse raccontato con dovizia di particolari le condotte degli appartenenti al gruppo (OMISSIS).

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione delle norme di diritto in materia di protezione sussidiaria.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non gli ha riconosciuto la protezione sussidiaria nonostante che lo stesso si è trasferito da piccolo nel nord-est della Nigeria nel villaggio di (OMISSIS), ove ha la propria base il gruppo terroristico (OMISSIS).

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente collegate, sono inammissibili.

Il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del giudice di secondo grado, il quale, da un lato, ha dato atto che lo stesso è nato nel (OMISSIS) (zona meridionale della Nigeria non interessata da episodi di infiltrazione fondamentalistica e terroristica), dall’altro, non ha ritenuto credibile il racconto riferito dal richiedente in ordine alla sua provenienza dalla zona nord-est della Nigeria (in cui il gruppo (OMISSIS) è invece presente). In particolare, la Corte d’Appello ha evidenziato che il ricorrente non è stato in grado di descrivere i luoghi da cui asserisce di provenire (in particolare (OMISSIS)) limitandosi a generici richiami in ordine alla pericolosità della situazione esistente in Nigeria.

Il ricorrente si è dunque limitato ad invocare la pericolosità della zona nord-est della Nigeria ignorando che la Corte d’Appello aveva escluso la sua provenienza da quella regione in ragione dell’inattendibilità del suo racconto.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 32.

Lamenta il ricorrente che secondo le più recenti decisioni della C.E.D.U. gli Stati hanno il dovere di offrire protezione ogni qualvolta vi sia l’urgenza di proteggere un diritto fondamentale dell’individuo.

In particolare, lo stesso, in caso di rientro nel paese d’origine, sarebbe esposto al rischio di essere ucciso in un contesto sociale caratterizzato da instabilità ed insicurezza.

7. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, oltre a non essere stato dedotto assolutamente nulla dal ricorrente in ordine alle condizioni personali di vita prima della sua partenza dal paese d’origine (se non con riferimento ai motivi del suo allontanamento, ritenuti e non credibili dal Tribunale), è stata dedotta la violazione dei diritti fondamentali in Camerun in modo molto generico, per lo più con riferimento alla situazione di instabilità ed insicurezza presente nel paese.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta comunque la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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