Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25538 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 21/09/2021), n.25538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11890-2020 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENNIO CERIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 274/2020 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO,

depositato il 04/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con D. in data 4/2/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da K.P. nata in Camerun il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. La richiedente asilo proveniente dal Camerun aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggita dal proprio paese in quanto il marito faceva parte di una gang e poiché voleva uscirne era stato picchiato insieme in lei e minacciato più volte tanto da decidere di fuggire dal paese. Avverso il decreto del Tribunale di Campobasso la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, riguardo al mancato esercizio dei poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e circolare n. 3716 del 2015 della Commissione nazionale diritto di asilo in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di merito, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorso proposto è inammissibile.

In ordine al primo motivo occorre osservare che effettivamente -secondo il consolidato insegnamento di questa Corte – è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione indicando specificatamente le fonti in base alle quali il giudice abbia svolto l’accertamento richiesto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 (Cass., 26/04/2019, n. 11312; Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020).

Tuttavia tale dovere è subordinato alle allegazioni del richiedente in quanto la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197; Cass., 28/06/2018, n. 17069). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016; Cass., 19/04/2019, n. 11096).

In tema di protezione internazionale, l’onere di allegazione del richiedente la protezione sussidiaria, nell’ipotesi descritta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), diversamente dalle ipotesi di protezione sussidiaria cd. individualizzanti, previste dall’art. 14, lett. a) e b), e in conformità con le indicazioni della CGUE (sentenza 17 febbraio 2009, causa C-465/07), è limitato alla deduzione di una situazione oggettiva di generale violenza indiscriminata – dettata da un conflitto esterno o da instabilità interna – percepita come idonea a porre in pericolo la vita o incolumità psico-fisica per il solo fatto di rientrare nel paese di origine, disancorata dalla rappresentazione di una vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio. Ne consegue che, ove correttamente allegata tale situazione, il giudice, in attuazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertarne l’attualità con riferimento alla situazione oggettiva del paese di origine e, in particolare, dell’area di provenienza del richiedente (Cass., 15/09/2020, n. 19224). In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi, pertanto, di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14. I c.d. soggetti non statuali possono, invero, considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 (cfr. Cass., 01/04/2019, n. 9043; Cass., 23/10/2020, n. 23281).

Nel caso concreto l’istante ha allegato – come si evince dalla sentenza e dallo stesso ricorso – una vicenda privata (aggressione da parte di una gang), e non una situazione di violenza indiscriminata. Non risulta, per contro, neppure allegato nel giudizio di merito che la medesima ricorrente si sia rivolta alle autorità pubbliche e non abbia ottenuto protezione alcuna, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 5. Il motivo non si confronta pertanto con la ratio decidendi dell’impugnata sentenza la quale afferma espressamente che la richiedente asilo non fa “alcun riferimento a conflitti armati o situazioni di violenza che interessano lo Stato”.

Quanto alla protezione umanitaria, di cui al secondo motivo di ricorso, il giudice territoriale ha motivato il diniego di protezione umanitaria in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte della richiedente non evidenziano situazione alcuna di vulnerabilità personale. Ne’ la ricorrente – al di là di generiche dissertazioni relative ai principi giuridici in materia, ed alla riproposizione dei temi di indagine già sottoposti al giudice di merito – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di primo e secondo grado, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità, neppure sotto il profilo dell’eventuale integrazione nella realtà sociale italiana.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parì a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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