Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25535 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30570/2019 proposto da:

M.A., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Sabrina Rossi, (sabrinarossi.ordineavvocatiroma.org) con studio in

Roma via Golametto n. 2, giusta procura specialè allegata al

ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 17556/2019 del Tribunale di Roma depositata il

14.06.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15.07.2020 dal Cons. Dott. Antonella di Florio.

– ricorrente –

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.A., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi ad un unico motivo per la cassazione del decreto del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda da lui proposta per ottenere la protezione internazionale attraverso il riconoscimento dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in ragione del rigetto dell’istanza avanzata, in via amministrativa, dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha narrato di aver vissuto nel proprio paese in stato di assoluta povertà a causa della morte prematura del padre e della concomitante malattia della madre che non le consentiva di svolgere alcuna attività lavorativa. Ha raccontato che nonostante tutto, aveva studiato ed era diventato agricoltore, ma che i disastri naturali avevano reso impossibile anche il lavoro agricolo. Era quindi fuggito dirigendosi in Libia dove si era trattenuto per due anni, subendo alcune violente aggressioni e trovando, poi, un lavoro alle dipendenze di un nigeriano che lo aveva aiutato ad imbarcarsi insieme a lui per migrare in Italia.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con unico articolato motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5 e art. 32.

1.1. Assume che il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente le norme richiamate, in quanto, pur riconoscendo che la situazione del proprio paese era peggiorata a seguito delle elezioni nazionali, non aveva individuato la ricorrenza dei presupposti per la protezione sussidiaria; nè aveva individuato i seri motivi di carattere umanitario riconducibili alle gravi carestie esistenti da circa quarant’anni nel distretto geografico di provenienza.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. In primo luogo, la censura è priva di specificità, con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Il ricorrente prospetta infatti, confusamente, critiche ricondotte senza alcuna distinzione sia alla protezione sussidiaria negata, sia al rigetto del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie: le due fattispecie pur potendo essere valutate in relazione alle medesime circostanze di fatto, postulano presupposti giuridici del tutto diversi fra loro, chiaramente individuati dai principi, ormai consolidati, affermati dalla giurisprudenza di legittimità (per la prima fattispecie cfr. ex multis Cass. 9090/2019 e Cass. 18306/2019; per la seconda cfr. da Cass., 4455/2018 e Cass. SUU 29459/2019 alle quali la presente motivazione si riporta integralmente).

1.4. Tanto premesso, si osserva che il complessivo motivo, inoltre, non coglie la ratio decidendi della statuizione del Tribunale nè sulla prima fattispecie (che postula il rischio di un danno grave derivante dalla condanna a morte o dall’esecuzione della pena di morte, o dalla tortura o altra forma di trattamento inumano e degradante o, da ultimo, una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del civile derivante dalla violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato interno o internazionale) riconoscibile per ipotesi neanche allegate dal richiedente; nè sulla seconda, rispetto alla quale egli, errando, ha ribadito che il Tribunale non aveva riscontrato una condizione di persecuzione riconducibile alle calamità naturali che affliggevano il paese (cfr. pag. 10 cpv. 10 del ricorso): l’incoerenza della censura rispetto al percorso argomentativo seguito dal Tribunale (che ha escluso, in coerenza con i fatti allegati e sulla base delle C.O.I. aggiornate e puntualmente richiamate che nel paese di origine ricorresse il rischio generalizzato di violenza indiscriminata e che, un giudizio di comparazione fra il livello di integrazione raggiunto e le condizioni di tutela dei diritti umani nel paese di origine, potesse condurre ad una valutazione di regressione della sua situazione personale in caso di rimpatrio: cfr. pag. 3 del decreto impugnato) risulta evidente in quanto non viene prospettato alcun elemento concreto, non esaminato o erroneamente valutato, attraverso il quale possa giungersi ad una diversa valutazione del giudizio di comparazione svolto.

1.5. In buona sostanza, la conformazione del motivo – non centrato rispetto alla motivazione – mostra una generica richiesta di rivalutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità.

2. Non sono dovute spese, atteso che il ricorso viene deciso in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1.

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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