Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25534 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29810/2019 proposto da:

Z.M.Z., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’avv.to Marco Grispo, (marcogrispo.ordineavvocatiroma.org)

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma via Otranto

12, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 2040/2019 del Tribunale di Caltanissetta

Sezione Specializzata Immigrazione, depositata il 18.9.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15.7.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Z.M.Z., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Caltanissetta, Sezione Specializzata Immigrazione, che aveva respinto la domanda proposta per ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in ragione del rigetto delle relative istanze avanzate, in via amministrativa, dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha narrato di essersi allontanato dal Pakistan in quanto aveva assistito all’omicidio del suo datore di lavoro che era un importante uomo politico del (OMISSIS): temeva, in ragione di ciò, di essere ucciso per vendetta, visto che dopo l’assassinio sopra descritto, gli attentatori si erano recati a casa sua dove non era stato trovato ma erano stati selvaggiamente picchiati il fratello ed il padre.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 e art. 32; nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.1. Lamenta, al riguardo, che la decisione del Tribunale era fondata su una motivazione apparente con la quale la sua credibilità era stata valutata attraverso un esame atomistico delle varie circostanze narrate che, invece, ove fossero state valutate attraverso la griglia interpretativa imposta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, avrebbero consentito di accedere ad un maggiore approfondimento della situazione narrata, anche attraverso l’acquisizione delle COI aggiornate sul paese di origine: assume che il Pakistan continuava ad essere afflitto da attacchi terroristici e da violenza indiscriminata, ancora permanente nell’intero Punjab ed anche nella specifico territorio di provenienza.

1.2. Il motivo è inammissibile.

La censura, infatti, non illustra in alcun modo la violazione delle norme di diritto indicate nella intestazione, e si risolve in una manifestazione di mero dissenso rispetto alla valutazione della quaestio facti argomentata dal Tribunale.

1.3. Essa è articolata con l’evocazione di “travisamento dei fatti”,di “contraddittorietà della motivazione” e di motivazione apparente (cfr. pag. 5 secondo cpv.): ma tanto basta a porla al di fuori della logica del controllo sulla ricostruzione consentita in sede di legittimità in base al pur invocato paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, rispetto al quale, tuttavia, non vengono indicati con sufficiente esattezza i fatti storici che il Tribunale avrebbe omesso di valutare, sia in relazione alla credibilità del racconto della vicenda legittimante, sia in relazione alla parte dedicata a contestare l’apprezzamento della situazione del Punjab, che, fra l’altro, è articolata senza fornire in alcun modo l’indicazione specifica degli elementi prospettati nel ricorso dinanzi al Tribunale (vedi pag. 18, dove si allude appunto genericamente al ricorso introduttivo).

1.4. Per contro, la motivazione del decreto, proprio avvalendosi della griglia valutativa prescritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (che viene espressamente riportata: cfr. pag. 2 primo cpv ricorso), ricostruisce la complessiva vicenda narrata dal ricorrente, evidenziandone in modo puntuale le numerose incongruenze e contraddizioni in ragione delle quali il racconto non è stato ritenuto credibile: sono state, infatti, evidenziate insuperabili incompatibilità logiche come ad esempio la circostanza che dinanzi alla Commissione Territoriale il ricorrente avesse dichiarato di non essere presente sui luoghi dell’attentato ai danni del suo datore di lavoro al momento in cui esso fu commesso, rispetto a quella, invero opposta e dunque contraddittoria, di aver riconosciuto gli attentatori quando si recarono presso la sua abitazione per cercarlo; alla quale si aggiunge l’ulteriore fatto riferito, invero incoerente, di non essere presente in casa quando gli attentatori erano andati a cercarlo e, non trovandolo, avevano picchiato soltanto il padre ed il fratello.

1.5. Il percorso argomentativo della Corte in punto di credibilità, dunque, risulta congruo e logico e la censura – inesistente la violazione di legge denunciata – maschera una richiesta di rivalutazione di merito degli aspetti fattuali della controversia, non consentita in questa sede: al riguardo, la considerazione che precede è riferita dal Collegio anche alla valutazione concernete le fonti informative aggiornate, visto che il Tribunale mostra di aver ottemperato al dovere di cooperazione istruttoria prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo fondato il convincimento della non pericolosità del paese e della regione di origine del ricorrente sul rapporto Easo del 2018 relativo al Pakistan, da ultimo aggiornato (cfr. pag. 4 del decreto impugnato) rispetto alla data della decisione che, descrivendo la situazione del distretto di provenienza del richiedente, ha affermato che, pur presenti alcuni “incidenti mortali”, le informazioni ufficiali escludevano che ricorresse sia una situazione di violenza indiscriminata, sia una situazione di conflitto armato nell’accezione fatta propria dalla giurisprudenza Europea ed interna (cfr. C.G.E. 30.1.2014, C 285/12 Diatikè).

1.6. Ed, al riguardo, vale solo la pena di rilevare che le fonti internazionali richiamate dal ricorrente a sostegno della propria tesi difensiva non risultano affatto aggiornate, risalendo agli anni 2013, 2014 e 2016 (cfr. pagg. 25,26 e 27): esse, ponendosi in contrasto con le previsioni del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, non sono quindi idonee a contraddire la motivazione resa sul punto dal Tribunale.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

2.1. Lamenta che il Tribunale avrebbe apoditticamente escluso sia la sua vulnerabilità sia il livello di integrazione, svalutando immotivatamente la documentazione prodotta a sostegno dell’apprendimento della lingua italiana e dello svolgimento di attività lavorativa e riconducendo l’altro termine di paragone – e cioè il rischio di violazione del nucleo ineliminabile dei diritti fondamentali e della dignità umana in caso di rimpatrio – alle medesime informazioni assunte in relazione alla protezione sussidiaria, oggetto di apodittica motivazione.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. Premesso che il Tribunale, sia pur sinteticamente, ha dato atto di aver esaminato i profili di integrazione allegati, compreso quello relativo alla documentata attività lavorativa svolta (cfr. 5 del decreto impugnato), circostanza questa che vale ad escludere la fondatezza della censura di omesso esame di un fatto decisivo, deve escludersi la violazione di legge dedotta, in quanto la norma invocata è stata correttamente interpretata sulla base dei principi ormai consolidati affermati da questa Corte (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SU 29456/2019).

2.4. Infatti, è stato svolto il prescritto giudizio di comparazione, nel quale è stato evidenziato che, se da una parte emergeva un lodevole tentativo di inserimento nel tessuto sociale del paese di accoglienza, dall’altra, lungi dal risultare apprezzabile una particolare condizione di vulnerabilità (che il ricorrente ha omesso, come era suo onere, di allegare), non era emersa l’esistenza di forme di violazione dei diritti fondamentali tali da ritenere compromesso il nucleo ineliminabile della dignità umana (cfr. Cass. 4455/2018): e vale solo la pena di rilevare che dallo stesso racconto del ricorrente è emerso che nel paese di origine egli aveva lavorato regolarmente fino all’omicidio del datore di lavoro, e che, anche in ragione di ciò, non risulta prospettata una condizione di

deprivazione e vulnerabilità idonee a costituire un valido elemento del paradigma comparativo sul quale si fonda il riconoscimento della protezione umanitaria.

2.5. Anche in relazione alla fattispecie in esame, dunque, risulta che il percorso argomentativo della Corte si sia attenuto alla consolidata giurisprudenza di legittimità, ragione per cui la censura deve ritenersi, ex art. 360 bis c.p.c., inammissibile.

3. Non sono dovute spese, atteso che il ricorso viene deciso in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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