Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25533 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29595/2019 proposto da:

N.O., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Manuela Agnitelli, (manuelaagnitelli.ordineavvocatiroma.org) con

studio in Roma Viale Giuseppe Mazzini n. 6, giusta procura speciale

allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 16262/2019 del Tribunale di Roma Sezione

Specializzata Immigrazione, depositate il 26.06.2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15.07.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. N.O., proveniente dal sud della (OMISSIS), ricorre affidandosi a quattro motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda da lui proposta per ottenere la protezione internazionale attraverso il riconoscimento dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in ragione del rigetto dell’istanza avanzata, in via amministrativa, dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

2. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di provenire dal sud della Nigeria, regione dell’IMO State e di essere fuggito in quanto ricercato dai figli di uno zio che era stato da lui ucciso in quanto negava la propria responsabilità per aver fatto morire il padre di crepacuore a seguito di una lite, avvenuta per la donazione di un terreno. Precisava che egli era cristiano così come il padre che era un insegnante di catechismo; e che la donazione che aveva generato la lite aveva lo scopo di far costruire una Chiesa.

3. Il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “atto di costituzione” chiedendo di poter partecipare, ex art. 370 c.p.c., alla eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 ed 11, nonchè l’illogica, contraddittoria ed apparente motivazione per aver il Tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita”.

1.1. Lamenta che la decisione del Tribunale si fondava sulla asserita mancanza di persecuzione e credibilità e che, contrariamente a quanto affermato, nel proprio paese di origine ricorrevano diffuse violazioni dei diritti umani, arresti arbitrari eseguiti dalle forze di polizia rispetto alle quali lo Stato non assicurava adeguata protezione.

1.2. Ha aggiunto che erano stati violati i criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per la valutazione della credibilità laddove egli aveva narrato una storia corredata da tutti gli elementi utili a configurare i presupposti della protezione maggiore richiesta, in relazione al rischio di persecuzione proveniente dai cugini.

1.3. Il motivo – inammissibile il richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione non più esistente a seguito della modifica introdtta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. n. 134 del 2012 – è, per il resto, infondato.

1.4. Premesso infatti che lo “stato di rifugiato” può essere riconosciuto al “cittadino di un Paese terzo il quale, per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”, si osserva che il Tribunale dopo aver esaminato il racconto del richiedente – a prescindere dalla valutazione concernente la sua credibilità sulla quale si è soffermato soltanto in relazione alla protezione sussidiaria – ha escluso, anche in relazione alla astratta allegazione, che i fatti narrati potessero essere ricondotti ai presupposti della protezione maggiore richiesta che, invero, postula che la persecuzione o il danno grave si debbano sostanziare in una condotta proveniente dallo Stato, dai partiti politici o dalle organizzazioni che controllano l’ordine pubblico e l’andamento socio politico o, infine, da soggetti non statuali, ove venga dimostrato che i responsabili della sicurezza, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire la protezione contro persecuzioni o danni gravi.

1.5. Nel caso in esame, correttamente, il Tribunale ha ricondotto – a prescindere dalla credibilità – i fatti narrati ad una “vicenda privata” estranea ai presupposti dello stato di rifugiato (cfr. pag. 2 cpv. 3 e 4 del decreto impugnato): risulta, pertanto, insussistente la violazione di legge dedotta.

2. Con il secondo ed il terzo motivo da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, in quanto entrambi riferiti alla protezione sussidiaria, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5:

a. la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 e gli artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU nonchè il difetto di istruttoria;

b. la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 3, lett. a e b: assume che il Tribunale, con erroneo giudizio prognostico, aveva escluso che in Nigeria esistesse un pericolo generalizzato e una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato.

2.1. I motivi sono inammissibili.

2.2. Il Tribunale, infatti, da una parte ha ritenuto la vicenda narrata poco credibile, evidenziando alcune contraddizioni della narrazione ed esprimendo tale valutazione nel rispetto complessivo della “griglia valutativa” prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con la conseguenza che la relativa statuizione è fondata su una valutazione di merito incensurabile in questa sede; dall’altra, ha esaminato la situazione della Nigeria ed, in considerazione della vastissima estensione del territorio, con esplicito riferimento alla regione di origine del ricorrente (IMO State) collocata nel sud dello stato, ha escluso, sulla base di C.O.I. aggiornate, fondate fra l’altro sul report EASO del novembre 2018 (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che ricorresse una situazione di violenza indiscriminata o una condizione di conflitto armato, essendo stato espressamente affermato, nelle fonti di riferimento, che in quella regione la violenza indiscriminata faceva registrare un livello così basso che, in generale, non vi era il rischio reale che un civile potesse essere personalmente colpito. Anche tale giudizio è fondato su valutazioni di merito in relazione alle quali le censure proposte – che chiedono in modo invero generico una differente valutazione delle emergenze istruttorie – non possono trovare ingresso in questa sede (cfr. Cass. 18721/2018; Cass. 31546/2019).

3. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4. Assume che il Tribunale con motivazione illogica, contraddittoria ed apparente aveva rigettato la protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale sulla situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente, con riferimento al paese di origine; e che, al riguardo, non era stata adeguatamente valutata l’attività lavorativa da lui svolta.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Il Collegio rileva, infatti, che il Tribunale ha puntualmente esaminato l’unico elemento posto a fondamento dell’integrazione allegata, specificando che si trattava di un contratto a termine della durata di un mese (cfr. penultima pagina della sentenza, penultimo rigo) ed esprimendo, pertanto, una valutazione di insufficienza di quanto allegato.

Ha inoltre compiutamente esaminato la condizione si salute del ricorrente sotto il profilo della sua vulnerabilità che è stata motivatamente esclusa.

3.3. A ciò si aggiunge che non può trascurarsi quanto in precedenza argomentato in relazione alla tutela dei diritti umani nella regione di provenienza del richiedente: ne consegue che sulla valutazione comparazione la censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto, da una parte, postula una rivalutazione di merito non consentita e, dall’altra, omette di criticare compiutamente la decisione del Tribunale, riguardante anche le condizioni di salute del ricorrente (cfr. pag. 4 del decreto impugnato): ragione per cui poichè il rigetto della domanda di protezione umanitaria si fonda su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonee a sorreggere la decisione, l’inammissibilità deve essere anche riferita al principio secondo il quale “l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilità, per difetto d’interesse, anche del gravame (o del motivo di gravame) proposto avverso le altre, in quanto l’avvenuto accoglimento del ricorso (o del motivo di ricorso) non inciderebbe sulla “ratio decidendi” non censurata, onde la decisione resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa” (Cass. 2811/2006; Cass. 12372/2006).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Non sono dovute spese, atteso che la controversia viene decisa in adunanza camerale, in relazione alla quale – assente la discussione orale – l’atto di costituzione del Ministero risulta irrilevante ex art. 370 c.p.c., comma 1.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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