Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25531 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. III, 12/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 12/11/2020), n.25531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31202/2019 proposto da:

S.A., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Giuseppe Lufrano, (avv.lufrano.pec.it) con studio in Civitanova

Marche via Via Fermi n. 3, giusta procura speciale allegata al

ricorso, e domiciliato in Roma Piazza Cavour, presso la cancelleria

civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1177/2019 della Corte d’Appello di Venezia

depositata il 20.03.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30.06.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.A., cittadino (OMISSIS), ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione della sentenza delle Corte d’Appello di Venezia che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda da lui proposta per ottenere, in via gradata, il riconoscimento della protezione internazionale nelle forme previste dalla legge.

2. Per ciò che interessa in questa sede, le censure sono riferite alla fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 (protezione sussidiaria) ed, in via subordinata, al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis): a sostegno della sua domanda ha narrato di essersi allontanato dal proprio Paese a causa delle minacce subite dallo zio paterno dopo che egli aveva accidentalmente ucciso una mucca mentre conduceva un trattore: l’impossibilità economica di risarcirne il valore lo aveva indotto a fuggire, nel timore di non riuscire a trovare adeguata tutela giudiziaria.

3. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente chiedendo soltanto di poter partecipare all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto la Corte territoriale aveva escluso l’esistenza, nel paese di provenienza, di una situazione di violenza indiscussa ed incontrollata.

Assume che la Corte territoriale aveva erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria riferendosi ad una situazione generale interna del suo Paese di origine non corrispondente a quella reale che dai report EASO veniva descritta come connotata da costanti violazioni dei diritti umani.

2. Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver ritenuto sussistenti le condizioni di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro forzoso in patria.

2.1. Lamenta, in relazione al rigetto del rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che non era stato considerato il livello di integrazione raggiunta e la sua condizione di vulnerabilità nè era stata effettuata una comparazione con le condizioni economiche e sociali del paese di origine.

3. Entrambe le censure sono inammissibili.

3.1 Quanto alla prima, riguardante la protezione sussidiaria, si osserva che la Corte, dopo aver esaminato i rapporti EASO in progressione cronologica dal 2016 al 2018, ha precisato che le condizioni del Pakistan mostravano un progressivo miglioramento nella regione di provenienza del ricorrente ed ha ritenuto che non ricorressero i presupposti della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto non era riscontrabile nel Paese un conflitto armato o una condizione di violenza generalizzata, nè tanto meno il rischio di condanna a morte o di sottoposizione a trattamenti disumani e degradanti, in relazione alla vicenda narrata, caratterizzata da connotati di natura strettamente privata e priva di rilevanza pubblica.

3.2. La valutazione della Corte – che ha evidenziato anche il mutamento di versione del ricorrente nel corso del giudizio con conseguenti dubbi sulla sua attendibilità – risulta congrua e logica e la motivazione sul punto deve ritenersi al di sopra della sufficienza costituzionale: con la conseguenza che la genericità della censura formulata che contrappone lo stralcio di un rapporto EASO (riferito a tutto il Pakistan e contenente informazioni generiche) alle argomentate valutazioni della Corte territoriale maschera la richiesta di una rivalutazione di merito delle emergenze processuali, non consentita in questa sede.

3.4 Ugualmente inammissibile, per assoluta mancanza di specificità, risulta la seconda censura proposta.

3.5. Deve premettersi, infatti, che la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte ha affermato che “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona.(Cass. 13096/2019); ed è stato altresì chiarito che tale tutela deve essere concessa al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia e che l’accoglimento della domanda “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SUU 29459/2019; Cass. 1104/2020).

3.6.Nel caso in esame, tuttavia, la critica formulata risulta del tutto generica, in quanto viene riportato lo stralcio delle motivazioni di due importanti pronunce di questa Corte (Cass. 28990/2018; Cass. 4455/2018), senza nulla indicare, in punto di integrazione, in ordine alle modalità con le quali il ricorrente si sarebbe inserito con ragionevole stabilità nel contesto italiano (attività lavorativa, conoscenza della lingua, ed altre forme di inserimento); nè viene allegato alcunchè sulla sua condizione di vulnerabilità dalla quale dovrebbe desumersi che il rientro nel suo paese di origine determinerebbe la violazione del nucleo ineliminabile della sua dignità.

Tali omissioni non consentono a questa Corte apprezzare l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici d’appello.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

5.1 Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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