Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25530 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 13/12/2016, (ud. 16/09/2016, dep.13/12/2016),  n. 25530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16729-2015 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AZUNI 9,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA DE CAMELIS, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DILLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

e contro

TRIBUNALE REGGIO CALABRIA SEZIONE FALLIMENTARE ROMA, TRIBUNALE REGGIO

CALABRIA SEZIONE FALLIMENTARE REGGIO CALABRIA, TRIBUNALE REGGIO

CALABRIA SEZIONE PRIMA CIVILE UFFICIO FALLIMENTI; CASEIFICIO

BURRIFICIO PRATICO’ S.R.L.;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, emesso il

28/04/2015 e depositato il 02/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO

GENOVESE;

udito l’Avvocato Raffaella De Camelis, per la parte ricorrente, che

si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con due decreti, rispettivamente, il primo in data 31 marzo 2015 (n. 118 cron.), dep. il 2 aprile e notificato il 21 aprile 2015, ed il secondo in data 28 aprile 2015, dep. il 5 maggio 2015 (n. cron. 137) e notificato il 6 maggio 2015, il Tribunale di Reggio Calabria ha liquidato il compenso al liquidatore (ma anche Commissario Giudiziale) del concordato preventivo Caseificio Burrificio Praticò srl, la d.ssa C.T., attribuendole, con il primo la somma di Euro 20.000,00 oltre accessori, e con il secondo, ad integrazione del primo, in considerazione della maggiore entità del passivo accertato e rettificato rispetto al primo provvedimento, ma tenendo conto anche all’attività di Commissario Giudiziale, che avrebbe comportato un’attività spesso sovrapposta e coincidente con l’altra, l’ulteriore somma di Euro 10.000,00, oltre accessori.

Avverso la decisione ha proposto ricorso straordinario per cassazione la d.ssa C., con atto notificato il 20 giugno 2015, sulla base di due motivi (violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 39, D.M. n. 570 del 1992 e D.M. n. 30 del 2012 e vizio di mancato esame dei fatti rilevanti).

Il Ministero della Giustizia ha resistito con atto di costituzione; la società in concordato non ha svolto difese.

Il ricorso, in disparte l’ammissibilità del ricorso riguardo all’intimato Tribunale di Reggio Calabria-Ministero della Giustizia (“La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.”: cfr. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 2016), appare manifestamente fondato con riferimento alla società in concordato atteso che i due decreti impugnati, appaiono adottati in violazione del limite minimo del compenso spettante al liquidatore del concordato, in riferimento ai valori dell’attivo realizzato e del passivo considerato nello stesso decreto rettificativo, ponendo al di sotto della misura minima richiesta in Euro 69.508,71, senza che l’affermazione secondo l’attività di Commissario Giudiziale, pure svolta dalla stessa professionista, possa giustificare una tale riduzione avendo essa comportato “un’attività spesso sovrapposta e coincidente con l’altra”.

Infatti, questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4458 del 2016) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui: “In tema di concordato preventivo con cessione di beni, ove al medesimo soggetto, già nominato commissario giudiziale, sia poi stato affidato, senza contestazione alcuna, anche l’incarico di liquidatore, non può essergli negato il relativo compenso per tale distinto ruolo assunto ed 11 conseguente espletamento dell’ulteriore e diversa attività, la quale, pertanto, merita separata ed autonoma remunerazione rispetto a quella da lui già ottenuta per quanto svolto come commissario giudiziale)”.

Più in particolare, con riferimento ai parametri utili alla liquidazione, questa stessa Corte (Sez. Sentenza n. 9178 del 2008), ha affermato il principio secondo cui:

“In tema di liquidazione del compenso al commissario liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, in mancanza di una specifica disciplina normativa L. Fall., ex art. 182.

– nel testo vigente “ratione temporis” trovano applicazione le norme di cui al D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che determinano i compensi del curatore del fallimento, alle cui funzioni ed attribuzioni sono equiparabili quelle del predetto liquidatore, in rapporto al dato della liquidazione dell’attivo (che costituisce suo compito essenziale) e sempre che l’attività abbia portato a risultati utili, con esclusione del compenso supplementare sull’ammontare del passivo (la cui formazione è estranea ai compiti del liquidatore); ne consegue che, in caso di omessa alienazione dei beni, non trova applicazione l’art. 5 del citato D.M. (previsto con riguardo alle diverse funzioni del commissario giudiziale e commisurante il relativo compenso in base all’attivo ed al passivo risultanti dall’inventario), bensì gli artt. 1 e 2 medesimo D.M. che commisurano i compensi ad una percentuale sull’attivo realizzato mentre, in difetto di risultati utili, il compenso è fissato nel minimo legale.”).

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale, ai sensi dell’art. 380-bis e dell’art. 375 c.p.c., n. 5, apparendo il ricorso, con riferimento alla parte passivamente legittimata, manifestamente fondato, con riferimento al secondo mezzo.”.

Considerato che la ricorrente ha allegato che, in data 21 luglio 2015, il Tribunale ha modificato il provvedimento impugnato riconoscendo in favore della creditrice istante – sia pure nella misura minima di tariffa – due distinte somme, una come compenso per la carica di Commissario, ed una per quella di liquidatore, così facendo cessare la materia del contendere sulla questione principale, salvo che per quella relativa alle spese dell’odierno giudizio;

che, a tale proposito, questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 17334 del 2005) ha affermato il principio secondo cui “Nel caso in cui la materia del contendere su cui è stata pronunciata la sentenza di merito sia cessata, e la causa prosegua in cassazione solo in funzione della decisione da assumere in ordine alla ripartizione delle spese processuali, la Corte – previa valutazione di fondatezza della originaria domanda – decide sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale e, stante la natura e gli effetti della dichiarazione di cessazione della materia del contendere (estinzione del processo e caducazione delle sentenze di merito), pronuncia direttamente in ordine alle spese dell’intero processo in base al combinato disposto degli artt. 384 e 385 c.p.c.”;

che, ovviamente, “La statuizione di cessazione della materia del contendere comporta l’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali dell’intero giudizio, salva, peraltro, la facoltà di disporne motivatamente la compensazione, totale o parziale, le cui ragioni possono essere esplicitate, in via integrativa, anche in sede di gravame.” (Sez. 6 L, Ordinanza n. 3148 del 2016);

che, perciò, il ricorso, ai soli fini della soccombenza virtuale, appare manifestamente fondato e quindi da accogliere, con l’ulteriore conseguenza della condanna della soccombente virtuale, da identificarsi nella sola società intimata (e non certo nel Ministero o negli organi giurisdizionali che hanno pronunciato il dictum impugnato, da estromettere dal giudizio al pagamento delle spese del grado, che si liquidanò – per questa sola fase (non essendovi stata attività difensiva in quella di merito) – come da dispositivo, previa compensazione per la metà, avendo l’Ufficio giudiziario, sia pure dopo la notifica del ricorso, prontamente riconosciuto il proprio errore e ad esso posto rimedio;

che, quanto al contributo unificato, deve escludersene il raddoppio, atteso che tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità (Cass. sez. 6, Ordinanza n. 6888 del 2015 e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, essa è di stretta interpretazione (Cass. sez. 6, Ordinanza n. 19562 del 2015) e, come tale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica.

PQM

La Corte,

Dichiara cessata la materia del contendere e, estromessa ogni altra parte intimata, condanna il Caseificio Burrificio Praticò srl in concordato preventivo, al pagamento delle spese processuali che liquida, compensata la metà di esse, in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 1 della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 16 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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