Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25529 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 30/11/2011), n.25529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27868/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

TERFIDI SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALLISNERI 11 presso lo studio

dell’avvocato PACIFICI Paolo, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CUALBU GIANFRANCO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2007 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SASSARI, depositata il 08/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE DANIELA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato PACIFICI PAOLO, che ha chiesto in

subordine il rigetto del ricorso, in via principale

l’inammissibilità;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 6.11.2007 è stato notificato alla “Terfidi soc. coop. A r.l.”, un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale descritta in epigrafe (depositata l’8.6.2007 e notificata il 24.7.2007) che ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia medesima contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Nuoro n. 215/02/2004 che aveva accolto il ricorso dell’anzidetta società avverso avviso di diniego di rimborso di imposte a titolo di IRPEG per gli anni dal 1989 al 1996.

La società intimata si è difesa con controricorso ed ha depositato memoria illustrativa.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011, in cui il PG ha concluso per l’ accoglimento del ricorso 2. I fatti di causa.

La Terfidi ha proposto istanza di rimborso in data 16.6.2000 per ottenere la restituzione delle somme ritenute alla fonte dagli istituti di credito sugli interessi attivi maturati a suo favore e sulla premessa che dette ritenute fossero state erroneamente effettuate a titolo di imposta mentre avrebbero dovuto essere effettuate a titolo di acconto, non potendo essere enumerata la società ricorrente tra i soggetti esenti o non soggetti ad IRPEG. Il provvedimento di diniego è stato poi impugnato innanzi alla CTP di Nuoro che ha accolto il ricorso evidenziando che la Terfidi, pur esercitando un’attività non considerata commerciale, è ricompresa ai fini dell’imposta sul reddito tra gli enti assoggettati ad IRPEG a norma del D.P.R. n. 598 del 1973, art. 2, con la conseguenza che le ritenute sugli interessi devono essere considerate “a titolo di acconto”.

La predetta decisione è stata gravata di appello dall’Agenzia e l’adita CTR di Sardegna ha respinto il gravame, con il conseguente accertamento dell’illegittimità del diniego.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che le “società cooperative di garanzia fidi” sono assoggettate alle norme in materia di sostituzione d’imposta previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, con la conseguente natura di acconto delle ritenute alla fonte.

Risultava d’altronde assodato che oltre all’attività di garanzia mutualistica considerata non commerciale, l’ente svolgeva di fatto un’attività commerciale di tipo occasionale, perciò godendo di redditi di natura fondiaria e/o di capitale, donde l’esistenza dei presupposti di legge per la sua sottoposizione a tassazione, a nulla rilevando sia la natura del soggetto che gli scopi dello stesso.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e – previa dichiarazione del valore della causa in Euro 264.900,00 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il motivo d’impugnazione.

Il motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica:

“Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” (assistito da idoneo quesito di diritto).

La ricorrente si duole – in sostanza – dell’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui si è affermato che le ritenute di cui è causa dovevano essere eseguite a titolo di acconto e non di imposta, e ciò in ragione del mero rilievo dell’assoggettamento ad IRPEG della società qui intimata. Tale assunto sarebbe in contraddizione con l’applicazione a titolo di imposta delle medesime ritenute nei confronti dei soggetti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. C), (seppure questi siano capaci di produrre redditi di impresa soggetti ad IRPEG).

Con il menzionato art. 26 il legislatore aveva inteso sottoporre in ogni caso a tassazione i redditi derivanti da depositi in conto corrente – anche nei confronti dei soggetti esclusi o esenti – evitando che essi soggiacciano ad alcuna imposta personale. La soluzione accolta dalla sentenza qui impugnata consentirebbe invece di eludere l’imposizione dei redditi derivanti da depositi in conto corrente (a mezzo dello scomputo che del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, consente di fare delle ritenute alla fonte dall’imposta dovuta) e ciò perchè la società qui intimata avvalendosi della norma di favore della L. n. 904 del 1977, art. 12 e destinando a riserva tutto l’utile conseguito – aveva finito per risultare priva di reddito imponibile e di imposta a debito, e perciò titolata a pretendere il rimborso di tutte le ritenute operate alla fonte, contabilizzate come credito di imposta. Tutto ciò in contrasto con la ratio del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 4, periodo terzo (come interpretato dalla L. n. 28 del 1999, art. 14).

Il motivo di impugnazione è infondato e deve essere reietto.

L’assunto di parte ricorrente si fonda su un’interpretazione “teleologia” del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 4, terzo periodo (interpretazione che la parte ricorrente si limita a postulare ma non giustifica in alcun modo con argomenti di sorta) che non convince e non può essere condivisa.

L’anzidetta norma (nella versione vigente per gli anni di imposta di cui qui si discute) prevede che: “Nei confronti dei soggetti esenti dall’Irpeg e in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo di imposta”.

Detta disposizione normativa è stata poi oggetto di una norma di interpretazione autentica (la cit. L. n. 28 del 1999, art. 14) che suona come di seguito: “La disposizione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 4, terzo periodo, riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridichè”.

Il significato complessivo della disposizione in parola (come risultante a seguito della sua interpretazione autentica) è dunque che le ritenute sugli interessi sui depositi di conto corrente (dei quali qui esclusivamente si tratta) sono effettuate “a titolo di imposta” sia nei confronti dei soggetti esclusi sia nei confronti dei soggetti esenti dall’imposizione IRPEG. Per contrario, se ne desume poi (e se ne trae conferma anche dall’esplicito tenore delle disposizioni precedenti, nel corpo dell’art. 26 qui in parola) che nei confronti dei soggetti non esclusi o non esenti dall’imposizione IRPEG le ritenute non possono che essere considerate effettuate “a titolo di acconto”.

Ciò posto, occorre evidenziare che è ormai indirizzo costante di questa Corte (in termini, di recente, sia Cass sez. 5, sentenza n.26319, del 29/12/2010; sia Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4412 del 24/02/2010 sia Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13572 del 11/06/2007; meno di recente Cass., 12 maggio 1997 n. 4107; id., 7 gennaio 1999 n. 50;

id., 8 maggio 2000 n. 5786; id., 14 marzo 2001 nn. 3720 e 3725; id., 13 agosto 2004 n. 15831) quello secondo cui le cooperative di garanzia (come è pacifico che sia anche quella oggi intimata, atteso che la parte ricorrente non contesta l’accertamento contenuto nella pronuncia appellata circa l’oggetto sociale emergente dallo statuto – caratterizzato dal rilascio di garanzie in favore dei soci, ai quali viene così, agevolato l’accesso al credito – e circa l’attività di fatto prevalentemente esercitata), pur non svolgendo un’attività commerciale, sono soggette ad IRPEG, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 2, comma 1, lett. a), cui corrisponde, nella disciplina successiva, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. a) e b).

Rispetto a questo assodato presupposto – che ha indotto questa Corte, nelle prime tre delle sentenze dianzi citate, a concludere che nei confronti delle cooperative di garanzia non si applica il disposto dell’art. 26 menzionato secondo cui la ritenuta alla fonte è operata a titolo di imposta, e ciò appunto perchè dette cooperative non risultano nè esenti nè escluse da IRPEG – non si vede quale rilevante contraddizione possa introdurre l’argomento valorizzato dalla ricorrente nel proprio atto di ricorso.

L’affermazione che la “ratio” dell’art. 26 confligge con le conclusioni a cui le anzidette sentenze sono pervenute è infatti sorretta soltanto dallo “inconveniente” a cui siffatte conclusioni darebbero luogo, e cioè quello di consentire alla odierna intimata di ottenere il rimborso della ritenuta alla fonte operata dagli istituti di credito che hanno corrisposto gli interessi, atteso che alla intimata medesima è consentito di risultare priva di reddito imponibile grazie alla “agevolazione” riconosciutale dalla L. n. 904 del 1977, art. 12.

Ma si tratta di “inconveniente” che è conseguenza inevitabile del meccanismo implicito nel sistema della ritenuta alla fonte e che -peraltro – non genera nessuna difformità (nel sistema dell’IRPEG) tra contribuenti che risultano privi di reddito imponibile e contribuenti che invece dichiarano reddito imponibile, giacchè anche a questi ultimi è dato di ricondurre alla loro complessiva situazione di capacità contributiva l’ammontare dell’imposta computata al momento dell’effettuazione della ritenuta alla fonte, a mezzo del ricomputo degli interessi percepiti nel calderone del complessivo ammontare del reddito imponibile, con la conseguente applicazione dell’aliquota vigente nel sistema dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e lo scomputo dell’imposta già pagata da quella complessivamente dovuta.

Non è dunque da una diversa interpretazione dell’art. 26 qui in discorso che può derivare la soluzione dell’inconveniente lamentato dalla parte ricorrente ma da una diversa modulazione del meccanismo regolato dalla L. n. 904 del 1977, art. 12, ciò che si configura come oggetto della discrezionalità del legislatore, qui non sindacabile.

La regolazione delle spese di lite è improntata al canone della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 11.000,00 oltre ad accessori di legge ed oltre ad Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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