Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25529 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 21/09/2021), n.25529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37479-2019 proposto da:

G.D., G.A., in qualità di eredi legittimi

del Sig. G.P., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato CHIARA CAROLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE RINALDI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di LEPORANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 9, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE RAGUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO FUMAROLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1695/28/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata il 29/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Puglia, sezione di Taranto, con sentenza nr 1695/2019, accoglieva l’appello del Comune di Leporano nei confronti di G.A. e G.D. e D.V.A. avverso la sentenza della CTP di Taranto avente ad oggetto l’impugnativa di un avviso di accertamento per omesso versamento Ici anno 1999.

Rilevava che il giudizio riguardava l’avviso di accertamento/ poi rettificato in avviso di liquidazione emesso per il recupero del tributo in virtù del classamento effettuato a suo tempo nei confronti dell’unità immobiliare degli appellati. Osservava che la variazione della rendita catastale mediante procedura Docfa risalente al 16.2.2004 non poteva avere effetti retroattivi e che correttamente l’Amministrazione aveva proceduto a liquidare l’imposta riducendo la pretesa erariale in virtù degli importi parzialmente corrisposti dal contribuente senza applicazione di interessi e sanzioni.

Avverso tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso il Comune di Leporano.

Diritto

Ritenuto che:

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1.

Si rileva che il Comune avrebbe provveduto a modificare la pretesa contenuta nell’avviso di accertamento originariamente fondata sull’omesso versamento ed omessa denuncia in avviso per insufficiente versamento in tal modo apportando una variazione al petitum e alla causa petendi non consentita.

Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, n. 1.

Si lamenta che la CTR sarebbe incorsa in errore causato da uno scorretto comportamento processuale tenuto dal Comune il quale avrebbe artatamente depositato in causa ciò che gli faceva più comodo tacendo maldestramente dell’esito dei vari procedimenti tributari che avevano interessato il classamento delle unità immobiliari.

Si osserva che a seguito delle alterne vertenze giudiziarie la rendita catastale definitivamente attribuita all’immobile è pari ad Euro 15236,00.

Il primo motivo è fondato con l’assorbimento del secondo.

Il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, infatti, prescrive che negli atti dell’amministrazione finanziaria vengano indicati “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

a motivazione dell’avviso di accertamento risponde ad un obbligo di carattere formale, a tutela del diritto di difesa del contribuente ex artt. 24 e 113 Cost.. L’Ufficio accertatore non può modificare e/o integrare il presupposto della propria pretesa originariamente contenuta nell’accertamento, poiché è solo la motivazione di cui si è detto, che delimita i confini della lite (Cass. n. 6103 del 2016).

Le ragioni poste a base di un atto impositivo non possono essere oggetto di modifica e/o di integrazione durante la fase contenziosa, in quanto la difesa del ricorrente si concentra su quanto illustrato nella motivazione.

L’obbligo di idonea e completa motivazione previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive nella fase del giudizio di impugnazione, le quali, se non correttamente esplicitate, non possono essere successivamente integrate, atteso che in tal modo risulterebbe illegittimamente compromesso il diritto di difesa.

Ne’ è consentito all’Ufficio di porre a base della pretesa norme non invocate nella fase dell’imposizione, da cui derivi la necessità di svolgere distinti apprezzamenti in punto di fatto, giacché altrimenti ne verrebbe vulnerata la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa a mezzo della esternazione dei motivi di ricorso, i quali necessariamente vanno rapportati a ciò che nell’atto risulta esternato.

Si è affermato, infatti, che nel procedimento tributario,

la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la “ratio” della decisione adottata (Cass., sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22003; Cass., sez. 5, 6 aprile 2016, n. 6636; Cass., sez. 5, 9 ottobre 2015, n. 20251; Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 990).

Ciò posto costituisce un dato acquisito in causa che l’originario avviso di accertamento era fondato sull’omesso denuncia e omesso versamento Ici rettificando nel corso del giudizio il provvedimento originario in avviso di liquidazione

In tal modo l’Amministrazione comunale ha introdotto nel processo un diverso tema di indagine e di decisione, che ha alterato l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, andando oltre i limiti di una consentita emendatio libelli, avendo introdotto una nuova pretesa, fondata su differenti presupposti di fatto e di diritto.

La violazione dell’obbligo di versamento dell’obbligazione tributaria (che comprende sia l’omesso che l’insufficiente o tardivo versamento cfr Cass. n. 2956 del 10.2.2006 in materia di Iva) è ontologicamente diversa dalla violazione degli obblighi dichiarativi.

La diversità del fatto contestato non consentiva pertanto al giudice di operare una sorta di derubricazione facendo rientrare nell’alveo del menzionato decreto, art. 14, comma 2 (afferente le dichiarazioni infedeli) l’insufficiente versamento. La procedimentalizzazione disposta dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 1 che prevede come momento necessario l’atto di contestazione delle violazioni (art. 16) e la specifica tutela giurisdizionale (art. 18) non consente al giudice una discrezionalità relativa alla possibilità di contestare d’ufficio una fattispecie diversa di illecito (Cass. 2019 nr 8625).

Ne’ sussistono le condizioni per rettificare l’atto impositivo sulla base della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 2 dovendosi rilevare che l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio riguarda l’omessa denuncia e versamento Ici e non già per insufficiente versamento del tributo.

Il predetto articolo infatti consente ai Comuni di recuperare la differenza di imposta fra quella determinata dai contribuenti sulla base della rendita presunta e quella determinata sulla base della rendita definitiva.

Il ricorso va accolto e la decisione va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori va definitiva con l’accoglimento dell’originario ricorso dei contribuenti.

Le spese della fase di merito vanno compensate in ragione dell’alternarsi delle decisioni quelle di legittimità poste a carico del Comune e liquidate in dispositivo secondo i criteri di legge.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso dei contribuenti; compensa le spese di merito e condanna il Comune al pagamento di quella di legittimità che si liquidano in complessive Euro 2300,00 oltre al 15% per spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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