Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25529 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 12/11/2020), n.25529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16553/2013 R.G. proposto da:

C.V., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Angelo

Ciavarella e Rita Imbrioscia, elettivamente domiciliato presso lo

studio della seconda in Roma via Beethoven n. 52, giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 19/31/13, depositata il 25 febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.A. impugnava in primo grado l’avviso di accertamento, n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2005 emesso dall’Agenzia delle entrate per il recupero a tassazione delle imposte dirette e dell’Iva per effetto della rideterminazione sulla base dello studio di settore applicabile dei redditi da lavoro autonomo dichiarati per l’anno di imposta 2005.

La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso del contribuente con sent. N. 220/44/11 del 17.6.2011 avverso cui l’Agenzia delle entrate proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello dell’ufficio con la sentenza indicata in epigrafe, ritenendo non giustificate dal contribuente le gravi incongruenze emerse dall’applicazione dello studio di settore rispetto al reddito dichiarato.

Il contribuente ricorre per cassazione con due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata con ogni conseguente pronunzia anche in ordine alle spese processuali.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso con cui eccepisce l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avverso.

Il ricorrente deposita memoria ex art. 378 c.p.c. con cui illustra ulteriormente i motivi già proposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il ricorrente propone due motivi di ricorso: -con il primo denunzia il vizio di: “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione di legge: violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 6 sexies convertito nella L. 29 ottobre 1993, n. 427”. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto applicabile lo studio di settore in assenza di elementi di grave incongruità; -con il secondo denunzia il vizio di: “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

1.2.- L’Agenzia delle entrate eccepisce l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso perchè attinenti al merito della causa.

2.- L’eccezione formulata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso è fondata.

2.1- Il primo motivo di ricorso svolge una analisi critica dei motivi dell’avviso di accertamento, contrastandone i presupposti di fatto su cui si fonda. A seguito di tale analisi lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto applicabile lo studio di settore in assenza di elementi di grave incongruità dei dati reddituali dichiarati. Contesta poi la motivazione della sentenza per erronea o falsa valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti.

2.2- Il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies (non art. 6 come indicato per errore materiale della rubrica del motivo del ricorso) prevede al comma 3 che “Gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attìvità svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto”.

2.3- I principi sulla ripartizione dell’onere della prova in questa materia sono stati così determinati dalla giurisprudenza di questa Corte: “l’onere della prova (…) è così ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente (…) fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce” (Cass. SS.UU. n. 26635/2009).

2.4- Tanto premesso, il motivo di ricorso, ancorchè formulato per violazione di legge, in realtà contesta il merito della decisione da parte del giudice di appello, mediante l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte sua rispetto alle risultanze di causa; questione che invece non attiene alli interpretazione della legge ma alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1, ordinanza n. 3340 del 05/02/2019)

2.5- Infatti l’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo (e quindi anche dell’esistenza di una grave incongruenza fra il dichiarato e l’accertato) attiene alla valutazione dei mezzi di prova ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, per cui le censure formulate dal ricorrente si risolvono nell’invito ad una rilettura degli elementi di fatto dedotti in causa, inammissibile in questa sede.

2.6- Risultano poi inconferenti ai fini della valutazione del vizio di violazione di legge dedotto le censure avverso la motivazione della sentenza, che attengono al diverso vizio di motivazione, che non è stato prospettato, nè è rilevabile d’ufficio, dato che il giudizio di cassazione è a “critica vincolata” dai motivi proposti dalle parti.

3.- Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

3.1- Costituisce principio giurisprudenziale consolidato che ricorra il vizio di ultrapetizione quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (cfr. Cass., ord., 13 novembre 2018, n. 29200; Cass., ord., 10 maggio 2018, n. 11304).

3.2- Il secondo motivo di ricorso, per come è formulato, non prospetta un vizio di ultrapetizione nel senso sopra precisato, perchè, dopo aver svolto, come nel primo motivo, una critica avverso l’avviso di accertamento, non specifica a sufficienza in cosa consista il vizio di ultrapetizione denunziato, e cioè in che misura e per quale motivo la decisione della Commissione tributaria regionale sia difforme ed ultronea rispetto alle richieste formulate dall’ufficio tributario. Anche questo vizio, pertanto, prospettato sotto il profilo della violazione di legge, lamenta in realtà una erronea valutazione delle emergenze di fatto da parte del giudice a quo, insindacabile in questa sede.

4.- Per i motivi esposti il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio, come appresso liquidate, dando atto altresì della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente C.V., al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.000 (cinquemila) oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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