Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25528 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 21/09/2021), n.25528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36031-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

CASA DI SPEDIZIONE BUSATO SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 536/4/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL VENETO, depositata il 03/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Considerato che:

L’Agenzia delle dogane nel quadro di una verifica svolta nei confronti della Casa di spedizioni Busato s.r.l. accertava che i litri di gasolio per i quali erano state richieste le agevolazioni erano superiori ai quantitativi fatturati sicché venuti meno i presupposti per il riconoscimento del credito di imposta annullava in sede di autotutela il silenzio assenso perfezionatosi dichiarando la decadenza dal diritto di usufruire delle differenze di credito emettendo l’avviso di pagamento per le somme indebitamente compensate ed irrogando le relative sanzioni.

La società contribuente impugnava avanti alla CTP di Padova che, nel contraddittorio con l’Amministrazione delle Dogane, accoglieva parzialmente il ricorso ritenendo legittima la ripresa fiscale ma non anche l’irrogabilità delle sanzioni.

Avverso tale sentenza ciascuna parte proponeva appello per gli aspetti che li avevano visti soccombenti avanti la CTR del Veneto la quale li rigettava entrambi.

Il giudice del gravame osservava per le questioni che qui rilevano che non era configurabile un comportamento di violazione tale da giustificare l’irrogazione delle sanzioni.

Sottolineava in questa prospettiva, da un lato, i plurimi interventi chiarificatori effettuati dall’Amministrazioni diretti a risolvere dubbi ed incertezze su prassi applicative e, dall’altra, che la condotta della contribuente si era basata sul silenzio assenso dell’Ufficio.

L’Agenzia delle Dogane impugna tale decisione sulla base di due motivi.

L’intimata è rimasta contumace.

Con il primo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 in combinato disposto con il D.P.R. n. 277 del 2000, art. 4, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,

Si critica in particolare l’assunto della CTR secondo cui la contribuente si sarebbe conformata al silenzio assenso dell’Amministrazione in tal modo ingenerando una situazione di legittimo affidamento tutelabile ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.

Si osserva al riguardo che il silenzio formatosi ai sensi del D.P.R. n. 277 del 2000, art. 4, comma 2 a seguito della presentazione da parte della società delle dichiarazioni fiscali in esame costituisce l’esito di un controllo formale delle dichiarazioni stesse e non già una attestazione di veridicità, che può essere accertata attraverso un dettagliato controllo sostanziale con l’esame delle fatture di acquisto del gasolio.

Con il secondo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sottolinea l’assenza di obbiettive condizioni di incertezza normativa che la contribuente su cui ricadeva il relativo onere non aveva saputo indicare.

Si lamenta che la CTR avrebbe fatto mal governo del principio richiamato dalla Corte che riconosce al giudice tributario il potere di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni solo in caso di obbiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alla cui violazione si riferisce, potere conferito dal D.Lgs n. 546 del 1992, art. 8 e dal D.Lgs. n. 472 del 1997, comma 2 e dello Statuto del contribuente, art. 10, comma 3.

I due motivi che possono essere esaminati congiuntamente in quanto intimamente connessi afferendo alla medesima questione di diritto (presupposti applicativi per l’irrigazione della sanzione) sono fondati.

La CTR ha ritenuto non sussistenti i presupposti che giustificano l’irrogazione della sanzione sulla base di due ordini di considerazioni la prima fondata sul fatto che la contribuente si era conformata al silenzio assenso dell’Amministrazione e sulla conseguente situazione di legittimo affidamento tutelabile L. n. 212 del 2000, ex art. 10, comma 2 e la seconda sull’esistenza di plurimi interventi chiarificatori da parte dell’Amministrazione per risolvere dubbi ed incertezze. Entrambi gli argomenti non sono convincimenti.

Con riferimento al primo va osservato che D.L. 26 settembre 2000, n. 265, art. 2 stabilisce che, per ottenere il rimborso di quanto spettante, anche mediante la compensazione di cui al D.L. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, i destinatari del beneficio di cui all’art. 1, commi 1 (…), devono presentare apposita dichiarazione con l’osservanza delle modalità stabilite con il regolamento di cui L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 8, comma 13 e successive modificazioni. Il regolamento in questione è stato emanato col D.P.R. 9 giugno 2000, n. 277. L’art. 4, comma 2, di questo decreto stabilisce che “Decorsi i sessanta giorni dal ricevimento, da parte dell’ufficio, della dichiarazione ovvero degli elementi mancanti senza che al soggetto sia stato notificato il provvedimento di diniego di cui al comma 1, l’istanza si considera accolta e il medesimo può utilizzare l’importo del credito spettante in compensazione, ai sensi del D.L. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, qualora ne abbia fatto richiesta. In tali casi l’ufficio competente può annullare, con provvedimento motivato, l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro un termine prefissatogli dall’ufficio stesso”;

– e’, dunque, prevista espressamente dal legislatore la possibilità di annullare, con provvedimento motivato, l’atto di assenso che sia stato illegittimamente formato e ciò, a prescindere dalla esattezza dei dati riportati nella dichiarazione, qualora l’Ufficio accerti a posteriori la mancanza di un presupposto per potere usufruire dell’agevolazione in questione, qual e’, nella specie, il pagamento dell’accisa sul gasolio per autotrazione, la cui aliquota sia prevista nel D.L. 26 ottobre 1995, n. 504, all. 1 e successive modificazioni;

Il meccanismo delineato dalla suddetta disciplina è dunque il seguente:

a) il contribuente presenta, sotto la propria responsabilità (anche penale), la dichiarazione di consumo di cui all’art. 3 per fruire dell’agevolazione corredata della documentazione e dei dati necessari;

b) l’Amministrazione provvede all’istruzione della pratica, chiedendo, ove necessario, le eventuali integrazioni;

c) nel termine di 60 giorni dalla richiesta (o dalla ricezione delle integrazioni) l’Amministrazione “determina l’importo complessivo del credito spettante” – il quale, in caso di carenze, errori, omissioni che non siano stati integrati o corretti, è inferiore a quanto richiesto – ovvero, se “non vi siano i presupposti per il riconoscimento del credito”, adotta provvedimento di diniego;

d) se il termine decorre senza l’adozione di alcun provvedimento, l’istanza, con il meccanismo del silenzio-assenso, “si considera accolta” e il contribuente può utilizzare il credito così riconosciuto;

e) l’inutile decorso del termine di 60 giorni e l’effetto della formazione del silenzio-assenso a favore del contribuente non preclude la permanenza del potere-dovere dell’Amministrazione di effettuare i necessari accertamenti sul merito dell’istanza e, quindi, ove risultino delle irregolarità, di “annullare, con provvedimento motivato, l’atto di assenso illegittimamente formato”;

f) è previsto, peraltro, un significativo correttivo poiché un simile esito segue “salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro un termine prefissatogli dall’ufficio stesso”.

Tali ultime connotazioni sono, in evidenza, ispirate ad una duplice ratio: da un lato, l’inutile decorso del termine non può andare a detrimento del contribuente, allungando in termini indefiniti il momento per fruire del credito maturato; inoltre, il silenzio-assenso non può che formarsi sull’intera richiesta come originariamente formulata e ciò sull’evidente assunto che la dichiarazione, fino al compiuto riscontro da parte dell’Ufficio, deve ritenersi corretta e veritiera, anche perché resa sotto la propria responsabilità.

Dall’altro, la permanenza del potere di controllo da parte dell’Amministrazione oltre a rispondere ad un principio generale in tema di autocertificazioni: v. D.P.R. n. 445 del 2000, art. 71 – si giustifica in relazione alla finalità di consentire il riconoscimento di un beneficio fiscale solo in presenza dei presupposti e requisiti di legge, ponendosi una diversa soluzione in conflitto la stessa disciplina unionale (v. Corte di Giustizia, sentenza 2 giugno 2016, in C-418/14, ROZ-WIT, che, nell’esaminare le condizioni di riconoscimento delle esenzioni in materia di prodotti energetici in relazione alla Direttiva 2003/96/CE, ha precisato che “tanto l’impianto sistematico quanto la ratio della direttiva 2003/96 si basano sul principio secondo cui i prodotti energetici sono tassati in relazione al loro effettivo utilizzo”).

Le considerazioni appena evidenziate rivelano che la norma – invero di non felice formulazione – delinea che i poteri dell’Amministrazione, nella fase successiva alla formazione del silenzio-assenso, sono inalterati rispetto alla fase di istruttoria in senso stretto, sì da dare origine a provvedimenti omogenei.

L’improprietà linguistica del D.P.R. n. 277 del 2000, art. 4, comma 2, si coglie nella previsione che prefigura l’annullamento del silenzio-assenso, il quale come pure rilevato dalla stessa Agenzia ricorrente – è un fatto giuridico e non un atto, sicché, di per sé, non può essere oggetto di annullamento.

Tale locuzione, allora, non può essere intesa come sdoppiamento di un potere di annullamento distinto dal potere di accertamento impositivo, tenuto conto che in assenza di un formale atto viziato emesso dall’Amministrazione – manca lo stesso oggetto dell’annullamento ed il “provvedimento motivato” di annullamento deve coincidere con lo stesso “avviso di accertamento” con il quale l’Amministrazione è legittimata a procedere al recupero del credito d’imposta indebitamente compensato o rimborsato (v. Cass. n. 30220 del 22/11/2018; Cass. 2020 nr 5812).

In altri termini, l’Amministrazione nel momento in cui “annulla” il silenzio-assenso (o, più correttamente, provvede sull’originaria istanza, valutando che non sussistono le condizioni per confermare, anche implicitamente, il riconoscimento positivo intervenuto per il decorso del tempo), adotta, contestualmente, il provvedimento impositivo per il recupero delle somme che non potevano essere riconosciute e, invece, sono state indebitamente compensate.

In questo quadro non appare condivisibile il ragionamento seguito dalla CTR che ha ritenuto non sanzionabile la compensazione del credito di imposta in quanto effettuata in costanza di silenzio assenso dell’Amministrazione, solo successivamente revocabile.

La ricorrente ha correttamente provveduto annullando il silenzio assenso a riprendere a tassazione quei crediti di imposta rivelatisi insussistenti.

Con riguardo all’altro aspetto su cui la CTR ha fondato il suo convincimento

sulla questione dell’incertezza della legge tributaria constano le seguenti disposizioni: il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, (“Errore sulla norma tributaria”) secondo cui “1. La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”; il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, (“Cause di non punibilità”) secondo cui “(…) 2. Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento. (…) 4. L’ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile. (…)”; la L. n. 212 del 2000, art. 10, (“Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente”), secondo cui “(…) 2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa. 3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. (…)”.

Sull’interpretazione di tale complesso disciplinare questa Corte (tra le altre, Sez. 5, 13 luglio 2018, n. 18718) ha ribadito – con costante indirizzo cui il collegio intende dare continuità – che l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, “richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione” (cfr. anche Sez. 5, n. 24670/2007 cit.; Sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2192; Sez. 5, 26 ottobre 2012, n. 18434; Sez. 5, 11 febbraio 2013, n. 3245; Sez. 5, 22 febbraio 2013, n. 4522; Sez. 5, 23 novembre 2016, n. 23845; Sez. 5, 1 febbraio 2019, n. 3108); in altre parole, una siffatta incertezza normativa oggettiva tributaria “e’ la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in senso oggettivo (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti”): l’incertezza normativa oggettiva, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Sez. 5, 11 settembre 2009, n. 19638); inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, su quest’ultimo grava l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione (incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria), qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (Sez. 5, 7 dicembre 2017, n. 29368; Sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 440).

Ulteriori specificazioni del concetto risultano da Sez. 5, 13 giugno 2018, n. 15452: “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente”.

Il fondamento degli enunciati che precedono è di tutta evidenza: la valutazione in ordine alla sussistenza dell’esimente in parola non può essere lasciata al mero apprezzamento soggettivo, esigendo invece essa lo scrutinio dell’incertezza normativa in termini rigorosamente oggettivi e in stretta attinenza alle specifiche allegazioni del contribuente (Cass. 2020 n. 22689).

Ciò premesso nella specie, allorquando, all’esito dell’interpretazione delle norme incidenti nella soggetta materia, la CTR ha concluso senz’altro per la fondatezza della pretesa fiscale, salvo negare la debenza delle sanzioni valorizzando in modo generico l’esistenza di interventi chiarificatore dell’Amministrazione doganale meramente apodittica, come tale del tutto fuori fuoco rispetto ai principi sopra richiamati, senza aver dato conto se, come e quando la contribuente avesse specificamente allegato i più volte surrichiamati elementi di incertezza normativa.

In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Veneto che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame attenendosi ai suesposti principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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