Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25528 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 12/10/2018), n.25528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIOETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19157-2011 proposto da:

M.G., B.V., M.M., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato

CARLA RIZZO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MATTEO CORNALI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 334/201.0 della COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO,

depositata il 18/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO CHE

B.V., M.M. e M.G. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 334/38/10, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio e depositata il 18.11.2010.

Hanno riferito che con avviso di accertamento n. RC7030100525 l’Agenzia delle Entrate rettificava ai fini Irpeg e Iva il reddito della società ICET Industria Costruzioni per l’Elettronica e le Telecomunicazioni s.r.l. relativamente all’anno 1998. Inquadrando la società tra quelle a ristretta base partecipativa, l’Agenzia notificava a M.G., titolare del 60% della partecipazione sociale, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo alla rideterminazione del suo reddito di capitale. In data (OMISSIS) il M. decedeva. L’Agente per la riscossione notificava la cartella di pagamento n. (OMISSIS) impersonalmente presso l’ultimo domicilio del defunto e al contempo direttamente ai suoi eredi.

Avverso la cartella erano proposti tre distinti ricorsi, il primo da Mete Maria in proprio, il secondo da M.G. in proprio, il terzo da tutti gli eredi, ossia i figli G. e M. e il coniuge B.V..

Con sentenza n. 237/57/08 la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso proposto dai tre eredi; con sentenza n. 52/57/08 la Commissione rigettava il ricorso presentato dal M.G. per improcedibilità; con sentenza n. 281/60/09 era dichiarato il non luogo a provvedere sul ricorso presentato da M.M. poichè già oggetto della prima sentenza.

Avverso le sentenze n. 237/57/08 e 281/60/09 l’Agenzia proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che, previa loro riunione, con la pronuncia ora impugnata accoglieva le ragioni dell’Ufficio.

I ricorrenti censurano la sentenza con tre motivi:

con il primo per nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per mancata integrazione del contraddittorio;

con il secondo per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per i vizi motivazionali afferenti i presupposti di legittimità dell’accertamento posto a fondamento della cartella impugnata;

con il terzo per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto inapplicabile quella norma (applicando invece il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15).

Ha pertanto chiesto, nell’ordine, in relazione alla omessa costituzione del contraddittorio e alla nullità del procedimento, la cassazione della sentenza senza rinvio per tardività della impugnazione, in via subordinata la cassazione con rinvio; nel merito l’accoglimento del ricorso con rinvio alla CTR del Lazio.

Si è costituita l’Agenzia, che ha invocato l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza. Nel merito ha contestato le avverse censure, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO CHE

deve preliminarmente esaminarsi l’eccepita inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza. L’Ufficio in particolare lamenta che nel ricorso non è stata riportata per intero la motivazione della sentenza impugnata e il contenuto degli atti necessari a supportare le posizioni delle parti. L’eccezione è infondata. Sul punto è sufficiente evidenziare che ai fini dei motivi di ricorso l’atto difensivo dei ricorrenti appare sufficiente e rispettoso dei requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c. Con riguardo poi alla denunciata carenza di autosufficienza del primo motivo – con il quale i ricorrenti denunciano la mancata costituzione del litisconsorzio in sede d’appello -, per omessa riproduzione del contenuto delle relate di notificazione, l’eccezione è del tutto incomprensibile, perchè non si vede quale documentazione dovesse essere riprodotta a fronte della omessa notificazione dell’appello ad alcuni dei litisconsorti.

Sempre in via preliminare deve dichiararsi inammissibile il ricorso della B.. L’orientamento più recente, condiviso da questo Collegio, nega la legittimazione al ricorso per cassazione del litisconsorte, ancorchè necessario, pretermesso nel giudizio di appello, potendo questi proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c. (Cass., sent. n. 16534/2012; sent. n. 25344/2010; sent. n. 3688/2006).

Si è in particolare anche precisato che la legittimazione ad impugnare spetta esclusivamente alle parti tra le quali risulti essere stata formalmente emessa la sentenza impugnata alla stregua dei soli dati desumibili dal testo della medesima. Nè rileva che il soggetto rimasto estraneo al giudizio conclusosi con la decisione impugnata, a differenza del contumace, deduca a fondamento della proposta impugnazione la propria qualità di litisconsorte sostanziale indebitamente pretermesso, potendo, oltre a proporre opposizione di terzo, sempre intervenire in appello (Cass., sent. n. 10130/2005; sent. n. 11460/2017).

Esaminando ora i motivi di ricorso, il primo è infondato. I ricorrenti hanno lamentato che l’Agenzia avverso la sentenza n. 237/57/08 notificò l’appello solo a M.G.. Anche tenendo conto che in sede d’appello furono riuniti i giudizi introdotti avverso le sentenze nn. 237/57/08 e 281/60/09, quest’ultima pronunciata nei confronti di M.M., costituisce un dato che alla B.V. non fu mai notificato alcun atto d’impugnazione, sicchè il litisconsorzio processuale necessario non si è mai costituito in sede d’appello. Sennonchè il principio secondo cui l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione – al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio- sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, è circoscritto alle ipotesi di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ex art. 331 c.p.c. (cfr. Cass., sent. 1535/2010; ord. n. 26433/2017). Nel caso di specie la vicenda processuale esula da fattispecie relative a cause inscindibili o tra loro dipendenti. In conclusione il motivo va rigettato.

Infondato è anche il secondo motivo, con il quale i ricorrenti si dolgono della sentenza, sotto il profilo tanto del vizio motivazionale quanto dell’errore di diritto, per non aver tenuto conto che l’accertamento nei loro confronti è derivato dalla estensione dei risultati dell’originario accertamento, operato dall’Ufficio nei riguardi della società di cui il de cuius era socio, ai soci medesimi sull’assunto che si trattasse di società a ristretta base partecipativa. Denunciano pertanto che l’accertamento sarebbe fondato su una doppia presunzione.

Sennonchè per un verso non è dato comprendere se e quando tale questione sia stata proposta dai ricorrenti nei precedenti gradi, per altro verso, premesso che la sentenza impugnata ha ad oggetto la cartella di pagamento n. (OMISSIS), va evidenziato che l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo alla rideterminazione del reddito di capitale di M.G., a monte della summenzionata cartella e notificato al defunto, non risulta annullato (nel controricorso l’Amministrazione afferma che l’avviso di accertamento, notificato al M.G. il 29.12.2005, poi deceduto nel 2006, fu opposto ma dichiarato inammissibile). Ne consegue che il definitivo accertamento nei confronti del de cuius non può ora essere rimesso in discussione dai ricorrenti.

Infondato infine è il terzo motivo, perchè la definitività dell’accertamento del maggior reddito esclude l’applicabilità del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, lett. c).

Ritenuto che:

Il ricorso è pertanto infondato e che alla soccombenza dei ricorrenti segue la loro condanna alla rifusione delle spese di causa, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla B.. Rigetta i motivi di ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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