Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25527 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 30/11/2011), n.25527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24521/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE LIEGI 7 presso

lo studio dell’avvocato RAMAZZOTTI Marco Claudio, che lo rappresenta

e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2007 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 30/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il resistente l’avvocato LERRO ALESSANDRO per delega

avvocato RAMAZZOTTI MARCO CLAUDIO, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Su ricorso del Sig. L.L., ex dipendente dell’Efim, la commissione tributaria di primo grado di Roma dichiarò non dovuta l’imposta sui redditi riscossa dall’erario sull’indennità di buonuscita liquidata nell’anno 1993 in favore del medesimo L., cessato dal servizio il 22.7.1993, ed ordinò all’amministrazione tributaria di restituire al ricorrente quanto percepito a tale titolo, fatto oggetto di espressa domanda di rimborso di data 20.7.1995 rispetto alla quale si era poi maturato il silenzio- rifiuto.

L’ufficio propose appello, sostenendo (oltre al resto) che il contribuente era decaduto dal diritto al rimborso, avendo presentato la relativa domanda dopo il decorso del termine di diciotto mesi previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38. L’adita CTR del Lazio respinse l’impugnazione, ritenendo, che la trattenuta fiscale sull’indennità di buonuscita versata al L., in quanto operata da un ente pubblico, costituisse una ritenuta diretta, e fosse però soggetta, quanto all’istanza di rimborso, non già ai termine di decadenza previsto dal citato art. 38, bensì solo al termine decennale di prescrizione richiamato dal precedente del medesimo D.P.R. n. 602, art. 37; termine che, nella specie, non risultava essere decorso.

Per l’annullamento di questa decisione ricorre ora l’Agenzia, con il ministero dell’avvocatura erariale, deducendo cinque distinti motivi di gravame.

Resiste con controricorso il L..

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre disattendere l’eccezione proposta dalla parte intimata di decadenza dal termine per proporre i ricorso per Cassazione, eccezione erroneamente proposta sull’assunto che la controversia rientri tra quelle di cui all’art. 409 c.p.c., con il corollario della inapplicabilità della L. n. 742 del 1969, artt. 1 e 3 e perciò l’inapplicabilità della sospensione del termine in periodo feriale.

La presente controversia non ha affatto ad oggetto “le somme dovute al lavoratore e a lui non corrisposte”, bensì invece l’impugnazione del provvedimento implicito emesso sull’istanza presentata dal L. e volta ad ottenere il rimborso delle somme trattenute dalla datrice di lavoro e riversate al Fisco.

Venendo al merito, l’avvocatura ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n 602 del 1973, art. 38, lamenta l’errore in cui è incorsa la Commissione Tributaria di secondo grado nell’affermare che la trattenuta fiscale operata da un ente pubblico diverso dallo stato – nella specie l’Efim – sull’indennità di mancato preavviso e sull’indennità supplementare corrisposte ai propri dipendenti, all’atto della cessazione del servizio, possa essere definita come una ritenuta diretta. In tali casi deve parlarsi invece, secondo l’avvocatura erariale, di versamenti diretti eseguiti dal contribuente per il tramite dell’ente pubblico, agente in veste di sostituto d’imposta. E da ciò consegue che la domanda volta ad ottenere il rimborso di quanto si assuma indebitamente a questo titolo versato dev’essere presentata dal contribuente, a pena di decadenza, entro il termine di diciotto mesi dal versamento (termine nella specie non rispettato dal L.), come dispone il citato art. 38, a nulla rilevando la diversa disciplina del precedente art. 37, che si riferisce alla diversa ipotesi delle ritenute dirette.

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Questa corte ha ormai da tempo avuto modo di chiarire – e ripetutamente – che il prelievo tributario eseguito sulle menzionate indennità dei dipendenti pubblici dev’essere inquadrato tra le ipotesi di “versamento diretto” (citato D.P.R. n. 602, ex art. 38), e non invece tra quelle di “ritenuta diretta” di cui al precedente art. 37; con la conseguente applicazione, in tema di domande di rimborso da parte del contribuente, dello speciale regime decadenziale previsto dal medesimo art. 38 per i versamenti diretti, il quale si riferisce anche ai versamenti eseguiti per il tramite di sostituto d’imposta (si vedano, tra le altre, Cass. n. 4318/89, n. 7489/90, n. 4587/90, n. 13506/91, n. 8173/92, n. 9200/92, n. 7770/93, n. 3141/94, n. 9395/94, n. 4598/95, n. 4671/95, e n. 2485/96). Sul fondamento logico e giuridico di tale orientamento – cui questo collegio pienamente aderisce – non occorre qui ulteriormente soffermarsi, perchè fin troppe volte esso è stato ribadito e costituisce ormai un vero e proprio jus receptum.

Giova solo aggiungere che la questione non si pone in termini diversi per il caso d’indennità spettante (come nella specie) ad un dipendente dell’EFIM, giacchè il fatto che detta indennità sia stata erogata dal medesimo istituto e che sia sempre quest’ultimo ad aver operato la trattenuta fiscale di cui si discute dipende dal carattere di ente pubblico, dotato di propria autonoma personalità giuridica, che è proprio di detto istituto.

Il che, lungi dal farne un mero rappresentante dello Stato nell’esercizio della funzione di riscossione tributaria, ancor più ne sottolinea il ruolo di semplice sostituto d’imposta nel rapporto tra il Fisco ed il dipendente, tenuto al versamento del tributo sull’indennità erogatagli.

In accoglimento del proposto ricorso, l’impugnata decisione dev’essere, dunque, cassata.

Nè risulta possibile condividere il prospettato dubbio di legittimità costituzionale, in considerazione del quale la parte intimata chiede a questa Corte di disapplicare la norma dell’art. 38 o, in subordine, di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Se appare da un canto manifesto che non vi è correlazione alcuna tra la disciplina qui in esame e i principi costituzionali previsti dagli artt. 24 e 53, resta solo – a questo proposito – da argomentare che neppure sotto il profilo dell’art. 3 e del principio di eguaglianza può nutrirsi dubbio alcuno circa la perfetta legittimità della regola imposta dall’art. 38 di cui si tratta.

Ed invero, la differenza dei termini che sono previsti nella disciplina del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 37 e 38, è giustificata proprio dalla diversa posizione nella quale vengono a trovarsi i soggetti che subiscono il versamento diretto o la ritenuta diretta.

Tanto meno rileva la prospettata discriminazione rispetto al “più ampio termine ad agire accordato all’Amministrazione per l’accertamento tributario”, apparendo del tutto evidente che si tratta di posizioni tra loro incomparabili e non valorizzagli ai fini della affermazione di una “discriminazione” in senso tecnico.

Tutto ciò acclarato e non prospettandosi l’esigenza di ulteriori accertamenti di fatto, risulta non è necessario disporre il rinvio della causa al giudice tributario. Questa corte, infatti, ai sensi del novellato art. 384 c.p.c., comma 1, è senz’altro in grado di decidere nel merito, respingendo – per le ragioni già dianzi chiarite – la domanda di rimborso proposta dal contribuente dopo lo spirare del termine di decadenza di diciotto mesi (decorrente dalla data della ritenuta fiscale, operata nell’anno 1993) previsto dal più volte citato D.P.R. n 602 del 1973, art. 38.

Il regolamento delle spese di lite è informato al principio della soccombenza per questo grado di giudizio, mentre possono essere compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di rimborso d’imposta proposta il 20.7.1995 dal contribuente; condanna la parte intimata a rifondere le spese di questo grado, liquidate in Euro 3.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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