Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25527 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 21/09/2021), n.25527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35849-2019 proposto da:

FONDAZIONE COFIT ONLUS, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZE 34,

presso lo studio legale TOCCI PAPASODARO, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAOLO ALBERTO TINCHELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 745/12/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA, depositata l’08/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Considerato che:

Con sentenza nr 745/2019 la CTR dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei riguardi della Fondazione Cofit Onlus avverso la sentenza della CTP di Bologna con cui era stato accolto il ricorso della contribuente avente ad oggetto il diniego all’iscrizione presso l’Anagrafe Unica delle Onlus.

Rilevava che, alla luce delle risultanze processuali, la Fondazione Cofit non aveva dimostrato in concreto l’attività di assistenza sociale.

Evidenziava in questo senso che l’unica attività riscontrabile dall’Ufficio era consistita nella compravendita di crediti di imposta inesistenti indicati nel corso 2012 nel quadro RV per l’importo di Euro 677.228,00.

Avverso tale pronuncia la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste solo formalmente l’Agenzia delle Entrate.

Con un primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 101 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3.

Si lamenta che la CTR non avrebbe preso in considerazione l’istanza di rinvio per legittimo impedimento che il difensore della contribuente avrebbe presentato a seguito del rinvio d’ufficio dell’udienza pubblica di trattazione disposta dalla Commissione.

Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61 in combinato disposto degli art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3.

Si duole la contribuente che il provvedimento impugnato sarebbe privo della minima esposizione dei motivi di fatto e di diritto in base ai quali la CTR aveva deciso di accogliere l’appello.

Si lamenta altresì che il giudice di appello avrebbe fondato il suo convincimento su di un documento allegato in sede di appello dall’Agenzia estraneo alla sfera giuridica dell’appellata.

Il primo motivo è inammissibile in quanto privo dei requisiti dell’autosufficienza. Giova ricordare che in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006); tuttavia, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato.

La parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004); requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., che rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure (Cass. 2020 nr 23620).

L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo (per tutte: Cass. 8 giugno 2016, n. 11738), onde presume che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, così da consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).

Gli oneri sopra richiamati, sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicché, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U., n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013).

Ciò posto nel caso di specie la ricorrente si duole dell’omesso esame dell’istanza di rinvio di cui si omette la trascrizione neppure indica se e dove sia rinvenibile agli atti del processo e non consente di verificare la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (Cass. n. 23834/2019).

Con riguardo al secondo motivo non sussiste il vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente che in base alla costante giurisprudenza di legittimità, ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito) non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella caso in esame neppure dedotto.

Ciò premesso la CTR ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto giustificato il diniego di iscrizione sottolineando che la sola attività riscontrabile era rappresentata dalla compravendita di crediti di imposta inesistenti indicati nel riquadro RV per un importo di Euro 677.228,00 e che i siti internet erano stati bloccati dai provvedimenti emessi dalla Procura della Repubblica di Modena. La decisione pertanto si sottrae alla critica che le viene mossa.

Il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento dell’attività difensiva da parte dell’Amministrazione finanziaria costituitasi solo formalmente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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