Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25522 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/10/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 10/10/2019), n.25522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21669-2015 proposto da:

CAMPANIA TRASPORTI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA NIZZA

45, presso lo studio dell’avvocato PACE ANTONIO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2759/2015 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 20/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Campania Trasporti s.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 2759/17/2015, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 20.03.2015, che rigettava il ricorso introduttivo della contribuente, proposto avverso il silenzio-rifiuto della Agenzia delle Entrate formatosi sull’istanza di rimborso della quota di Irpeg ed Ires versata per gli anni d’imposta 2003-2006 (pari ad Euro 74.237,00), corrispondente alla mancata deduzione dell’irap per la quota commisurata alle spese per prestazioni di lavoro e oneri finanziari.

Rappresentava che l’indeducibilità dalla base imponibile dell’imposta sulle società della quota dell’irap relativa alle prestazioni di lavoro violava i principi costituzionali a presidio della capacità contributiva, della uguaglianza e della tutela del lavoro.

Il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta si concludeva con la sentenza n. 246/01/2009, con la quale il ricorso era rigettato.

La decisione era impugnata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che rimetteva alla Corte Costituzionale le questioni di costituzionalità sollevate dalla contribuente in ordine alla illegittimità della doppia imposizione; quindi, dopo che l’appellante dichiarava di rinunciare al giudizio di costituzionalità, pronunciava nel merito rigettando l’appello.

Nelle more la Corte Costituzionale, investita da diverse Commissioni tributarie delle medesime questioni, con le ordinanze n. 232/2012 e n. 56/2014 affermava che alla luce degli intervenuti D.L. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1 e D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12, entrambi convertiti, spettava ai giudici remittenti valutare se i dubbi di costituzionalità persistessero anche dopo l’introduzione dello ius superveniens, retroattivamente applicabile in materia di deducibilità dell’Irap, così restituendo gli atti alle Commissioni.

La società censura la decisione del giudice d’appello con quattro motivi: con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver deciso con motivazione perplessa e incomprensibile;

con il secondo per violazione della L. n. 87 del 1953, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essersi limitato ad esaminare se la sollevata questione di costituzionalità fosse o meno manifestamente infondata, ma per aver essa stessa compiuto un giudizio sulla legittimità costituzionale della disciplina;

con il terzo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver negato ingresso nel processo alle questioni nuove dettate dalla evoluzione normativa, erroneamente appellandosi al principio devolutivo, inapplicabile invece per l’ipotesi di ius superveniens;

con il quarto per violazione del D.L. n. 201 del 2011, artt. 2, comma 1, conv. in L. n. 2014 del 2011, e D.L. n. 16 del 2012, art. 4 comma 12, conv. in L. n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver negato l’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, e, per l’ipotesi di accoglimento del terzo e del quarto motivo, la decisione nel merito.

Si è costituita l’Agenzia, che ha contestato le ragioni dell’avverso ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

E’ stata depositata dalla contribuente memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il primo motivo, con il quale si lamenta una motivazione perplessa e incomprensibile, è inammissibile. Esso è inammissibile perchè denuncia in concreto un vizio di motivazione, invocando però l’ipotesi dell’error iuris in judicando, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ inoltre inammissibile per aver denunciato l’incomprensibilità della decisione per contraddittorietà tra l’ordinanza -emessa nel corso del giudizio, con la quale la Commissione aveva rimesso alla Corte Costituzionale le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla contribuente- e la sentenza -nella quale invece si afferma la manifesta infondatezza delle questioni costituzionali sollevate-. In tal modo però la ricorrente non si avvede che lamenta una incoerenza non interna alla medesima decisione, ma per contrasto con una precedente ordinanza, fattispecie che esula dai vizi sussunti nell’art. 360 c.p.c. A margine il motivo è anche infondato perchè, pur non segnalandosi per chiarezza espositiva, la pronuncia è costruita: a) sulla constatazione che la contribuente aveva invocato l’illegittimità costituzionale della disciplina che impediva, ai fini della determinazione della base imponibile dell’Irpeg, e poi dell’Ires, la deducibilità dell’irap assolta per la quota commisurata ai costi sostenuti dall’impresa per i lavoratori dipendenti; b) sulla considerazione che la stessa contribuente avesse rinunciato alla questione di legittimità costituzionale; c) infine sulla valutazione della manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della disciplina applicabile al caso di specie, ossia quella anteriore alla novella introdotta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 2, commi 1 e 1-quater (come modificato dal D.L. n. 16 del 2012). Il ragionamento, opinabile o meno e al netto della fluidità di lettura del testo, era lineare e non perplesso.

Infondato è il secondo motivo, con cui si lamenta che il giudice d’appello avrebbe violato la L. n. 87 del 1953, art. 23, per avere esso stesso formulato un giudizio di legittimità costituzionale della disciplina, così sostituendosi alla Corte Costituzionale, anzicchè limitarsi a valutare manifestamente o non manifestamente infondata la questione costituzionale sollevata dalla ricorrente.

A parte che il motivo sfiora l’ammissibilità, poichè è ricondotto formalmente negli errores in judicando e non in procedendo, e solo il tenore del suo sviluppo argomentativo ne salva la correttezza sostanziale, in ogni caso, e a differenza di quanto assume la difesa della contribuente, la decisione, pur con i limiti espositivi già evidenziati, ha semplicemente constatato la rinuncia alla questione di legittimità costituzionale delle norme all’epoca vigenti ed ha considerato che comunque trattavisi di questione manifestamente infondata.

Il terzo motivo è inammissibile. Con esso la contribuente ha rappresentato che il giudice d’appello ha negato ingresso alle questioni nuove emerse con la disciplina dettata dal Legislatore del 2011 e del 2012, e ciò ha fatto appellandosi al rispetto del principio devolutivo. La difesa della società ha sostenuto che tale principio è invece inapplicabile nelle ipotesi di ius superveniens. Sennonchè la ricorrente ha ricondotto un tipico error in procedendo nella fattispecie prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 3, cui sono riconducibili i soli errores in judicando.

Esaminando infine il quarto motivo, con il quale ci si duole della negata deducibilità dalla base imponibile del reddito determinato ai fini dell’Imposta sulle persone giuridiche, e, dalla sua introduzione, dell’Imposta sul reddito delle società, della quota di Irap commisurata alle spese per prestazioni di lavoro, esso trova accoglimento nei limiti appresso chiariti.

Sintetizzando la difesa della contribuente, essa sostiene che il D.L. n. 2 del 2011, art. 2, convertito in L. n. 214 del 2011, successivamente integrato dal D.L. n. 16 del 2012 con l’aggiunta del comma 1-quater, ha consentito – ai fini della determinazione dell’imponibile ai fini Irpeg, e poi ai fini Ires – la detrazione dell’Irap assolta nella misura della quota relativa alle spese per prestazioni di lavoro. Ciò costituirebbe ius superveniens applicabile al caso di specie. Conferma a tale ricostruzione si vorrebbe far derivare dall’ordinanza n. 232/2012 della Corte Costituzionale, che, investita da alcune Commissioni Tributarie sulla legittimità costituzionale della denunciata doppia imposizione, aveva restituito gli atti ai giudici rimettenti, sollecitando una interpretazione della disciplina impugnata alla luce della intervenuta nuova normativa. In particolare la società afferma che gli interventi legislativi del 2011 e del 2012 consentivano a coloro che avevano presentato istanza di rimborso per l’imposta assolta ai fini Irpeg o Ires anche per gli anni oggetto della presente controversia, 2003-2006, la deducibilità dell’Irap per la quota commisurata alle spese per prestazioni di lavoro.

Questa interpretazione non può trovare condivisione perchè in palese contrasto con il dettato normativo.

La disciplina sopravvenuta, e menzionata dalla Corte Costituzionale, è costituita dal D.L. n. 2 del 2011, art. 2, convertito in legge, il quale prevede che a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 sia deducibile, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 99, comma 1, un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive, determinata ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5,5-bis, 6,7 e 8, limitatamente alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato, al netto delle deduzioni spettanti ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 11, comma 1, lett. a), commi 1-bis, 4-bis e 4-bis.1.

Il D.L. n. 16 del 2012, art. 4 comma 12 ha poi aggiunto al citato art. 2, il comma 1-quater, così prevedendo che “in relazione a quanto disposto al comma 1 e tenuto conto di quanto previsto dal citat D.L. 29 novembre 2008 n. 185, art.6, commi da 2 a 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009 n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38, nonchè ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo”.

Il significato della novella del 2011, integrata dall’intervento del 2012, nel rispetto di una interpretazione piana del testo normativo, depone dunque a favore di una portata retroattiva limitata ai quattro anni precedenti, con esclusione di tutte le annualità pregresse, comprese quelle per le quali, entro quel termine, il contribuente abbia già presentato istanza di rimborso, come invece pretende la ricorrente. Diversamente la norma avrebbe dovuto fare espresso riferimento alle domande di rimborso presentate e al cui silenzio rifiuto della Amministrazione finanziaria fosse seguito un contenzioso ancora pendente, ma il testo del comma 1 quater non ha tale contenuto, nè possono essere d’ausilio ad una diversa interpretazione le considerazioni riportate dalla ordinanza con la quale la Corte Costituzionale aveva restituito gli atti alle Commissioni rimettenti.

Mancano peraltro le ragioni per ritenere che la disciplina complessivamente emergente violi diritti costituzionalmente garantiti, atteso che in tema di imposte dirette la legge ha sempre tendenzialmente escluso la deducibilità dall’imponibile di oneri di natura fiscale, sicchè è solo il Legislatore a poter discrezionalmente regolare la materia degli oneri deducibili di natura fiscale.

A tal fine è utile ribadire la legittimità dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale del Legislatore in materia di disciplina agevolativa, come più volte chiarito dal giudice delle leggi – salvo eventuali palesi arbitrarietà o irrazionalità della disciplina (cfr. C. Cost. n. 292/1987; ord. n. 174/2001; sent. n. 117/2017 e n. 17/2018) – e dalla Corte EDU, secondo cui la materia dell’imposizione fiscale fa parte del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica (Ferrazzini c. Italia, 12 luglio 2011,) con vasta discrezionalità entro i confini di riserva di legge (James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, conf. Spack c. Rep. Ceca).

Nel caso di specie non emergono arbitrarietà o irrazionalità, mentre è del tutto ragionevole, in rapporto ad esigenze di finanza pubblica, anche alla luce dell’art. 81 Cost. nelle sue più recenti interpretazioni, fissare un limite temporale nel riconoscimento di agevolazioni (cfr. C. Cost., sent. n. 56/2015; n. 216/2015; n. 160 e n. 103 del 2013, n. 149/2017, persino su cd. diritti quesiti; cfr. anche le motivazioni della Corte EDU nelle ipotesi di ragionevoli motivi di finanza pubblica – National & provincial building society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997).

Questo Collegio tuttavia ritiene applicabile il disposto del D.L. n. 185 del 2008, art. 6, comma 2. La norma prescrive che: “1. a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai sensi del TUIR, approvato con il D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 99, comma 1, e successive modificazioni, un importo pari al 10 per cento dell’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, gli artt. 5,5-bis, 6,7 e 8 del forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi del medesimo D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), commi 1-bis, 4-bis e 4-bis.1.

2. In relazione ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2008, per i quali è stata comunque presentata, entro il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, istanza per il rimborso della quota delle imposte sui redditi corrispondente alla quota dell’IRAP riferita agli interessi passivi ed oneri assimilati ovvero alle spese per il personale dipendente e assimilato, i contribuenti hanno diritto, con le modalità e nei limiti stabiliti al comma 4, al rimborso per una somma fino ad un massimo del 10 per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfetariamente ai suddetti interessi e spese per il personale, come determinata ai sensi del comma 1.

3. I contribuenti che alla data di entrata in vigore del presente decreto non hanno presentato domanda hanno diritto al rimborso previa presentazione di istanza all’Agenzia delle entrate, esclusivamente in via telematica, qualora sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38.

4. Il rimborso di cui al comma 2 è eseguito secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze di cui ai commi 2 e 3, nel rispetto dei limiti di spesa pari a 100 milioni di Euro per l’anno 2009, 500 milioni di Euro per il 2010 e a 400 milioni di Euro per l’anno 2011. Ai fini dell’eventuale completamento dei rimborsi, si provvederà all’integrazione delle risorse con successivi provvedimenti legislativi. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze ed ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo”.

Deve in conclusione darsi continuità al principio già affermato da questa Corte, secondo cui in tema di IRAP, ai fini della deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile, la disciplina introdotta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 2, conv. in L. n. 214 del 2011, trova applicazione anche per i rimborsi relativi ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, solo ove, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse ancora pendente il termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, restando invece ferma la disciplina dettata dal del D.L. n. 185 del 2008, art. 6, conv. in L. n. 2 del 2009, in relazione ai periodi di imposta per i quali fosse stata già presentata, entro il termine di cui all’art. 38 cit., istanza di rimborso, e il cui ammontare è dovuto per una somma fino a un massimo del 10% dell’Irap dell’anno di competenza, riferita forfettariamente a interessi e spese per il personale (Cass., ord. n. 11087/2019; sent. n. 15341/2019).

Nel caso di specie pertanto la deduzione dall’imponibile ai fini Irpeg ed Ires va applicata alla quota forfettaria prevista dal comma 2, nella misura in essa indicata.

Considerato che

Il ricorso trova accoglimento nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto la sentenza va cassata e il giudizio rinviato alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che in diversa composizione, oltre alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dovrà rideterminare l’irpeg e l’ires dovuta per gli anni d’imposta 2003-2006, applicando D.L. n. 185 del 2008, ex art. 6, comma 2, la deduzione forfettaria relativa alla quota di irap commisurata alle spese per prestazioni di lavoro.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini indicati in parte motiva. Cassa e rinvia il giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, in diversa composizione, deciderà anche sulla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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