Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25521 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. III, 21/09/2021, (ud. 18/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 4477 del ruolo generale dell’anno 2019

proposto da:

T.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Fabio Giuseppe Lucchesi,

(C.F.: LCCFGS62R26H501H);

– ricorrente –

nei confronti di:

C.G., (C.F.: CNSGPP75D24H501K), rappresentato e difeso,

giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato Maurizio

Antinucci, (C.F.: NTNMRZ55T03H501H);

– controricorrente –

nonché

REGIONE LAZIO, (C.F.: non indicato), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

6947/2018, pubblicata in data 28 novembre 2018 (e notificata in data

5 dicembre 2018);

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 18

marzo 2021 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.G. ha agito in giudizio nei confronti di C.G. per ottenere la dichiarazione di avvenuta cessazione di un rapporto di subconcessione relativo ad un fondo rustico di proprietà della Regione Lazio, con condanna del convenuto al rilascio dello stesso e al risarcimento del danno per la sua occupazione successiva alla scadenza del rapporto, nonché per altre inadempienze. E’ stata chiamata in giudizio la Regione Lazio.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Civitavecchia Sezione specializzata agraria.

La Corte di Appello di Roma – Sezione specializzata agraria, ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la T., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso il C..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro ente intimato.

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione del disposto di cui della L. n. 203 del 1982, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo la ricorrente, poiché il rapporto di concessione con l’ente proprietario del fondo era scaduto al momento della stipula del contratto di subaffitto con il C., non esisteva un valido contratto principale in corso di efficacia tale da consentire l’applicazione del disposto della L. n. 203 del 1982.

Il motivo è infondato.

La corte di appello, premesso che, in base alla L. n. 203 del 1982, art. 21, il subaffittuario subentra “nella posizione giuridica dell’affittuario o del concessionario”, ha affermato che tale subingresso riguarda qualunque posizione giuridica derivante dal contratto principale in favore del concessionario e nei confronti del proprietario, non potendo ritenersi limitata alla sola titolarità dei diritti ed obblighi derivanti da un rapporto agrario in corso, ma avendo invece altresì ad oggetto le posizioni giuridiche che si determinano tra le parti negoziali all’esito della cessazione del rapporto stesso e, quindi, anche la mera aspettativa al rinnovo del rapporto ormai scaduto (specie, come nella specie, trattandosi di aspettativa fondata su normativa regionale).

Tali considerazioni sono pienamente condivisibili in diritto, in quanto conformi alla lettera ed alla ratio della disposizione, nonché sostanzialmente in linea con i precedenti di questa stessa Corte in materia (cfr., in generale, sulla ratio del divieto previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 21, nonché sulle relative azioni cui dà luogo la sua violazione: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6259 del 29/11/1984, Rv. 437887 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5846 del 28/10/1988, Rv. 460356 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1191 del 03/03/1989, Rv. 462076 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2471 del 08/03/1991, Rv. 471200 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4982 del 04/04/2001, Rv. 545544 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1513 del 05/02/2002 Rv. 552074 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21018 del 12/10/2010, Rv. 614570 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 13791 del 31/05/2018, Rv. 648714 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 701 del 21/01/1995, Rv. 489820 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 593 del 17/01/2001, Rv. 543228 – 01).

L’aspettativa dell’affittuario relativa al rinnovo del rapporto, scaduto e oggetto di disdetta da parte del proprietario – che la stessa ricorrente assume del resto trovare fondamento nelle previsioni della normativa regionale – costituisce una posizione giuridica soggettiva che ha comunque la sua fonte nel contratto principale di locazione e/o di concessione intercorrente tra proprietario e affittuario.

Di conseguenza, il subaffittuario può ben subentrare in tale posizione giuridica, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 21 (non ha invece rilievo, ai fini del presente giudizio, stabilire se i requisiti per il rinnovo debbano sussistere in capo all’affittuario, al subaffittuario o ad entrambi).

In altri termini, il subaffittuario, in caso di mancata richiesta del proprietario del fondo di dichiarazione di nullità del contratto di subaffitto, se il rapporto agrario è ancora in corso subentra negli obblighi e nei diritti dallo stesso derivanti, mentre se il rapporto è cessato subentrerà nelle posizioni giuridiche che trovano fonte comunque nel contratto principale di affitto cessato (purché in origine valido) e, in particolare, nelle posizioni giuridiche che (come l’aspettativa al rinnovo) eventualmente sorgano proprio in virtù di detta cessazione.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione del disposto di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 21, anche in relazione alla L. 8 agosto 1990, n. 241, art. 11, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La ricorrente sostiene che la posizione giuridica in cui dovrebbe subentrare il C. non troverebbe fonte in un contratto scritto.

Anche questo motivo è infondato.

Si è già osservato, in relazione al primo motivo di ricorso, che l’aspettativa al rinnovo del rapporto agrario costituisce una posizione giuridica soggettiva che trova comunque fonte nel contratto di affitto e/o concessione originario, nella quale può subentrare il subaffittuario e/o sub-concessionario: ne consegue, sul piano logico e giuridico, che il contratto scritto che rappresenta la fonte della posizione oggetto dell’indicato subingresso è proprio l’originario contratto di affitto (che nella specie era stato stipulato con la Regione sulla base di due scritture private, per quanto emerge dagli atti).

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione del disposto di cui della L. n. 203 del 1982, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché per erronea e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Secondo la ricorrente, non sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 21, in quanto il suo rapporto con il C. non potrebbe qualificarsi come subaffitto.

Il motivo è inammissibile.

La corte di appello ha chiaramente affermato che la qualificazione in termini di subaffitto del rapporto tra la T. ed il C. era pacifica ed incontestata tra le parti.

La T., nel contestare detta qualificazione, trascrive il testo del contratto stipulato con il C. e sostiene che non ricorrevano i presupposti per qualificarlo in termini di subaffitto. Orbene, in primo luogo va osservato che si tratta di una questione che, oltre a valutazioni in diritto, richiede accertamenti in fatto (sia con riguardo all’interpretazione della scrittura privata in cui è stato trasfuso il testo del contratto, sia con riguardo al concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti nella sua attuazione, anche in relazione alle caratteristiche del fondo).

Con riguardo a tale questione, d’altronde, la corte di appello si è limitata a rilevare che la qualificazione in termini di subaffitto non era stata oggetto di contestazioni ed era da ritenersi pacifica tra le parti, senza effettuare un accertamento in concreto.

Le censure di cui al motivo di ricorso in esame, in quanto volte a sostenere che la qualificazione del rapporto come subaffitto sarebbe erronea sulla base delle previsioni della scrittura privata sottoscritta dalle parti, non colgono dunque adeguatamente l’effettiva ratio della decisione: i giudici del merito non hanno infatti proceduto direttamente alla suddetta qualificazione, ma hanno deciso sul punto esclusivamente sulla base del rilievo del carattere pacifico tra le parti della stessa qualificazione.

La ricorrente non richiama, peraltro, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, lo specifico contenuto degli atti del giudizio di merito in cui aveva eventualmente sollevato specifiche contestazioni sul punto o dai quali sia comunque possibile evincere che la corte di appello avrebbe errato nel ritenere la qualificazione del rapporto incontestata tra le parti. Anzi, vengono trascritte (a pag. 3 del ricorso) le conclusioni dell’atto di citazione originario, in cui il rapporto è dalla stessa attrice espressamente qualificato proprio come “rapporto di subconcessione”, il che in definitiva conferma quanto statuito dalla corte territoriale.

Le censure di cui al motivo di ricorso in esame risultano quindi inammissibili per estraneità alla effettiva ratio decidendi della pronuncia impugnata e per difetto di specificità nell’allegazione della non novità della questione con esse posta.

Solo per completezza espositiva è comunque opportuno ribadire, in linea generale, che la qualificazione del rapporto sulla base dell’interpretazione della volontà negoziale desumibile dalla scrittura privata intercorsa tra le parti costituisce un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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