Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25516 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 30/11/2011), n.25516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3846-2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.R., in qualità di erede del Sig. P.L.,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio

dell’avvocato FANTOZZI AUGUSTO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIULIANI FRANCESCO, BELLI CONTARINI EDOARDO,

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 01/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Avv. P.L. impugnò, agendo in proprio, l’avviso di rettifica, ai fini INVIM, del valore iniziale di un’area edificabile.

L’adita CTP di Cagliari dichiarò inammissibile il ricorso, con sentenza del 21.11.2001. Su impugnazione proposta il 10.12.2004 da P.R., erede dell’originario ricorrente, tale decisione fu dichiarata nulla, con sentenza n. 110/4/05 depositata il 1.12.2005, dalla CTR della Sardegna, che dispose la rimessione della causa al primo giudice, osservando che non era stato dato avviso dell’udienza, in violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, e che gli effetti dell’interruzione del processo dovevano farsi risalire al momento in cui l’evento si era verificato.

Per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di due motivi.

L’intimato resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio, con compensazione delle spese. A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

Col primo motivo, l’Agenzia delle Entrate deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 40, 33 e 51 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, critica la sentenza impugnata per non aver rilevato che l’appello era tardivo, in quanto la decisione di prime cure era stata depositata il 31.1.2001 e l’appello proposto il 10.12.2004, dopo il decorso del termine lungo d’impugnazione, spirato il 2.10.2004, per effetto della proroga di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6. La ricorrente deduce che: 1) i giudici d’appello hanno confuso l’operatività dell’interruzione, che presuppone la declaratoria da parte del giudice, con la retroattività degli effetti, tipica dei casi in cui l’evento, come nella specie, colpisca la parte che sta in giudizio personalmente; 2) anche a voler considerare la mancata notifica dell’udienza come causa di nullità, la relativa questione doveva esser dedotta mediante la proposizione di un tempestivo gravame; 3) non può trovare applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 che si applica, solo, alle parti non costituite, e tale non è la parte ricorrente; 4) il decesso del ricorrente era ininfluente, trasferendosi in capo al suo erede l’onere di conoscere degli sviluppi del giudizio.

Il motivo è fondato. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6375/2006), cui si intende dare continuità, ha affermato che l’art. 327 c.p.c., estendendo la propria efficacia all’intero ordinamento processuale, si applica anche alle sentenze delle commissioni tributarie di primo e secondo grado, le quali, pertanto, non possono essere impugnate ove sia trascorso un anno dalla loro pubblicazione, termine che decorre dal deposito della sentenza, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della cancelleria, a meno che la parte rimasta contumace non dimostri di non avere avuto alcuna conoscenza del processo; ai fini dell’accertamento di tale conoscenza, è poi sufficiente che sia nota la proposizione del ricorso. Ne consegue che la norma non è applicabile all’attore o al ricorrente, e cioè alla parte ha instaurato il processo ed è costituita, non potendosi in alcun caso attribuire a detta parte la qualifica di contumace: ed invero, come questa Corte ha evidenziato (Cass. n. 8245/2003), per l’applicazione della deroga prevista dall’art. 327 c.p.c., comma 2 “costituisce condizione essenziale che la parte contumace sia rimasta tale perchè, a causa del contenuto della citazione, del ricorso o della loro notificazione, non è stata messa in grado di prendere parte al giudizio, mentre non si applica quando la parte, messa in grado di partecipare al giudizio o comunque costituitasi, rimane poi assente per vizi di svolgimento dello stesso”. L’equiparazione al contumace dell’erede inconsapevole del ricorrente, teorizzata dall’intimato è priva di fondamento: l’art. 110 c.p.c., nel disporre, per il caso in cui la parte viene meno per morte o per altra causa, che “il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto” sancisce, al contrario, il principio secondo cui l’erede subentra nella medesima posizione processuale del “de cuius”. La circostanza che la sentenza sia stata emanata quando il processo era “ope legis” interrotto, per il decesso della parte che agiva personalmente, non muta i termini della questione, tenuto conto che la relativa nullità (al pari di quella che colpisce gli atti processuali successivi al verificarsi dell’evento) soggiace al principio generale della conversione delle nullità in mezzi di gravame, ed avrebbe, quindi, dovuto essere dedotta mediante tempestiva impugnazione (Cass. n. 25641 del 2010). Resta da aggiungere che l’ampiezza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 consente al soccombente, e dunque all’erede che gli subentra in “universum jus”, di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza che è dovuta in “rebus suis” (cfr. Corte Cost. 297/2008, che ha sottolineato come l’art. 327 c.p.c. opera un bilanciamento non irragionevole tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa).

La sentenza va, dunque, cassata e la causa decisa nel merito con la declaratoria d’inammissibilità dell’appello, statuizione che assorbe l’esame del secondo motivo, col quale la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 59 c.p.c., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Le spese del giudizio di merito vanno compensate tra le parti e quelle del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del controricorrente ed in favore dell’Agenzia, e si liquidano in Euro 3.500,00, oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economìa e delle Finanze, e spese compensate. Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello, compensa tra le parti le spese del giudizio di merito e condanna l’intimato al pagamento, in favore dell’Agenzia, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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