Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25516 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 12/11/2020), n.25516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

nel ricorso iscritto al n. 2188/2015, promosso da:

M.E., rappresentata e difesa in giudizio dall’avv.

Giuseppe Romano, all’indirizzo del quale

giuseppe.romano.pecavvocatinola.it è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza 7078/46/14 emessa il 14 luglio 2014

dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, avente ad

oggetto revocazione della sentenza 122/51/13.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Per la revocazione della sopra detta sentenza, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 5, M.E. ha proposto ricorso alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, adducendo il giudicato esterno formatosi sulla sentenza 271/46/12 della stressa Commissione Tributaria Regionale che aveva statuito, riguardo ad identico accertamento relativo all’anno 2006, la sua estraneità alla frode fiscale posta in essere dal P. e la deducibilità dei costi sostenuti per gli acquisti.

Con la sentenza sopra indicata la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato la domanda di revocazione.

Ricorre per la cassazione di questa sentenza, per due motivi.

L’Agenzia resiste con controricorso.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 6 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 168 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

La Commissione Tributaria Regionale ha giustificato il rigetto della domanda di revocazione richiamando la giurisprudenza secondo la quale nel caso di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 5, perchè una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che sussista un’ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi, su cui debba esprimersi il secondo giudizio, e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico. E poichè, a norma dell’art. 7 TUIR, l’imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma, non è configurabile il detto motivo di revocazione allorchè il precedente giudicato si riferisca ad un’annualità di imposta sui redditi diversa dal periodo d’imposta considerato nella impugnata sentenza.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 369 c.p.c., nn. 3 e 4” in quanto la sentenza si pone in contrasto con il principio statuito da Cass., sez. u., 13916/’06.

Con il secondo motivo deduce l’effetto espansivo del giudicato formatosi sulla sentenza 271/46/12, relativo all’accertamento, fondato su identici presupposti, relativo all’annualità 2016, che aveva riconosciuto lo stato di buona fede della contribuente nei suoi rapporti con P.P..

Il primo motivo è infondato.

Va dato atto che con la sentenza indicata dalla ricorrente il precedente orientamento giurisprudenziale è mutato e si è affermato il principio secondo cui qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale

“norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta.

Questa giurisprudenza si è consolidata (cass., 9512/2009; Cass., 24433/’2013; Cass., 13498/2015; Cass., 37/2019) e rispetto ad essa la motivazione della sentenza 7078/46/14 si pone in dissonanza.

Tuttavia deve essere rilevato l’orientamento, più volte espresso da questa Corte (Cass., 16010/’19; Cass., 16996/’12; Cass., 8855/’16; Cass., 30033/18), secondo il quale le controversie in materia di I.V.A. sono soggette a norme comunitarie imperative la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dall’eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza unionale come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta, sicchè il giudicato formatosi in materia di tributi diretti non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta sul valore aggiunto, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto.

La conseguenza che deve trarsene è che la sentenza deve essere – con diversa motivazione – confermata, negandosi forza espansiva sull’annualità 2005 del giudicato formatosi sulla sentenza 271/46/12, relativo all’annualità 2016 – ai fini della detraibilità dell’iva corrisposta per le operazioni con P.P.. Ai fini della deduzione dei costi, vale quanto rilevato nel parallelo giudizio 1934/2014, trattato congiuntamente.

Il secondo motivo di ricorso resta compreso nel rigetto del primo.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 5.600, oltre spese prenotate e debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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