Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25510 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2020, (ud. 14/03/2019, dep. 12/11/2020), n.25510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adel Toni – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4237/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ges Italy s.p.a. (già, International Trasport Service Associated

S.p.A.), in persona del procuratore speciale Dott. Murgo Roberto,

rappresentata e difesa dall’avv.to Palmiero Clementino, con

domicilio eletto in Roma, via Albalonga 7, presso lo studio del

difensore;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 434/1/15, depositata in data 28/01/2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 marzo 2019

dal Consigliere Novik Adet Toni.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Ges Italy S.p.A. (già, International Trasport Service Associated S.p.A.) ha impugnato plurimi provvedimenti di irrogazione di sanzioni Iva, a fronte di maggiori dazi derivanti da operazioni doganali svolte nel corso dell’anno 2005, ad essa notificati dall’Agenzia delle dogane, scaturenti, nella prospettazione dell’ufficio, dall’omessa introduzione fisica nel deposito fiscale Iva di merci in sospensione d’imposta.

2. La Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso della società, avendo ritenuto formalmente regolare il comportamento tenuto dai trasportatori per conto della medesima.

3. La Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’impugnazione proposta dall’agenzia delle dogane, considerando illegittime le circostanze su cui si fondavano gli avvisi di irrogazione delle sanzioni;

– in particolare osservava che: a) il D.L. n. 26 del 2012, art. 8, comma 21-bis, conv. dalla L. n. 44 del 2012, con norma di interpretazione autentica del D.L. n. 31 del 1993, art. 50-bis, comma 4, lett. h), aveva modificato il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, con la conseguenza “che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositarlo, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA”, senza tempi minimi di giacenza, nè obbligo di scarico dal mezzo di trasporto; b) l’obbligazione di custodia o di deposito si perfezionava prescindendo da limiti temporali; c) doveva tenersi conto che le sanzioni conseguivano ad avvisi di accertamento, nelle more annullati con sentenza ormai coperta da giudicato.

4. L’Agenzia delle dogane propone ricorso avverso questa sentenza, per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, a cui la società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente, rileva la Corte che la società ha eccepito l’intervenuto giudicato esterno nell’ambito del giudizio proposto per l’impugnazione di ulteriori avvisi di irrogazione di sanzioni per fattispecie analoghe, emessi a carico di International Trasport Service Associated S.p.A. quale responsabile in solido; tale giudizio, si afferma, è stato deciso in senso favorevole alla società con sentenza n. 3645/14/14 del 27/5/2014 che, si assume, essere passata in giudicato;

– l’eccezione è infondata: la società invoca inutilmente il giudicato esterno a suo favore, laddove non ha dimostrato, come suo onere, che la sentenza sopra indicata sia divenuta definitiva, essendo stata allegata al controricorso una copia informe, uso studio, priva di ogni attestazione di definitività.

Deve quindi procedersi all’esame dei motivi di ricorso.

2. Con il primo motivo, la Agenzia delle dogane deduce error in procedendo: falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè contestuale falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3. In subordine, error in procedendo: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 295 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2;

– osserva che, erroneamente, la CTR aveva ritenuto che gli avvisi di accertamento da cui erano scaturiti i provvedimenti di irrogazione di sanzione erano stati annullati con sentenze passate in giudicato, atteso che le medesime sentenze erano state tempestivamente impugnate dall’ufficio per cassazione, ed i ricorsi, rubricati ai numeri RG 11107/2014 e 23851/2013, erano tuttora pendenti;

– in subordine, attesa la pregiudizialità del giudizio sugli atti impositivi rispetto a quello relativo alle sanzioni, rileva che la CTR avrebbe dovuto sospendere il giudizio, in attesa della definitività delle pronunce sugli avvisi di accertamento;

– il motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la rilevanza della questione di pregiudizialità tra i giudizi è ormai venuta meno;

– infatti, questa Corte di Cassazione con le sentenze n. 6531/2020 e n. 15136/2020, emesse 17/4/2019, depositate rispettivamente il 9/3/2020 e il 16/7/2020, ha rigettato i ricorsi dell’agenzia delle dogane avverso gli atti impositivi notificati dall’Agenzia delle Dogane, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, per il recupero dell’Iva all’importazione su merce di provenienza extra comunitaria che non era stata fisicamente immessa in deposito fiscale, che sono alla base dei provvedimenti sanzionatori oggetto della presente controversia;

– vero è che queste decisioni sono state emesse dopo la camera di consiglio in cui è stato deciso il presente ricorso; nondimeno, essendo le sentenze sopravvenute prima del deposito del relativo provvedimento decisorio, di esse comunque questa Corte deve tenere conto, considerato che la deliberazione in camera di consiglio è atto privo di rilevanza giuridica esterna, mentre è solo la pubblicazione che attribuisce giuridica esistenza alla sentenza civile, salvo ovviamente il caso in cui vi è obbligo di lettura del dispositivo in udienza (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 14357 del 21/12/1999, Rv. 532409 – 01).

3. Con il secondo motivo di ricorso, l’agenzia deduce, in prospettiva dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, convertito dalla L. n. 427 del 1993, e agli artt. 1177 e 1760 c.c., in combinato disposto con l’art. 201 C.D.C.;

– ribadisce che, ai fini del regime sospensivo dell’Iva all’importazione, è necessaria l’effettiva consegna fisica della merce in deposito e che l’inosservanza trova la sua sanzione nel paradigma normativo di cui all’art. 13 cit., seguendo i criteri di proporzionalità indicati dalla Corte di giustizia e da quella di legittimità;

– il motivo è fondato;

– l’art. 50-bis cit., infatti, postula una introduzione effettiva irrilevante l’effettività del contratto di custodia o di deposito ai fini civilistici

– e ciò si ricava da una pluralità di elementi univoci: la necessità dell’esistenza di appositi spazi destinati alla custodia dei beni si desume, anzitutto, dall’esplicito riferimento ai locali contenuto nell’art. 50-bis, comma 1, nonchè dalla necessità ivi prevista – comma 4, lett. a) – che i beni vengano materialmente introdotti nel deposito; il comma 6, inoltre, laddove descrive le operazioni di “estrazione” dei beni dal deposito Iva per la loro utilizzazione presuppone ineludibilmente il materiale inserimento della merce in deposito, potendosi interpretare solo in tal senso la norma ove considera gli acquisiti operati sui beni prima dell’estrazione “durante la giacenza fino al momento dell’estrazione”; il comma 5, infine, prevede che i controlli doganali si effettuino attraverso la “vigilanza dell’impianto” (v. Sez. 5, n. 18928/18);

– la Corte di Giustizia, nella causa C-272/13, Equoland, ha inequivocabilmente postulato che l’Iva all’importazione e l’Iva intracomunitaria sono la stessa imposta, pur se assoggettate a termini ed a modalità diverse di riscossione;

– ancorchè la giurisprudenza domestica, sulla scorta di quella unionale, sia ormai consolidata nel ritenere che in caso di deposito fiscale cosiddetto “virtuale”, in assenza di frodi, qui non in discussione, l’amministrazione non può pretendere l’IVA all’importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il “fisico” deposito in un semplice adempimento “formale” che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo (Corte giust. UE sez. VI n. 272 del 2014, segnatamente nn. 29, 36 e 39; Cass. sez. V-T n. 10911 del 2016; Cass. sez. VI-T n. 17815 del 2015), va considerato che la legge comunitaria non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è stato predisposto ad un più efficace controllo IVA, con la conseguenza che deve riconoscersi al Paese membro il potere di comminare sanzioni in caso le merci importate non siano state fisicamente immesse nello stesso; sanzioni che, ancora secondo il giudice unionale, debbono essere però appropriate in relazione alla gravità della violazione ed ai suoi effetti;

– fermo restando che, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, la sanzione prevista, in mancanza di altre speciali, ben può essere quella stabilita dal citato D.Lgs. n. 471, art. 13 D.Lgs. per il ritardato o omesso versamento d’imposte (Cass. sez. VI-T n. 17814 del 2015; Cass. sez. VI-T n. 16109 del 2015) e può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purchè sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito. (Cass. sez. trib. n. 12231 del 2017);

– le modalità attuate ed accertate dalla CTR, come evidenziate nella sentenza, sono meramente cartolari ed assolvono, dunque, ad un deposito virtuale e non ad un deposito effettivo;

– non è poi persuasivo – come già rilevato da questa Corte (Cass. n. 17815 del 08/09/2015) – il richiamo nella sentenza impugnata agli ulteriori interventi normativi che si sono susseguiti rispetto allo ius superveniens di cui al D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, conv. dalla L. n. 2 del 2009, al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 21-bis, inserito dalla legge di conversione L. n. 44 del 2012 e al D.L. n. 179 del 2012, art. 34, comma 44, conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012, neppure avendo la società dedotto di avere svolto prestazioni di servizi alle quali si riferisce la lett. h) dell’art. 50-bis, comma 4, e venendo in discussione unicamente la mancata osservanza della previsione di cui al citato art. 50-bis, comma 4, lett. b).

4. All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che, attenendosi ai principi enunciati, riesaminerà la sanzione;

– il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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