Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25505 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 30/11/2011), n.25505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12260-2009 proposto da:

G.V., IMMOBILIARE PORTA CATENA SRL già OFFICINE

SPETTOLI srl in persona del legale rappresentante pro tempore,

S.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA VIA COLA

DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI PAOLO,

rappresentati e difesi dagli avvocati MICCINESI MARCO, PISTOLESI

FRANCESCO, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2007 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata l108/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GOLINO, delega Avvocato PISTOLESI,

che si riporta;

udito per il resistente l’Avvocato GUIDA, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Immobiliare Porta Catena s.r.l., già Officine Spettori s.r.l., S.M.G. e G.V. ricorrono per cassazione avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente che, riuniti i tre procedimento relativi agli appelli proposti dall’Ufficio avverso le tre sentenze di accoglimento rese dalla Commissione Tributaria Provinciale sui tre distinti ricorsi proposti da ciascuno dei contribuenti rispettivamente avverso l’avviso di accertamento Ilor ed i conseguenti avvisi di accertamento Irpef per l’anno 1998, tutti scaturenti da un verbale di accertamento della Guardia di Finanza di Ferrara, ha parzialmente riformato le stesse.

Il ricorso fonda su dieci motivi; l’agenzia controdeduce.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con i primi quattro motivi, accompagnati da idonei quesiti di diritto i ricorrenti lamentano che il giudice dell’appello abbia ritenuto ammissibile l’atto di appello nonostante avesse accertato che l’atto di appello notificato ai contribuenti mancasse di n. tre pagine e non fosse pertanto conforme a quello depositato nella segreteria della Commissione. Più specificamente lamentano con il primo, il secondo ed il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3 e art. 53, comma 2; per violazione dell’art. 184 bis c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60 e con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza per aver ritenuto decisiva la presenza della dichiarazione di conformità apposta sull’atto depositato pur avendo accertato la non veridicità della stessa, tanto da ordinare la rinnovazione della notifica a carico della parte appellante.

1.1 Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente trattando aspetti diversi della medesima tematica, sono infondate in applicazione del principio già affermato da questa Corte (Cass n. 8138 del 2011) al quale il Collegio intende dare continuità, secondo il quale: ” In tema di contenzioso tributario, qualora l’atto di appello sia stato notificato in una copia mancante di una o più pagine, non va dichiarata automaticamente l’inammissibilità dell’impugnazione, in virtù della disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 3, (esplicitamente richiamata, quanto all’appello, dall’art. 53 del medesimo D.Lgs.), in quanto tale ipotesi integra una mera incompletezza materiale e non quella sostanziale difformità di contenuto sanzionata con l’inammissibilità, pur dovendo il giudice accertare, in concreto, se la suddetta mancanza abbia effettivamente impedito al destinatario della notifica la completa comprensione dell’atto e, quindi, leso il suo diritto di difesa, con la conseguenza che non può dichiararsi l’inammissibilità se le pagine omesse risultino irrilevanti al fine di comprendere il tenore dell’impugnazione, ovvero quando l’atto di costituzione dell’appellato contenga, comunque, una puntuale replica ai motivi di gravame contenuti nell’atto notificato”.

Invero l’esatta portata precettiva della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, commi 2 e 3, va ricercata alla stregua del costante insegnamento di questa Corte (Cass. n. 6391 del 2006; n. 18088 del 2004), secondo cui le norme processuali volte ad impedire – con le sanzioni della inammissibilità o della improcedibilità – che il processo volga al suo naturale esito e cioè pervenga alla decisione sul merito “… proprio per il loro rigore sanziona torio, devono essere interpretate in senso restrittivo … riservando loro un limitato campo di operatività, comprensivo cioè di quei soli casi nei quali il rigore estremo deirinammissibilità (vera e propria extrema ratio) è davvero giustificato, in tal modo tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze Corte cost. nn. 189 del 2000 e 520 del 2002).

1.2 Nel caso di specie l’impugnata sentenza da atto della mancanza in ciascuno degli appelli notificati di n. tre pagine rispetto alle copie depositate nella segreteria della Commissione Tributaria, ma specifica che nelle stesse “non erano svolti motivi di appello nuovi e diversi rispetto a quelli introdotti con l’atto di appello, bensì mancavano unicamente alcune ulteriori argomentazioni svolte a sostegno dei motivi d’appello”; e sottolinea la mancata proposizione di qualunque replica nel merito da parte degli appellati anche dopo la notifica delle pagine mancanti.

In virtù del principio sopra affermato deve quindi ritenersi del tutto corretta e logicamente motivata la decisione del giudice dell’appello che ha escluso che nella previsione normativa di “difformità” insanabile di cui al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 rientrasse l’ipotesi in esame: quest’ultima infatti costituisce solo una mera incompletezza materiale, ininfluente sotto il profilo della comprensione dell’atto e quindi della possibilità di spiegare ogni legittima difesa contro lo stesso.

1.3 Va peraltro rilevato che non inficia la logicità della motivazione della sentenza di secondo grado il fatto che i giudici abbiano ordinato la notifica delle pagine mancanti: tale provvedimento, peraltro non previsto dal rito, è un “plus” che non dimostra nè può dimostrare, in presenza di una congrua motivazione in senso contrario, la rilevanza delle pagine mancanti ai fini della comprensione dell’atto di appello.

1.4 I motivi in esame vanno pertanto rigettati.

2. Con il quinto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 e viene posto il seguente quesito:

dica la Suprema Corte se, alla luce dell’omessa allegazione agli avvisi di accertamento del presupposto verbale della Guardia di Finanza e comunque della mancata riproduzione del contenuto di detto verbale nel corpo degli atti impositivi, questi ultimi debbano essere annullati, giusta il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 42.” 2.1 Il motivo è inammissibile secondo il principio già enucleato da questa Corte che ha affermato (Cass. n. 10330 del 2003; coni Cass. n. 12577 del 2004; n. 16459 del 2004): “In base al principio di autosufficienza, è inammissibile il ricorso per cassazione che non consenta l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione della sentenza di merito, nè permetta la valutazione della fondatezza di tali ragioni “ex actis”, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito.” 2.2 Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha ritenuto la relativa eccezione infondata “posto che il verbale della Guardia di Finanza del 31.10.2000 è stato legittimamente portato a conoscenza della parte appellata ed è stato depositato per estratto …” Tale affermazione della sentenza non è stata contestata con autosufficienza non avendo i ricorrenti riportato testualmente l’avviso di accertamento dal quale deve risultare la presenza o l’assenza del verbale della Guardia di Finanza come allegato o come estratto. La Corte non è stata pertanto messa in grado di svolgere la sua funzione di controllo di legalità.

3. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e si pone il seguente quesito:” dica la Corte se alla luce della mancata produzione in giudizio da parte dell’Ufficio del processo verbale di constatazione della G.d.F., costituente il presupposto degli atti impositivi emessi, debbano essere rigettate le pretese recepite in tali atti per mancato assolvimento dell’onere della prova, giusta il disposto dell’art. 2697 c.c.”.

3.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. stante l’estrema genericità del quesito posto, mancante di riferimento alla concreta fattispecie in esame. Invero, per quanto già detto sub 2, la mancata produzione in giudizio del processo verbale della Guardia di Finanza costituisce un’affermazione contrastante con quanto affermato nell’impugnata sentenza e non fornita della necessaria autosufficienza.

4. Con il settimo motivo si lamenta un’insufficiente motivazione circa un fatto controverso costituito dalla ripresa dei costi ritenuti non inerenti in quanto relativi ad una fattura emessa per operazioni giudicate inesistenti.

4.1 Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza. Deve infatti trovare applicazione il principio già affermato da questa Corte (ex plurimis Cass. n. 2090 del 2004, conf. n. 1380/06): “In tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione non possono consistere nella circostanza che la determinazione o la valutazione delle prove siano state eseguite dal giudice in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – e come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l’unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l’esito del procedimento accertativo e valutativo seguito”.

Nel caso di specie la statuizione di fatto contenuta nella sentenza non viene censurata nel rispetto del principio di autosufficienza.

La ricorrente, infatti, assume che il giudice non avrebbe vagliato le articolate difese svolte per provare l’effettività delle operazioni di cui alla fattura in esame, ma non riportando testualmente gli atti processuali nei quali le stesse sarebbero state svolte, non fornisce a questa Corte la possibilità di vagliare, in base al solo contenuto del ricorso, il vizio motivazionale dedotto.

5. Con l’ottavo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 e viene posto il seguente quesito: Dica la Corte se possa considerarsi antieconomica, e dunque non inerente il relativo costo, un’operazione posta in essere da un imprenditore la quale ha comportato una reale e consistente riduzione dei costi, giusta il disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109.

5.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. per la genericità del quesito posto, risolventesi nella mera enunciazione della norma invocata, senza alcun collegamento con la fattispecie concreta, tanto che un’eventuale risposta positiva non potrebbe avere alcuna rilevanza sulla stessa.

6. Con il nono motivo, accompagnato da idoneo quesito di diritto, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 67 e 75.

6.1 Il motivo va rigettato. Lo stesso infatti è articolato come se la sentenza avesse dato decisivo rilievo alla mancanza del registro dei beni ammortizzabili (requisito non più decisivo), ma così non è, posto che la sentenza da atto della ricostruzione del valore del patrimonio operata dalla Guardia di Finanza (che ha portato ad escludere inerenza, certezza e competenza dei costi) e tale statuizione in fatto non è censurabile in sede di legittimità se non come vizio motivazionale, vizio che non viene invece denunciato nel rispetto del principio di autosufficienza.

7. Con il decimo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e viene posto il seguente quesito: “dica la Corte se il giudice tributario debba pronunciarsi specificamente e motivatamente su tutte le eccezioni formulate dalle parti del giudizio, giusta il disposto dell’art. 112 c.p.c.”.

7.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. per la genericità del quesito posto, risolventesi nella mera enunciazione della norma invocata, senza alcun collegamento con la fattispecie concreta, tanto che un’eventuale risposta positiva non potrebbe avere alcuna rilevanza sulla stessa.

8. In virtù di tutto quanto sopra esposto il ricorso va rigettato ed i ricorrenti vanno condannati alle spese di giudizio che vengono liquidate come in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese di giudizio che liquida in Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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