Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25505 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. III, 21/09/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12212-2019 proposto da:

R.M., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO NOTO,

e con il medesimo elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA PO 16/B,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA, – pec:

studiolegalenoto.avvocatopec.com;

– ricorrente –

contro

Q.L., PARISE ENRICO, rappresentati e difesi dall’avvocato

BIANCA ZUPI, ed elettivamente domiciliati in ROMA, in VIA TARVISIO

N. 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FARSETTI, pec:

bianca.zupi.avvocaticosena.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 234/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Con ricorso depositato in data 22/9/2017 i signori P.E. e P.L., quest’ultima in proprio e in qualità di erede di C.C., adirono il Tribunale di Cosenza (sezione agraria) chiedendo la risoluzione per inadempimento di un contratto di affitto stipulato dalla loro dante causa, C.C. proprietaria dei fondi, con R.M., affittuario, e la condanna di quest’ultimo al rilascio dei terreni, il primo sito in località “(OMISSIS)”, in favore di entrambi i ricorrenti, il secondo sito in località “(OMISSIS)” in favore della sola P.;.

All’uopo premettevano di essere proprietari dei suddetti fondi, concessi in affitto in forza di contratto verbale a diario R. verso il corrispettivo di un canone annuo di Lire 1.200.000; rappresentarono che il R., successivamente agli anni 1987-1994, aveva iniziato a pagare il canone in modo saltuario e che, a fronte di contestazioni dei proprietari, aveva dapprima affermato di aver effettuato i pagamenti a mezzo vaglia postale e successivamente aveva chiesto di accertare che i fondi condotti in affitto fossero di proprietà del demanio civico comunale di (OMISSIS) e che ne fosse disposta l’affrancazione: tesi disattesa in sede giudiziale dove fu dichiarata la libera proprietà privata sui fondi. Rappresentarono altresì che, oltre all’inadempimento nel pagamento dei canoni, il R. aveva perfino impedito alla C. e all’erede P. l’accesso ad un antico casolare rurale insistente sui terreni. Il R. si costituì in giudizio resistendo al a domanda e formulando domanda riconvenzionaie per sentir dichiarare l’intervenuta usucapione degli immobili condotti in affitto.

2. Il Tribunale adito, rigettata una preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal R., per violazione della L. n. 203 del 1982, art. 5 rigettò la domanda riconvenzionale di usucapione ed accolse la domanda principale, dichiarando, con sentenza n. 2114 del 2018, la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento del R. e la condanna del medesimo al rilascio entro la fine dell’annata agraria in corso.

3. La Corte d’Appello di Catanzaro, adita dal R., con sentenza n. 234 del 12/2/2019, ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado. Per quel che è ancora qui di interesse, la Corte territoriale ha, da un lato, ritenuto soddisfatta dai ricorrenti la condizione di cui alla L. n. 203 del 1962, art. 5 e cioè la contestazione stragiudiziale dell’inadempimento, sul presupposto che, pur avendo la parte ricorrente avviato il tentativo di conciliazione dopo sette giorni dalla contestazione, vi erano elementi per ritenere che l’affittuario non avrebbe adempiuto; in secondo luogo la Corte territoriale ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente vagliato tutti gli elementi forniti dai ricorrenti in ordine alla effettiva consistenza dei terreni concessi in affitto, elementi costituiti da fotografie estratte dal web, dai vaglia postali inviati dal R. con la causale “fitto terreni”, dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, dalle dichiarazioni rese dal R. “il perito istruttore demaniale del Comune di (OMISSIS) e da un esposto querela sottoscritto dal R. con il quale si qualificava detentore del fabbricato rurale insistente su una delle particelle.

4. Avverso la sentenza, che ha altresì rigettato la domanda di accertamento dell’avvenuta usucapione dei fondi, il R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. P.E. e Q.L., quest’ultimo in qualità di erede di P.L., deceduta nelle more del giudizio, hanno resistito con controricorso. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 domanda giudiziale interposta senza la previa contestazione di inadempimento – il ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto soddisfatta la condizione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 5 nonostante i proprietari non avessero svolto, a suo dire, il preventivo tentativo di contestazione, omettendo in particolare di attendere i tre mesi per consentire la sanatoria dell’inadempimento e dunque per aver agito con una diffida per il rilascio ma non anche con una diffida ad adempiere.

1.1 Il motivo è inammissibile, in quanto omette completamente di individuare, in modo percepibile dal lettore del ricorso, la motivazione che vorrebbe sottoporre a critica.

In ogni caso, se si ricercasse tale motivazione sulla base della impropria delega che il motivo esprime, il motivo non sarebbe fondato in quanto la Corte d’Appello, sulla questione dell’essere avvenuto l’esercizio dell’azione giudiziale senza rispetto della L. n. 203 del 1982, art. 5 ha correttamente ritenuto che la diffida al rilascio dell’immobile fosse idonea a soddisfare la suddetta condizione di procedibilità, con ciò conformandosi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte. Secondo questo indirizzo giurisprudenziale la contestazione dell’inadempimento che il locatore, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 5 ha l’onere di comunicare al conduttore prima di ricorrere all’autorità giudiziaria non deve necessariamente contenere una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per sanare l’inadempimento perché la relativa facoltà deriva al conduttore direttamente dalla legge e può essere, quindi, da questo esercitata indipendentemente dall’invito del locatore (Cass., 3, n. 8378 del 13/10/1994:, Cass., 3, n. 9469 del 26/9/1997; Cass., 3, n. 25759 del 14/10/2019). Peraltro neppure si può ritenere che il procedimento amministrativo di cui si lamenta l’omissione fosse una vera condizione di procedibilità dell’azione di risoluzione del contratto in quanto, in base alla giurisprudenza di questa Corte, la previsione della L. n. 203 dal 1982, art. 5, comma 3 secondo la quale, ove il conduttore sani l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione contenente la contestazione dell’inadempimento, non si dà luogo alla risoluzione del contratto, si limita a configurare per l’affittuario inadempiente una possibile sanatoria senza elevare il decorso del termine di tre mesi a condizione di proponibilità dell’azione. Deve pertanto escludersi che la proponibilità dell’azione di risoluzione sia subordinata, oltreché alla contestazione stragiudiziale dell’addebito e al relativo tentativo di conciliazione previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 46 anche al decorso del termine di tre mesi per sanare l’inadempimento” (Cass., 3, n. 5556 del 5/6/1998).

2. Con il secondo motivo si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 11, degli artt. 115 e 116 c.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4. Riscontro dell’asserito inadempimento contrattuale suffragato da documentazione tardivamente prodotta in giudizio”. Il ricorrente contesta che la Corte territoriale abbia posto a base della propria decisione una documentazione prodotta tardivamente a corredo della memoria del 10/9/2018 con la quale gli originari ricorrenti avevano inteso contrastare la domanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione.

2.1. Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili. Innanzitutto in quanto non individua la motivazione criticanda, così non consentendo a questa Corte di poter esercitare il proprio controllo di legittimità sulla impugnata sentenza. In secondo luogo il motivo non reca un’attività assertiva percepibile della violazione delle norme indicate nella intestazione e si fonda su documenti che vengono evocati senza fornire l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Ne consegue pertanto l’inammissibilità della censura sia per difetto di specificità sia per difetto di autosufficienza. Infine risulta assolutamente privo di chiarezza nell’illustrazione il profila relativo alla assunta tardività delle produzioni.

3. Con il terzo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2729 e 2712 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed in violazione del divieto di autoformazione probatoria – il ricorrente torna a contestare che la Corte d’Appello abbia consentito agli originari ricorrenti di giovarsi di una produzione documentale proveniente da essi stessi (riproduzioni fotografiche) omettendo di verificare con rigore l’avvenuto assolvimento dell’onere della prova in ordine agli elementi costitutivi della domanda.

2. Il motivo si risolve in una sollecitazione a questa Corte a rivalutare circostanze fattuali e documentali, riguardo alle quali, peraltro, neppure ottempera all’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Nell’illustrazione vengono evocate le norme degli artt. 2712 c.c., dell’art. 115 c.p.c. (quanto alla cd. non contestazione) e dell’art. 2729 c.c., ma la loro violazione è prospettata solo come preteso risultato dell’indicata rivalutazione. Il motivo, dunque, è inammissibile, in quanto – ferma comunque l’assorbenza della violazione dell’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 – si risolve in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti al di là dei limiti consentiti dall’attuale art. 360 c.p.c., n. 5 siccome precisati dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Accertamento dell’esatto contenuto del contratto operato in secondo grado alla stregua di un rilevo ufficioso di congruità del canone, precluso al giudice e riportato in sentenza senza il previo contraddittorio con le parti – il ricorrente si duole che la impugnata sentenza abbia ritenuto d’ufficio la congruità del canone richiesto al R. quale riferito all’intera estensione dei terreni senza articolare sul punto il contraddittorio.

4.1 Il motivo non individua la motivazione che vorrebbe criticare: quanto si legge nella pag. 16 risulta assolutamente oscuro e di conseguenza risulta oscuro tutto il motivo là dove ragiona di una violazione dell’art. 101 c.p.c. Donde la sua inammissibilità. Rafforzata, peraltro, dalla carenza anche qui di osservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

5. Con il quinto motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; Inammissibilità degli elementi tardivamente prodotti e inidonei ad assurgere a prova o elemento di prova inficiante il vaglio di precisione e concordanza intravisto dal giudice del merito – il ricorrente lamenta in modo del tutto generico che la Corte d’Appello abbia ritenuto provata l’esistenza del contratto di affitto su entrambi i fondi.

5.1 La censura è apodittica e priva di alcuna specificità (Cass. n. 4741 del 2005, il cui consolidato principio risulta ribadito, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017). Da qui l’inammissibilità del motivo.

6. Con il sesto motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame di un fatto decisivo della controversia per mancata ammissione della prova testimoniale capitolata dall’originario convenuto a confutazione dell’acquisto a titolo originario – il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia condiviso la valutazione fatta dal primo giudice di irrilevanza delle prove testimoniali da lui dedotte per consentirgli di dimostrare l’avvenuto acquisito della proprietà dei fondi per usucapione.

6.1 Il motivo è inammissibile perché deduce erroneamente quale n. 5 la mancata ammissione di mezzi istruttori, là dove avrebbe dovuto argomentare l’erroneità della valutazione di irrilevanza ed avrebbe dovuto farlo facendosi carico della motivazione della corte territoriale, che anche qui non viene individuata, così more solito demandandone la ricerca a questa Corte e ciò al di là del fatto che nell’illustrazione nemmeno si coglie un argomentare idoneo a dimostrare la detta rilevanza.

7. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5000 (oltre Euro 200 per esborsi), con distrazione in favore dell’avvocato Bianca Zupi. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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