Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25505 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, (ud. 27/10/2016, dep.13/12/2016),  n. 25505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4046-2014 proposto da:

M.N., C.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BUCCARI 3, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA ACONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati MODESTINO ACONE, PASQUALE

ACONE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

DEA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 21/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Napoli, con due distinte decisioni (non definitiva e definitiva), dichiarata la nullità della sentenza di primo grado, ha pronunciato la risoluzione, per inadempimento dei locatori, del contratto di locazione a uso diverso da abitazione intercorso tra M.N., in qualità di rappresentante della Eredi M.C. s.d.f., e di C.I. (in qualità di locatori) e la DEA s.r.l. (in qualità di conduttrice), con la condanna di quest’ultima al pagamento dei residui importi non corrisposti a titolo di canoni insoluti, oltre all’integrale compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio in ragione della reciproca soccombenza.

2. Avverso le due sentenze della corte d’appello napoletana, hanno proposto ricorso per cassazione M.N., in qualità di rappresentante della Eredi M.C. s.d.f., e C.I., sulla base di quattro motivi d’impugnazione.

3. La DEA s.r.l. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1575 c.c., in combinato disposto con l’art. 146o c.c., nonchè degli artt. 1571, 1578, 1580, 1581, 1584 e 1587 c.c. e art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), avendo la corte territoriale erroneamente proceduto alla valutazione comparativa degli inadempimenti delle parti, nonostante detta valutazione debba ritenersi preclusa nel caso in cui il conduttore, continuando nel godimento del bene locato, ometta integralmente il pagamento del canone, giungendo alla risoluzione del contratto per inadempimento dei locatori, là dove avrebbe dovuto necessariamente addebitare detta risoluzione al fatto della società conduttrice.

4.1. Il motivo è infondato.

Osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente sottolineato la gravità dell’inadempimento in cui è incorsa la società conduttrice nell’omettere l’integrale pagamento dei canoni di locazione dovuti, nonostante il persistente godimento dell’immobile locato.

Peraltro, in modo parimenti legittimo il giudice d’appello ha proceduto all’esame comparativo di detto inadempimento della società conduttrice rispetto a quello contestualmente ascritto ai locatori.

Al riguardo, dev’essere ribadito in questa sede, anche in relazione al contratto di locazione – senza alcuna ingiustificata esclusione pregiudiziale dettata dalla natura degli inadempimenti contestati – il principio ai sensi del quale, in caso di reciproco inadempimento delle parti, il giudice deve procedere, ai fini della decisione sulle contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, alla valutazione comparativa degli stessi, evidenziando quello che, sulla base dell’equilibrio connesso alla funzione economico – sociale del rapporto, debba ritenersi di prevalente gravità, sì da giustificare la pronuncia della risoluzione del contratto per inadempimento del relativo responsabile (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 18320 del 18/09/2015, Rv. 637458; Sez. 3, Sentenza n. 13840 del 09/06/2010, Rv. 613278).

Ciò posto, avendo la corte territoriale proceduto a detta comparazione, individuando nell’inadempimento dei locatori il fatto dotato di più rilevante significato ai fini dello sconvolgimento dell’equilibrio economico – sociale del rapporto, la stessa si è correttamente attenuta al principio sopra indicato, a nulla valendo le restanti censure dei ricorrenti legate alla correttezza nel merito di detta valutazione, come tale non censurabile in questa sede di legittimità, se non nei ristretti limiti consentiti sul piano del controllo della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso di esaminare la reale portata giuridica del fatto costituito dalla mancata prestazione del corrispettivo dovuto dalla società conduttrice nonostante il persistente godimento dell’immobile locato.

5.1. Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con la L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza dei ricorrenti deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico – giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

6. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1571, 1575, 1578, 1580, 1581, 1584, 1587 e 1591 c.c. e art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di condannare la società conduttrice al risarcimento dei danni ex art. 1591 c.c., in relazione al periodo successivo all’1/8/2003, epoca della cessazione della riduzione del canone consensualmente convenuta tra le parti, sino all’effettivo rilascio dell’immobile.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Con il motivo in esame, i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – allegano un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, rubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi in una sollecitata rivalutazione nel merito del contenuto dei rapporti intercorsi tra le parti in ordine alle modalità e ai tempi di efficacia della riduzione del canone convenzionalmente disposta.

Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

7. Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e ss. c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale disposto l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio, sulla base di una motivazione priva di fondamento.

7.1. Il motivo è inammissibile.

Con la doglianza in esame, i ricorrenti allegano un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, infatti, l’ubi consistam della censura sollevata dalle ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità della valutazione dei fatti di causa compiuta dalla corte territoriale in relazione alla regolazione delle spese di lite, sulla base di un’argomentazione critica con evidenza diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

8. Le argomentazioni che precedono impongono la pronuncia del rigetto del ricorso.

Non vi è luogo all’adozione di alcun provvedimento in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo la DEA s.r.l. svolto difese in questa sede.

PQM

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 -bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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