Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25504 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 30/11/2011), n.25504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10622-2009 proposto da:

IMMOBILIARE PORTA CATENA SRL, già OFFICINE SPETTOLI srl in persona

del legale rappresentante pro tempore, S.M.G.,

G.V., elettivamente domiciliati in ROMA VIA COLA DI

RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI PAOLO,

rappresentati e difesi dagli avvocati PISTOLESI FRANCESCO, MICCINESI

MARCO, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 88/2007 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 11/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GOLINO, delega Avvocato PISTOLESI,

che si riporta;

udito per il resistente l’Avvocato GUIDA, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Immobiliare Porta Catena s.r.l., già Officine Spettali s.r.l., S.M.G. e G.V. ricorrono per cassazione avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente che, riuniti i tre procedimento di appello, ha parzialmente riformato le tre sentenze di accoglimento rese dalla Commissione Tributaria Provinciale sui tre distinti ricorsi, proposti da ciascuno dei contribuenti rispettivamente avverso l’avviso di accertamento Ilor ed avverso i conseguenti avvisi di accertamento Irpef, tutti relativi all’anno 1996 e conseguenti ad un verbale di accertamento della Guardia di Finanza di Ferrara.

Il ricorso fonda su undici motivi; l’agenzia controdeduce.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con i primi quattro motivi, accompagnati da idonei quesiti di diritto i ricorrenti lamentano che il giudice dell’appello abbia ritenuto ammissibile l’appello nonostante avesse accertato che l’atto di appello notificato ai contribuenti mancasse di n. tre pagine e non fosse pertanto conforme a quello depositato nella segreteria della Commissione. Più specificamente lamentano con il primo, il secondo ed il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza rispettivamente per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3 e art. 53, comma 2; per violazione dell’art. 184 bis c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 60 e con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la contraddittorietà della motivazione dell’impugnata sentenza per aver ritenuto decisiva la presenza della dichiarazione di conformità apposta sull’atto depositato pur avendo accertato la non veridicità della stessa tanto da ordinare la rinnovazione della notifica a carico della parte appellante.

1.1 Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente trattando aspetti diversi della medesima tematica, sono infondate in applicazione del principio già affermato da questa Corte (Cass n. 8138 del 2011) al quale il Collegio intende dare continuità, secondo il quale: ” In tema di contenzioso tributario, qualora l’atto di appello sia stato notificato in una copia mancante di una o più pagine, non va dichiarata automaticamente l’inammissibilità dell’impugnazione, in virtù della disposizione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 3, (esplicitamente richiamata, quanto all’appello, dall’art. 53, comma 2 del medesimo D.Lgs.), in quanto tale ipotesi integra una mera incompletezza materiale e non quella sostanziale difformità di contenuto sanzionata con rinammissibilità, pur dovendo il giudice accertare, in concreto, se la suddetta mancanza abbia effettivamente impedito al destinatario della notifica la completa comprensione dell’atto e, quindi, leso il suo diritto di difesa, con la conseguenza che non può dichiararsi inammissibilità se le pagine omesse risultino irrilevanti al fine di comprendere il tenore dell’impugnazione, ovvero quando l’atto di costituzione dell’appellato contenga, comunque, una puntuale replica ai motivi di gravame contenuti nell’atto notificato”.

Invero l’esatta portata precettiva della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, commi 2 e 3, va ricercata alla stregua del costante insegnamento di questa Corte (Cass. n. 6391 del 2006; n. 18088 del 2004), secondo cui le norme processuali volte ad impedire – con le sanzioni della inammissibilità o della improcedibilità – che il processo volga al suo naturale esito e cioè pervenga alla decisione sul merito “… proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo,… riservando loro un limitato campo di operatività, comprensivo cioè di quei soli casi nei quali il rigore estremo dell’inammissibilità (vera e propria extrema ratio) è davvero giustificato, in tal modo tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze Corte cosi nn. 189 del 2000 e 520 del 2002).

1.2 Nel caso di specie l’impugnata sentenza da atto della mancanza in ciascuno degli appelli notificati di n. tre pagine rispetto alle copie depositate nella segreteria della Commissione Tributaria, , ma specifica che nelle stesse “non erario svolti motivi di appello nuovi e diversi rispetto a quelli introdotti con l’atto di appello, bensì mancavano unicamente alcune ulteriori argomentazioni svolte a sostegno dei motivi d’appello”; e sottolinea la mancata proposizione di qualunque replica nel merito da parte degli appellati anche dopo la notifica delle pagine mancanti.

In virtù del principio sopra affermato deve quindi ritenersi del tutto corretta e logicamente motivata la decisione del giudice dell’appello che ha escluso che nella previsione normativa di “difformità” insanabile di cui al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 rientrasse l’ipotesi in esame: quest’ultima infatti costituisce solo una mera incompletezza materiale, ininfluente sotto il profilo della comprensione dell’atto e quindi della possibilità di spiegare ogni legittima difesa contro lo stesso.

1.3 Va peraltro rilevato che non inficia la logicità della motivazione della sentenza di secondo grado il fatto che i giudici abbiano ordinato la notifica delle pagine mancanti: tale provvedimento, peraltro non previsto dal rito, è un “plus” che non dimostra nè può dimostrare, in presenza di una congrua motivazione in senso contrario, la rilevanza delle pagine mancanti ai fini della comprensione dell’atto di appello.

1.4 I motivi in esame vanno pertanto rigettati.

2. Con il quinto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 e viene posto il seguente quesito:

dica la Suprema Corte se, alla luce dell’omessa allegazione all’avviso di accertamento del presupposto verbale della Guardia di Finanza e comunque della mancata riproduzione del contenuto di detto verbale nel corpo dell’atto impositivo, quest’ultimo debba essere annullato, giusta il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7.” 2.1 il motivo è inammissibile secondo il principio già enucleato da questa Corte che ha affermato (Cass. n. 10330 del 2003; conf. Cass. n. 12577 del 2004; n. 16459 del 2004): “In base al principio di autosufficienza, è inammissibile il ricorso per cassazione che non consenta l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione della sentenza di merito, nè permetta la valutazione della fondatezza di tali ragioni “ex actis”, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito”.

2.2 Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha ritenuto la relativa eccezione infondata “posto che il verbale della Guardia di Finanza del 31.10.2000 è stato legittimamente portato a conoscenza della parte appellata ed è stato depositato per estratto …” Tale affermazione della sentenza non è stata contestata con autosufficienza non avendo i ricorrenti riportato testualmente l’avviso di accertamento dal quale deve risultare la presenza o l’assenza del verbale della Guardia di Finanza come allegato o come estratto. La Corte non è stata pertanto messa in grado di svolgere la sua funzione di controllo di legalità.

3. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e si pone il seguente quesito:

“dica la Corte se alla luce della mancata produzione in giudizio da parte dell’Ufficio del processo verbale di constatazione della G.d.F., costituente il presupposto degli atti impositivi emessi, debba essere rigettata la domanda di parte avversa per mancato assolvimento dell’onere della prova, giusta il disposto dell’art. 2697 c.c.”.

3.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. stante l’estrema genericità del quesito posto, mancante di riferimento alla concreta fattispecie in esame. Invero, per quanto già detto sub 2, la mancata produzione in giudizio del processo verbale della Guardia di Finanza costituisce un’affermazione contrastante con quanto affermato nell’impugnata sentenza e non fornita della necessaria autosufficienza.

4. Con il settimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone il seguente quesito: “dica la Corte se il giudice tributario debba pronunciarsi specificamente e motivatamente su tutte le eccezioni formulate dalle parti del giudizio, giusta il disposto dell’art. 112 c.p.c.”.

4.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. per la genericità del quesito posto, risolventesi nella mera enunciazione della norma invocata, senza alcun collegamento con la fattispecie concreta, tanto che un’eventuale risposta positiva non potrebbe avere alcuna rilevanza sulla stessa.

5. Con l’ottavo motivo si lamenta un’insufficiente motivazione circa un fatto controverso costituito dalla ripresa dei costi.

5.1 Il motivo è inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. come interpretato da questa Corte: manca, infatti, l’illustrazione richiesta dalla seconda parte di tale norma che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. E’ da evidenziarsi, peraltro, che secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo stesso, così da consentire al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v.

Cass. n. 8897 del 20081.

6. Con il nono motivo, accompagnato da idoneo quesito di diritto, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 102 e 109.

6.1 Il motivo va rigettato. Lo stesso infatti è articolato come se la sentenza avesse dato decisivo rilievo alla mancanza del registro dei beni ammortizzabili (requisito non più decisivo), ma così non è, posto che la sentenza da atto della ricostruzione del valore del patrimonio operata dalla Guardia di Finanza (che ha portato ad escludere inerenza, certezza e competenza dei costi) e tale statuizione in fatto non è censurabile in sede di legittimità se non come vizio motivazionale, vizio che non viene invece denunciato nel rispetto del principio di autosufficienza.

7. Con il decimo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 61 e 109 per non avere il giudice dell’appello ritenuto la deducibilità degli interessi passivi corrisposti su di un finanziamento.

7.1 Il motivo è infondato. Lo stesso è articolato come se la C.T.R. avesse affermato la non deducibilità per mancanza di inerenza ; non tiene dunque conto dell’accertamento in fatto contenuto nella sentenza stessa secondo il quale in effetti si era verificato il “trasferimento di una quota parte di un complessivo finanziamento” da una società (la ricorrente) ad un’altra, così che la società trasferente non poteva più dedurre gli interessi passivi relativi a tutto il finanziamento. Peraltro anche per tale motivo la statuizione di fatto contenuta nella sentenza non è censurata come vizio motivazionale nel rispetto del principio di autosufficienza.

8. Con l’undicesimo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. per aver ritenuto onere della società ricorrente dedurre elementi di prevalenza circa la deduzione ai fini Ilor per l’apporto lavorativo di un proprio socio.

8.1 Il motivo è infondato in quanto, vertendosi in materia di “deduzioni”, è onere del contribuente fornire la prova dell’esistenza dei presupposti che possano legittimare la deduzione stessa.

9. In virtù di tutto quanto sopra esposto il ricorso va rigettato ed i ricorrenti vanno condannati alle spese di giudizio che vengono liquidate come in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

per tale motivo

di fatto contenuta nella sentenza non è censurata come vizio motivazionale nel rispetto del principio di autosufficienza.

8. Con l’undicesimo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. per aver ritenuto onere della società ricorrente dedurre elementi di prevalenza circa la deduzione ai fini Ilor per l’apporto lavorativo di un proprio socio.

8.1 Il motivo è infondato in quanto, vertendosi in materia di “deduzioni”, è onere del contribuente fornire la prova dell’esistenza dei presupposti che possano legittimare la deduzione stessa.

9. In virtù di tutto quanto sopra esposto il ricorso va rigettato ed i ricorrenti vanno condannati alle spese di giudizio che vengono liquidate come in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese di giudizio che liquida in Euro 7.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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