Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25504 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep.13/12/2016),  n. 25504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 5607 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

– L.P. (C.F.: (OMISSIS));

– L.F. (C.F.: (OMISSIS));

– G.L. (C.F.: (OMISSIS));

– ASSOCIAZIONE SPORTIVA A.S. F3 (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Presidente, legale rappresentante pro tempore, G.L.

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso,

dall’avvocato Fernando Moneta Mantuano (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

ATAC S.p.A. – Azienda per la Mobilità del Comune di Roma (già

MET.RO. S.p.A.) (C.F.: (OMISSIS)), in persona dell’amministratore

delegato, legale rappresentante pro tempore, B.D.O.

rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso,

dall’avvocato Marina Di Luccio (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

nonchè

C.T.L. – Consorzio Pubblici Servizi di Trasporto del Lazio (C.F.: non

dichiarato), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

46/2013, depositata in data 8 gennaio 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

19 ottobre 2016 dal Consigliere Tatangelo Augusto;

uditi:

l’avvocato Marina Di Luccio, per la società controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

quarto motivo del ricorso e il rigetto degli altri.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con due distinti atti di citazione, dapprima il CTL (Consorzio Pubblici Servizi di Trasporto del Lazio) e poi il COTRAL (Consorzio Trasporti Pubblici del Lazio, subentrato al primo nella gestione della ferrovia (OMISSIS)), agirono in giudizio nei confronti di L.F. per ottenere il rilascio di un’area di terreno da questi occupata all’interno della Stazione Ferroviaria di (OMISSIS) (in parte in base ad un contratto di locazione, di cui si chiedeva la risoluzione per morosità, ed in parte senza titolo) ed il risarcimento dei conseguenti danni.

Il L., nel contestare che gli enti attori fossero proprietari dell’area, propose domanda riconvenzionale per la restituzione di tutti i canoni pagati per la locazione.

I giudizi furono riuniti e, dopo il decesso del convenuto, proseguiti dai suoi eredi L.F., L.P. e G.L., la quale intervenne nel giudizio anche quale legale rappresentante dell’Associazione Sportiva Circolo Tennis A.S. F3.

Il Tribunale di Roma, in accoglimento delle domande di parte attrice, condannò i convenuti al rilascio dell’area di terreno occupata in favore del COTRAL e a pagare l’importo di Lire 54.900.000 a titolo risarcitorio e quello di Lire 43.343.893 a titolo di canoni di locazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda di rilascio in relazione alla parte dell’area (di circa mq 2.000) oggetto di rivendica, accogliendola solo per la restante area (di circa mq 3.500), oggetto dei contratti di locazione stipulati dal L., e limitò quindi l’importo dovuto dai convenuti a Euro 22.900,00.

Tale ultima pronunzia venne però cassata con sentenza n. 5542 del 26 febbraio 2008 di questa Corte, per la nullità della notifica dell’atto introduttivo del gravame alle parti appellate CTL e COTRAL, su ricorso della loro avente causa MET.RO. S.p.A. (oggi ATAC S.p.A.).

All’esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Roma ha integralmente rigettato l’appello dei convenuti.

Ricorrono L.F., L.P. e G.L., quest’ultima anche quale legale rappresentante dell’Associazione Sportiva Circolo Tennis A.S. F3, sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso ATAC S.p.A..

Il ricorso risulta notificato anche al difensore costituito in primo grado per il CTL, che non ha svolto alcuna attività difensiva.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 101 c.p.c., comma 1, ed art. 384 c.p.c., comma 2; conseguente nullità del procedimento di rinvio e della relativa sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

I ricorrenti sostengono che il giudizio di rinvio sarebbe nullo per non essersi svolto in contraddittorio (anche) con il CTL, che era stato parte del processo di merito e di cassazione, e che a loro dire sarebbe soggetto distinto dal COTRAL, cui dapprima MET.RO. S.p.A. e oggi ATAC S.p.A. (la quale ha provveduto alla riassunzione in sede di rinvio) sono succeduti.

Il motivo è infondato.

Emerge infatti dagli atti – cui la Corte ha diretto accesso trattandosi di denunzia di error in procedendo – e segnatamente dalla delibera consorziale del COTRAL n. 1 del 24 febbraio 1993 (documento n. 3 del fascicolo di primo grado del COTRAL, specificamente richiamato dall’ATAC S.p.A. nel suo controricorso) che sin dal 1993 il CTL (Consorzio Pubblici Servizi di Trasporto del Lazio), unitamente alla dipendente Azienda Consorziale ACOTRAL, era stato trasformato in COTRAL (Consorzio Trasporti Pubblici Lazio), il quale era subentrato in tutti i rapporti giuridici in essere aventi come referenti gli enti assorbiti.

Sin da tale data, dunque, non esiste più come autonomo soggetto giuridico il CTL, ed il suo successore è proprio il COTRAL, cui pacificamente sono a loro volta succedute, per la gestione delle linee ferroviarie (attraverso ulteriori passaggi societari), dapprima Metrofer-ro S.p.A., poi MET.RO. S.p.A. ed infine ATAC S.p.A..

Di conseguenza, il contraddittorio nel giudizio di rinvio è da ritenersi correttamente instaurato.

E’ appena il caso di osservare che sul punto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non può ritenersi formato alcun giudicato interno a seguito della cassazione con rinvio della prima pronunzia della Corte di Appello di Roma.

Con la sentenza n. 5542 del 26 febbraio 2008, questa Corte infatti si limitò a rilevare la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, senza entrare nel merito della questione dei soggetti effettivamente legittimati a parteciparvi, e anzi addirittura precisando, nel descrivere le vicende processuali, che la sentenza di primo grado risultava già emessa “in favore del Cotral (succeduta all’Acotral, a sua volta succeduta al Ctl)”.

Nè può avere rilievo il fatto che il CTL risulti – erroneamente, per quanto appena esposto – evocato nell’originario giudizio di secondo grado e nel precedente giudizio di legittimità: si tratta di un errore del tutto irrilevante, in quanto a tali fasi processuali risulta comunque avere sempre partecipato l’unico effettivo soggetto legittimato, quale successore dello stesso CTL (vale a dire, rispettivamente, il COTRAL e MET.RO. S.p.A., cui oggi è succeduta ATAC S.p.A.).

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1”.

Il motivo è infondato.

Non sussiste affatto la dedotta violazione di legge.

La corte di appello, nel ritenere che l’ente attore fosse titolare dell’area illegittimamente occupata dai convenuti, ha giudicato sulla base delle prove documentali legittimamente acquisite agli atti.

In realtà i ricorrenti contestano la valutazione che la corte ha fatto dei documenti prodotti.

Dunque – benchè proposta come violazione di legge – la censura riguarda in realtà il giudizio di fatto operato in sede di merito. Con essa si chiede una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, il che non è consentito in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 2699, 2700, 2716 e 2719 c.c. ed agli artt. 115 e 130 c.p.c.”. Anche questo motivo è infondato.

E’ da escludersi la violazione, da parte della corte di appello, delle norme di legge invocate dai ricorrenti. La controversia è stata decisa sulla base della valutazione dei documenti legittimamente acquisiti agli atti di causa e posti a disposizione del collegio giudicante. Tra questi certamente (come è pacifico) non vi erano le ricevute di pagamento dei canoni di locazione che risultavano esibite dai convenuti in primo grado, all’udienza del 5 febbraio 1986, in quanto non prodotte (neanche in copia) in sede di ricostruzione del fascicolo di primo grado, sia di ufficio che della parte convenuta, andati entrambi smarriti.

E’ appena il caso di osservare che il regolare pagamento dei canoni di certo non avrebbe potuto considerarsi un fatto non contestato, costituendo la morosità del conduttore addirittura il fondamento della domanda proposta da parte attrice.

Il principio di non contestazione viene in realtà erroneamente invocato dai ricorrenti, con riguardo ai documenti prodotti: ma la relativa regola processuale riguarda esclusivamente i fatti allegati dalle parti, non i documenti, i quali vanno sempre valutati dal giudice, laddove i fatti che con essi si intenderebbero dimostrare risultino (come nella specie) contestati.

E’ quindi certamente inesatto che il regolare pagamento dei canoni da parte del conduttore fosse da ritenersi provato: l’esame delle ricevute era necessario per giudicare in proposito, e la corte di merito non ha potuto procedervi.

In quest’ottica è poi del tutto priva di rilievo la questione (esclusivamente terminologica) relativa alla “produzione” o alla mera “esibizione” delle ricevute in questione nel corso dell’udienza: ciò che conta è infatti che esse avrebbero in ogni caso dovuto entrare a far parte del fascicolo di parte convenuta, andato smarrito, e la cui ricostruzione avrebbe comportato la necessità di produrne almeno la copia. In mancanza, i giudici del merito non avrebbero in nessun caso potuto giudicare dando per scontati l’esistenza, il contenuto e l’efficacia probatoria di documenti che non potevano esaminare.

4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., nn. 4 e 5; vizio di omessa motivazione su autonomi motivi di appello”.

Il motivo è parzialmente fondato.

I ricorrenti lamentano omessa pronunzia su due motivi del gravame da essi proposto: quello relativo alla errata applicazione della tariffa forense nella liquidazione delle spese processuali, e quello relativo al riconoscimento della rivalutazione monetaria sui canoni di locazione insoluti.

Per il primo profilo, la censura non ha fondamento, in quanto il motivo di appello non preso in esame era inammissibile per difetto di specificità (inammissibilità certamente rilevabile anche nella presente sede, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3), non essendo in alcun modo richiamate le voci della tariffa temporalmente vigente che si pretenderebbero erroneamente applicate dal tribunale.

Con riguardo al secondo profilo, la censura è invece fondata.

In effetti, il motivo di gravame relativo al riconoscimento della rivalutazione sul credito per canoni insoluti era stato già accolto nella prima pronunzia della corte di appello, successivamente cassata per vizio nell’instaurazione del contraddittorio. La corte aveva esattamente rilevato in proposito che il contratto di locazione era stato implicitamente dichiarato risolto dal Tribunale, il quale aveva quindi condannato i convenuti al pagamento dei canoni, erroneamente riconoscendo però in via automatica la rivalutazione monetaria sul relativo credito, che è di valuta e non di valore (onde la rivalutazione è dovuta solo per la parte eccedente il danno da ritardo coperto dagli interessi, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte: cfr., ex multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19222 del 29/09/2015, Rv. 636885; Sez. 3, Sentenza n. 1239 del 02/02/1995, Rv. 490221; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 23157 del 31/10/2014, Rv. 633326).

In sede di rinvio, la corte di appello non ha preso nuovamente in esame – come avrebbe dovuto – il suddetto motivo di gravame.

La sentenza impugnata va quindi cassata per omissione di pronunzia.

Sul punto è peraltro possibile la decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Sulla base della corretta qualificazione del credito per canoni di locazione come obbligazione di valuta, per quanto sopra esposto, e riconosciuta la fondatezza del relativo motivo di appello dei convenuti, va esclusa la rivalutazione monetaria sulla somma da essi dovuta all’ente attore a titolo di canoni di locazione, che va limitata al capitale, gravato di interessi con la medesima decorrenza già indicata dal giudice di primo grado.

5. E’ accolto, nei limiti appena indicati, il quarto motivo del ricorso, che per il resto è rigettato.

La sentenza impugnata è cassata in relazione, e la causa è decisa nel merito, sul punto, con la parziale riforma della sentenza di primo grado (sentenza n. 39276/2000 del Tribunale di Roma), nella sola parte in cui essa prevede che l’importo di Lire 44.343.893 riconosciuto dovuto dai convenuti a titolo di canoni di locazione, debba essere rivalutato, ferme tutte le ulteriori statuizioni.

La parziale riforma della pronunzia di primo grado impone di riconsiderare altresì il carico delle spese processuali dell’intera fase di merito. Poichè peraltro l’esito complessivo della lite non muta, restando sostanzialmente vittoriosa la parte attrice, si reputa equo confermare la condanna dei convenuti alle spese del doppio grado di merito (nonchè del precedente giudizio di cassazione), nella medesima misura già oggetto delle liquidazioni effettuate dal tribunale e dalla corte di appello.

Le spese del giudizio di legittimità possono invece essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, anche in virtù del solo parziale accoglimento del ricorso stesso.

PQM

La Corte:

– accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il quarto motivo del ricorso, che rigetta per il resto, e cassa in relazione;

– decidendo nel merito, in parziale riforma della sentenza n. 39276/2000 del Tribunale di Roma, esclude la rivalutazione monetaria sull’importo di Euro 44.343.893 riconosciuto in favore della parte attrice a titolo di canoni di locazione, ferme le altre statuizioni della sentenza impugnata;

– condanna i convenuti al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio di merito (e del precedente giudizio di legittimità), nella medesima misura già liquidata nello stesso giudizio di merito;

– dichiara integralmente compensate le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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