Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25502 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 20/09/2011, dep. 30/11/2011), n.25502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1491/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

PYRAMID SRL SOCIETA’;

– intimato –

Nonchè da:

PYRAMID SRL SOCIETA’, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43 presso lo

studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 158/2008 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 21/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO ALESSANDRO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione (successivamente depositando memoria illustrativa) nei confronti della Pyramid s.r.l.

(che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale, successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi per Iva, Irpeg e Irap relativi agli anni di imposta 1997/1999, la C.T.R. Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto i ricorsi riuniti della contribuente. In particolare, i giudici d’appello affermavano che la società, sulla base di copiosa documentazione, aveva provato l’illegittimità del ricorso all’accertamento presuntivo, in particolare evidenziando che nella specie non erano risultate “irregolarità nella tenuta della contabilità in base a presunzioni gravi, precise e concordanti”. I suddetti giudici aggiungevano inoltre che la suddetta società, attraverso la puntuale indicazione dei beneficiari nonchè attraverso la produzione di fatture, assegni e bonifici sulla quale l’Ufficio non aveva mosso alcuna contestazione, aveva giustificato le movimentazioni bancarie, il cui mancato riscontro derivava dal fatto che in alcuni casi la medesima società saldava allo stesso fornitore le fatture di tutte le conduzioni alberghiere che ad essa facevano capo.

2. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e art. 132 c.p.c., la ricorrente Agenzia, rileva che, salvo che per un paragrafo, la sentenza è la pedissequa ripetizione di quella di primo grado ed è perciò priva di una reale motivazione in quanto non tiene conto delle deduzioni delle specifiche deduzioni dell’Ufficio in appello.

La censura è infondata.

. La nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, (e, nel giudizio tributario, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36) si verifica esclusivamente nelle ipotesi di radicale mancanza della motivazione, che può essere formale (nel caso in cui la motivazione manca anche dal punto di vista materiale) e sostanziale – altrimenti detta motivazione apparente – (nel caso in cui non manca materialmente un testo della motivazione, ma tale testo non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione). Nella specie una motivazione esiste ed indica in maniera chiara, ancorchè stringata, le ragioni della decisione sia con riguardo all’eccezione preliminare sia con riguardo al merito, a nulla rilevando l’eventuale illogicità, insufficienza o addirittura omissione di tale motivazione rispetto ad uno o più fatti controversi e decisivi, l’eventuale non correttezza giuridica di essa o l’eventuale omessa pronuncia, da parte dei giudici d’appello, su uno o più motivi di impugnazione, ovvero su una o più eccezioni di parte, circostanze, queste, tutte deducibili con la denuncia di vizi diversi da quello prospettato nel motivo in esame, ovvero del medesimo vizio ma sotto diverso profilo.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la ricorrente sostiene che i giudici d’appello avrebbero confuso i presupposti che legittimano il ricorso all’accertamento analitico – induttivo con i metodi per determinare il quantum della ripresa a tassazione. La ricorrente afferma altresì che la G.d.F. aveva accertato documentalmente le irregolarità della contabilità (mancanza di libro giornale, mancata annotazione nel registro dei corrispettivi degli incassi annotati nella c.d. lista check out, predisposizione di alcune fatture in misura inferiore a quanto incassato) e le stesse non erano state contestate onde la G.d.F. in un secondo p.v.c. aveva provveduto a ricostruire l’ammontare delle imposte evase sulla base delle movimentazioni bancarie quindi senza necessità di ricorrere a presunzioni gravi, precise e concordanti.

Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano affermato la mancanza di addebiti di responsabilità contabile benchè dal p.v.c. in atti (testualmente riportato in ricorso nella parte che qui interessa) emerga invece la mancata tenuta del libro giornale per metà del 1998, nonchè la mancata corrispondenza tra i documenti esaminati dalla G.d.F. in sede di verifica, (lista check out), i documenti bancari e la contabilità ufficiale, e, soprattutto si duole del fatto che i suddetti giudici non abbiano in alcun modo indicato da quali elementi (e, in particolare, in forza di quali documenti prodotti dalla contribuente) essi abbiano tratto tale convinzione.

Le censure esposte nei due motivi che precedono, da esaminare congiuntamente perchè connesse, sono fondate, nei termini di cui in prosieguo.

Le irregolarità contabili che legittimano l’accertamento induttivo devono risultare ex actis e non possono essere presunte, erra pertanto la C.T.R. quando afferma che non sono state riscontrate nella specie “irregolarità nella tenuta della contabilità in base a presunzioni gravi precise e concordanti”, in teli termini evidenziando una possibile confusione tra i presupposti che legittimano il ricorso all’accertamento analitico-induttivo ed i metodi per determinare il quantum della ripresa a tassazione.

I giudici d’appello inoltre, affermando che con la produzione di copiosa documentazione la società avrebbe dimostrato che “non sono state riscontrate irregolarità contabili in base a presunzioni gravi, precise e concordanti e che, pertanto, non sussistono addebiti di responsabilità contabili”, non risulta avere in alcun modo considerato ì rilievi in ordine alla tenuta della contabilità contenuti nel p.v.c. della G.d.F. in atti, riportato nei suoi passi essenziali dall’Agenzia ricorrente nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 6333 del 1972, art. 51, la ricorrente sostiene che i giudici d’appello avrebbero omesso di considerare che le norme in epigrafe citate prevedono una presunzione legale in ordine agli elementi emergenti dai conti correnti bancari, rendendo così legittimo l’uso dei dati bancari al fine di determinare maggiori imponibili e il volume d’affari e che la relativa prova liberatoria deve essere specifica in relazione ad ogni singola operazione, non meramente generica e consistente esclusivamente nel riferimento alle caratteristiche del tipo di attività esercitata o alle abitudini contabili del contribuente.

Le censure sopra riportate, nei termini esposti e nei limiti di cui in prosieguo, risultano ammissibili e fondate.

In proposito, occorre evidenziare che, secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (v. tra le altre Cass. n. 18081 del 2010 e n. 4589 del 2009).

I giudici della C.T.R. hanno pertanto errato nell’affermare che “la determinazione del reddito da parte dell’Ufficio non è avvenuta in base agli effettivi costi e ricavi, ma è derivata da un non corretto uso dei dati bancari acquisiti presso la Banca” posto che l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo quanto sopra esposto, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari, senza bisogno di ulteriore “documentazione probante”.

Inoltre, limitandosi genericamente ad affermare che “il mancato riscontro nella movimentazione bancaria è derivato dal fatto che in alcuni casi il soggetto economico saldava allo stesso fornitore le fatture di tutte le conduzioni a lui facenti capo”, i giudici d’appello hanno omesso di verificare in maniera precisa ed analitica la prova contraria offerta dal contribuente.

Occorre precisare che questo collegio non condivide il precedente di questo giudice di legittimità (Cass. n. 25365 del 2007) secondo il quale alla presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, “va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice”, sia perchè la prova per presunzioni è ad ogni effetto una prova, sia perchè, salvo espresse previsioni legislative in contrario, vige nel nostro ordinamento il principio di libertà dei mezzi di prova, sia infine perchè non risulta ricavabile dal sistema un principio in base al quale la prova contraria ad una presunzione legale non possa essere fornita per presunzioni. La presunzione legale costituisce una (rilevante) eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova, non è pertanto ipotizzabile che, in mancanza di una espressa previsione del legislatore e per via interpretativa, si apporti un ulteriore vulnus ai principi che regolano la prova nell’ordinamento (e segnatamente al principio di libertà delle prove) ritenendo che la prova contraria ad una presunzione legale non possa essere costituita da una presunzione semplice.

Peraltro, è appena il caso di rilevare che, in tema di presunzione (ex art. 1147 c.c.) di buona fede nel possesso da parte dell’acquirente “a non domino” di bene mobile, la giurisprudenza di legittimità ha affermato ripetutamente che colui che rivendica il bene, al fine di escludere in favore del possessore gli effetti di cui all’art. 1153 c.c., può fornire la prova della malafede o della colpa grave del possessore medesimo al momento della consegna anche mediante presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, e tali da prevalere sulla suddetta presunzione legale (v. tra le altre Cass. n. 4328 del 1997).

La possibilità che la prova contraria alla presunzione legale di cui al citato articolo 32 sia costituita da presunzioni semplici non esonera tuttavia il giudice innanzitutto dalla precisa individuazione dei dati noti dai quali dedurre quelli ignoti, da una verifica precisa e analitica degli indizi offerti dal contribuente in relazione ad ogni movimento bancario contestato e dalla valutazione espressa della gravità, precisione e concordanza dei suddetti elementi in relazione a ciascun movimento, valutato nei suoi tempi, nel suo ammontare e nel suo contesto. Ancorchè presuntive (anzi, a maggior ragione per questo) le prove devono essere sempre sottoposte a verifica dal giudice non potendo ritenersi che una precisa e specifica valutazione della prova (presuntiva o meno) offerta dal soggetto gravato dal relativo onere possa essere (come nella specie) sostituita da affermazioni apodittiche, generiche, sommarie e “cumulative”.

Col quinto motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente sostiene che i giudici della C.T.R., senza fare alcun riferimento alle deduzioni con le quali l’Ufficio aveva esaminato tutta la documentazione prodotta dalla società in rapporto alle contestate movimentazioni bancarie ed in base a tale raffronto aveva ritenuto giustificati alcuni prelievi, ma ancora ingiustificati i versamenti, si erano limitati a generi che affermazioni circa la produzione documentale della contribuente senza una specifica disamina in proposito sostenendo peraltro che la mancata corrispondenza dei prelievi derivava dal fatto che alcuni fornitori venivano pagati anche nell’interesse di altri soggetti.

La censura che precede, nei termini esposti e nei limiti di cui in prosieguo, risulta ammissibile e fondata, posto che, dalle generiche affermazioni della sentenza in ordine alla valutazione della documentazione offerta dalla contribuente, non risultano in alcun modo prese in considerazione le precise deduzioni con le quali l’Ufficio (nella memoria integrativa prodotta in appello e riportata in ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza) aveva esaminato tutte la documentazione prodotta dalla società confrontandola con le singole contestate movimentazioni bancarie ed in base a tale raffronto aveva ritenuto ancora ingiustificati ed i versamenti.

3. Con un unico motivo di ricorso incidentale la società contribuente, deducendo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1992, art. 53, comma 2, ultimo periodo, sostiene la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia della inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia, notificato a mezzo di messo autorizzato della stessa Agenzia, per mancato deposito di copia dell’atto di gravame presso la segreteria del giudice a quo.

La censura è infondata, e ciò a prescindere dall’accertamento in ordine alla effettiva insussistenza di tale deposito.

In proposito è infatti da rilevare che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 4, nel prevedere che “l’ufficio del Ministero delle finanze e l’ente locale provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 – il quale prescrive, per quanto qui rileva, che “le notificazioni sono fatte secondo le norme dell’art. 137 c.p.c. e ss.” – mette a disposizione dell’amministrazione finanziaria e degli enti locali una particolare, ulteriore modalità di notificazione degli atti del processo tributario, consistente nella possibilità di avvalersi di messi comunali o di messi autorizzati, strumentale rispetto al principio ispiratore dell’intera normativa sul processo tributario di merito, la quale mira a semplificarlo, ad accelerarlo e a farlo svolgere senza gravare, proprio in tema di notificazioni, sull’ufficio ausiliario ordinario dell’autorità giurisdizionale costituito dall’ufficiale giudiziario, e deve pertanto ritenersi, anche in virtù del richiamo alle norme del codice di procedura civile in materia, che il legislatore, quanto alle notificazioni nell’ambito del processo tributario, abbia inteso equiparare il messo all’ufficiale giudiziario a tutti gli effetti (v. sul punto Cass. n. 3433 del 2008 con specifico riguardo alla fede privilegiata delle attestazioni inerenti le formalità della notifica compiute dal messo notificatore).

Occorre poi ulteriormente evidenziare che la ratio del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, comma 7, (convertito nella L. n. 248 dei 2005) è la stessa sottesa all’art. 123 disp. att. c.p.c., cioè quella di assicurare al segretario del giudice a quo di avere tempestiva conoscenza dell’impugnazione e di eseguire l’annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza, prescritta dal comma 2 della norma anzidetta (cfr. Corte Cost., sent. n. 321 del 2009 e ord. n. 43 del 2010).

E’ tuttavia da evidenziare che, come nel caso di notifica a mezzo di ufficiale giudiziario quest’ultimo è tenuto, all’anzidetto fine, in base al citato art. 123, comma 1, a darne immediato avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, così analogo adempimento è posto a carico del messo notificatore, attesa la sua equiparazione all’ufficiale giudiziario a tutti gli effetti, come sopra evidenziata. Sul punto la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), affermando il principio con riguardo all’avvocato che si avvale della facoltà di eseguire la notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994, ha evidenziato che l’art. 9 di tale legge stabilisce appunto che, nei casi in cui il cancelliere sia tenuto all’annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza, “il notificante provvede, contestualmente alla notifica, a depositare copia dell’atto notificato presso il cancelliere del giudice che ha pronunciato il provvedimento”, dovendo pertanto ritenersi che la comminatoria di inammissibilità dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, non riguardi gli atti di appello notificati per posta ai sensi della menzionata L. n. 53 del 1994, ma si riferisca alle semplici raccomandate previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma (v.

da ultimo Cass. n. 6811 del 2011).

La ricorrente incidentale, inoltre, in ipotesi di accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata chiede che la Corte tenga conto del riconoscimento da parte dell’Ufficio impositore, in grado d’appello, della avvenuta giustificazione, in corso di giudizio, di larga parte della movimentazioni bancarie in contestazione, e, anche in ipotesi di cassazione con rinvio, chiede a questa Corte una statuizione ricognitiva o dichiarativa della rimodulazione in diminuzione della domanda dell’appellante ufficio impositore.

La richiesta sopra esposta è inaccoglibile.

La corte di cassazione pronuncia sulle censure proposte avverso la sentenza impugnata e decide nel merito solo ove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto. Nella specie è mancato nel giudizio di merito ogni accertamento in fatto circa il preteso riconoscimento (nonchè i relativi limiti e termini), da parte dell’Ufficio appellante, della giustificazione di alcune delle movimentazioni bancarie in contestazione, pertanto, prescindendo da ogni altra considerazione, non c’è spazio alcuno per una decisione nel merito e quindi, a fortiori, per alcuna statuizione ricognitiva o dichiarativa della Corte in proposito, essendo la relativa decisione rimessa al giudice del rinvio.

La ricorrente incidentale chiede infine che la Corte pronunci sulla domanda, rimasta assorbita nei due giudizi di merito, di declaratoria di illegittimità della irrogazione delle sanzioni, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in più periodi di imposta consecutivi.

La richiesta è inaccoglibile. I giudici di merito hanno deciso su questione assorbente (la debenza o meno della pretesa fiscale) e pertanto non hanno avuto necessità di decidere sulla questione assorbita (calcolo delle sanzioni). In assenza di una decisione del giudice d’appello, non c’è spazio per una pronuncia del giudice di cassazione investito della impugnazione sulla sentenza d’appello, e dovrà pertanto il giudice del rinvio pronunciare sul punto, a meno che non sussistano gli estremi per una decisione nel merito da parte del giudice di cassazione, circostanza da escludere nella specie, attesa, tra l’altro, la necessità, secondo quanto sopra esposto, di una analitica valutazione in fatto degli elementi offerti in prova contraria dalla contribuente. In proposito giova rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel giudizio di cassazione è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che sono rimaste assorbite, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (v. tra le altre Cass. n. 3796 del 2008 e n. 4808 del 2007).

4. Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere rigettati, mentre gli ulteriori motivi del ricorso principale devono essere accolti nei termini di cui sopra. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale e accoglie gli altri per quanto di ragione. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Lazio.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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