Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25502 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/10/2017, (ud. 08/06/2017, dep.26/10/2017),  n. 25502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11777-2016 proposto da:

B.V., G.T., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CANFORA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GAETANO FRANCHINA;

– ricorrenti –

contro

BANCO POPOLARE SOC. COOP., in persona del suo procuratore,

incorporante la SOCIETA’ GESTIONE CREDITI BP SOCIETA’ CONSORTILE PER

AZIONI SPA, nonchè incorporante la TIEPOLO FINANCE 2 SRL, in

persona dell’amministratore unico, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO VOLTAGGIO, rappresentata e difesa dall’avvocato TITO

MONTEROSSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 619/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata l’08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.p.a. Bipielle Gestione Credito convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Siracusa, i coniugi B.V. e G.T., chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di costituzione del fondo patrimoniale col quale i predetti avevano destinato una serie di beni immobili a far fronte ai bisogni della loro famiglia.

A sostegno della domanda la società attrice espose, tra l’altro, che il B. si era costituito fideiussore del CEDAS (Centro distribuzione alimentare siracusano), debitore del dante causa della Bipielle, e che la costituzione del fondo pregiudicava le sue ragioni di credito.

Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e rilevando, tra l’altro, che era in corso un separato giudizio nei confronti della società attrice per l’esatta determinazione del credito, sicchè venne sollecitata anche la sospensione del presente giudizio.

Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale e condannò i convenuti al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dai coniugi soccombenti e la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 10 aprile 2015, ha rigettato l’appello ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catania ricorrono B.V. e G.T. con unico atto affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Banco popolare soc. coop., nella qualità di incorporante la società originariamente attrice.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., ed il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 295 c.p.c. in relazione alla natura di credito litigioso ed alla posizione del fideiussore, asseritamente diversa da quella del debitore principale.

1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1).

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito con la sentenza 21 marzo 2017, n. 7155, infatti, lo scrutinio imposto dalla disposizione richiamata impone di pervenire, in presenza dei requisiti ivi indicati, ad una pronuncia di inammissibilità.

Nella specie, la sentenza impugnata si è correttamente riportata al costante insegnamento di questa Corte, definitivamente confermato dalla sentenza delle Sezioni Unite 18 maggio 2004, n. 9440, secondo cui il fatto che i crediti che costituiscono il presupposto dell’azione revocatoria siano oggetto di separata controversia (c.d. credito litigioso) non comporta alcuna necessità di sospendere il giudizio sull’azione revocatoria, posto che essa non ha una funzione recuperatoria, ma soltanto di ricostituzione della garanzia patrimoniale del debitore (v., più di recente, le sentenze 14 maggio 2013, n. 11573, e 12 luglio 2013, n. 17257).

Questa Corte, inoltre, ha ribadito anche di recente che l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicchè, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1), prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (così la sentenza 19 gennaio 2016, n. 762).

A fronte di siffatte argomentazioni, il motivo in esame insiste nel ribadire, senza significative aggiunte o novità, le medesime censure già vagliate e ritenute infondate dalla Corte d’appello, senza neppure tentare di confutare il consolidato orientamento giurisprudenziale qui richiamato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c. e mancata valutazione di elementi contrari, ai sensi degli artt. 112,115 e 116 c.p.c..

2.1. Il motivo, quando non inammissibile, non è comunque fondato.

Si rileva, preliminarmente, che esso non contiene alcuna attività espositiva delle censure di violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., dato che nell’illustrazione essi non vengono neppure richiamati; nè, d’altra parte, l’affermata (ma non motivata) lesione degli artt. 115 e 116 cit. risulta essere stata posta in conformità ai criteri di cui alla sentenza 5 agosto 2016, n. 16598, delle Sezioni Unite di questa Corte.

Ciò posto, il Collegio osserva che la sentenza impugnata, con un accertamento in fatto adeguatamente motivato e sottratto a riesame in questa sede, ha rilevato che 1) non erano state in alcun modo dimostrate quali fossero le ragioni di tutela familiare che avevano imposto la costituzione del fondo patrimoniale; 2) era dimostrata, invece, l’esistenza della consapevolezza del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni dei creditori (scientia damni), tanto più che si trattava di un atto a titolo gratuito; 3) la costituzione del fondo patrimoniale aveva effettivamente determinato una situazione di depauperamento che rendeva comunque più difficoltosa la soddisfazione del creditore, posto che i residui beni immobili rimasti nel patrimonio del fideiussore erano tutti ipotecati tranne uno, di valore insufficiente a garantire il credito.

Al cospetto di simile ricostruzione, la censura in esame si risolve nella generica riproposizione di argomentazioni già considerate prive di fondamento e nell’evidente tentativo di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

In conformità alla richiesta della parte controricorrente, va disposta la condanna dei ricorrenti al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1.000 ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, – norma applicabile al ricorso odierno ai sensi del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 – posto che l’infondatezza in iure delle tesi prospettate in sede di legittimità, in quanto contrastanti con il diritto vivente e con la giurisprudenza consolidata, costituisce indizio di colpa grave rilevante ai fini in discussione (ordinanza 22 febbraio 2016, n. 3376).

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, nonchè dell’ulteriore somma di Euro 1.000 ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione sesta Civile – 3, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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