Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25499 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/11/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 30/11/2011), n.25499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CIERRE COSTRUZIONI IMPIANTI SRL in persona dell’Amministratore Unico

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA

FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato DAMASCELLI ANTONIO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 72/2004 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 22/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DAMASCELLI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 22.2.2005 n. 72 la 8A sez. della Commissione tributaria della regione Puglia accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio Bari 1 della Agenzia delle Entrate ed in riforma della decisione della CTP di Bari n. 227/19/2002 dichiarava legittimo l’avviso di accertamento delle maggiori imposte dovute da Alfa Costruzioni s.r.l. per l’anno 1994 a titolo di IRPEG ed ILOR in conseguenza del recupero a tassazione, quali rimanenze finali di lavori pluriennali in corso di esecuzione, degli importi relativi alle “riserve” per maggiori corrispettivi iscritti dalla società appaltatrice nel registro di contabilità di cantiere.

I Giudici di appello ritenevano corretta l’applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60 – nel testo vigente all’epoca – fatta dall’Ufficio nell’avviso di accertamento prevedendo la norma la tassazione solo del 50% dei predetti importi, salvo successiva rettifica mediante la categoria delle sopravvenienze attive o passive: ed infatti la condizione cui era subordinata la applicazione della norma che tali maggiori importi fossero “richiesti in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali” doveva ritenersi autoevidente, non essendo stata, peraltro, fornita prova contraria dalla società contribuente. Inoltre non era stata fornita prova che le maggiori pretese dovessero riferirsi in via esclusiva alle altre società partecipanti all’Associazione temporanea di impresa costituita per la esecuzione del lavori di appalto, risultando in conseguenza corretta la imputazione delle riserve nella misura del 2,50% corrispondente alla percentuale di partecipazione al contratto della contribuente.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi articolati in plurime censure, CIERRE Costruzioni ed Impianti s.r.l. (incorporante della Alfa Costruzioni s.r.l. per atto di fusione in data 30.9.2005) con atti notificati in data 5.4.2006 al Ministero della Economia e delle Finanze ed alla Agenzia delle Entrate. Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR di Bari, introdotto con appello proposto dall’Ufficio Bari (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

2. La società ricorrente ha censurato la sentenza di appello deducendo:

– il vizio di violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2, art. 52, comma 1, art. 75, comma 1, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La società contesta il mancato accertamento delle condizioni (certezza e determinabilità delle somme richieste in dipendenza di clausole di contratto o di disposizioni di legge) alle quali è subordinata la imponibilità delle maggiori pretese, dovendo escludersi dall’ambito applicativo del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60 le richieste formulate a titolo di risarcimento danni – come nel caso di specie – e di indennizzo per lavori ed.

extracontrattuali (Cass. 13582/2001);

– il vizio di omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La società rileva che i Giudici di appello – nonostante la contribuente avesse contestato che il PVC redatto dalla Guardia di Finanza all’esito della verifica fiscale nei confronti di altra società partecipante all’ATI, non dimostrasse la dipendenza da clausole contrattuali o da disposizioni di legge delle richieste formulate con le riserve – hanno violato le regole sul riparto dell’onere probatorio facendo gravare sulla contribuente la prova della derivazione extracontratto delle maggiori pretese (idest della non redditualità delle somme iscritte con le riserve), formulando altresì una motivazione logicamente insufficiente laddove hanno ritenuto “inevitabile” la esistenza del titolo legale o contrattuale delle pretese, senza esaminare partitamene le 15 riserve iscritte nel registro di contabilità e riportate nella loro descrizione nel PVC depositato in giudizio, dalle quali emergeva il titolo risarcitorio delle pretese.

3. La resistente con il controricorso chiede dichiararsi infondati i motivi di impugnazione in quanto la norma tributaria (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60) prescinde da una classificazione delle “maggiorazioni di prezzo” e dall’esame delle singole pretese oggetto delle riserve d’appalto, intendendo ricomprendere qualsiasi integrazione dell’originario importo contrattuale purchè “ragionevolmente certa”, e dunque – senza attendere l’esito della risoluzione della contestazione delle riserve iscritte nel registro di contabilità – dispone “prudenzialmente” l’assoggettamento a tassazione del 50% di tali proventi, anche se derivanti da richieste di natura risarcitoria le quali trovano giustificazione in oneri e costi imprevisti sostenuti dall’appaltatore nell’esercizio di competenza e dedotti integralmente. Illogico, secondo la resistente, sarebbe poi l’assunto della società contribuente secondo cui sarebbe necessario verificare se le maggiorazioni di prezzo siano o meno fondate su titolo contrattuale o legale, in quanto richieste prive di tale fondamento porterebbero a riconoscere la natura indebita delle relative pretese.

4. La questione in diritto che viene sottoposta alla Corte attiene alla esatta interpretazione della disposizione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60 (testo vigente all’anno 1994) che, al comma 2, ai fini della determinazione del reddito di impresa assoggettabile ad imposta, detta i criteri di valutazione “delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale”, prescrivendo che : “La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti.

Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finchè non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati”.

Le tesi in diritto contrapposte si incentrano sulla portata precettiva da attribuire alla nozione di “maggiorazione di prezzo “richiesta “in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali”. Assume la ricorrente che la interpretazione accolta dalla CTR, fondata sulla “autoevidenza” della richiesta -nel senso che il contraente potrebbe chiedere la maggiorazione di prezzo “evidentemente” ricollegandola al titolo contrattuale od a disposizioni di legge -, verrebbe paradossalmente ad escludere qualsiasi significato prescrittivo alla previsione normativa, sicchè – aderendo alla tesi formulata da una parte della dottrina – sostiene che l’applicazione della norma in esame debba essere circoscritta alle sole ipotesi ivi indicate, con esclusione delle pretese che trovano fondamento in un diverso titolo come nel caso di pretese derivanti da illecito.

La Agenzia delle Entrate sostiene al contrario che la formula lessicale adottata dal Legislatore include ogni aumento dell’importo contrattuale originariamente pattuito, “a qualsiasi titolo” richiesto (dunque anche a titolo risarcitorio).

4.1 Rileva il Collegio che per poter procedere alla esegesi richiesta occorre prendere le mosse dalla collocazione sistematica della norma nella disciplina dettata dal Testo Unico della Imposte sui Redditi (l’art. 60, nel testo vigente al tempo, era inserito tra le disposizioni del D.P.R. n. 917 del 1986 concernenti le modalità di determinazione del reddito di impresa), nonchè ricercare eventuali corrispondenze o difformità con le norme del Codice civile che regolano la materia dei bilanci societari e con i “principi contabili” elaborati ad integrazione delle prime.

Quanto al primo aspetto “i prodotti in corso di lavorazione” ed “i servizi in corso di esecuzione” – relativi a rapporti contrattuali non esauriti al termine dell’esercizio, ma di durata infrannuale -, vengono a comporre il reddito di impresa in quanto considerati dal Legislatore tributario come “rimanenze finali” (“i prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell’art. 60 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale”: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 59, comma 5, ora art. 92, comma 6 TUIR).

Nel caso di rapporti contrattuali ad “oggetto unitario” ed esecuzione prolungata ultrannuale (dunque non soltanto i contratti c.d. di durata, aventi ad oggetto prestazioni continuative o periodiche, ma anche ad esempio i contratti di appalto di lavori, forniture o servizi in cui la “durata” non è assunta ad elemento connotativo della causa del negozio) entrano a comporre il reddito di impresa le variazioni tra le esistenze iniziali – id est le rimanenze finali del precedente esercizio riportate a nuovo – e le rimanenze finali, impiegando come criterio di valutazione di queste ultime, non più il criterio del costo sostenuto ma quello del corrispettivo pattuito contrattualmente -sostituito sua volta, nel caso il contratto preveda il pagamento secondo stati di avanzamento, con il criterio delle somme effettivamente percepite-, tenuto conto in ogni caso che: 1 – eventuali corrispettivi liquidati a titolo definitivo debbono sempre ricomprendersi tra i “ricavi”, mentre nel caso di liquidazione parziale (acconti, anticipi ecc), la valutazione delle rimanenze è limitata alla parte di corrispettivo non ancora liquidata; 2-se nel corso di svolgimento del rapporto contrattuale la impresa richieda “maggiorazioni di prezzo…in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali”, e queste non siano ancora “definitivamente stabilite” nel corso dell’esercizio di competenza, tali ulteriori importi vengono recuperati ad imponibile come rimanenze da valutarsi “in misura non inferiore al 50%” (cfr. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, ora art. 93 TUIR).

Quanto al secondo aspetto si evidenzia quanto segue.

La normativa civilistica (art. 2426 c.c., comma 1, n. 11 – il testo della disposizione non ha subito modifiche) stabilisce, tra i criteri di valutazione delle poste da iscrivere nel bilancio di esercizio, che “i lavori in corso possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza”.

Dai “principi contabili” elaborati dagli organismi nazionali (OIC n. 23) ed internazionali (IAS 11) emergono le seguenti ulteriori indicazioni integrative della norma codicistica.

Nell’ambito dei “contratti di durata ultrannuale per la realizzazione di un’opera o di un complesso di opere o la fornitura di beni o sei”vizi non di serie che insieme formino un unico progetto, eseguite su ordinazione di un committente secondo le specifiche tecniche da questi richieste”, i principi contabili nazionali operano, infatti, una distinzione preliminare tra contratti a prezzi predeterminati o fissi, e contratti con prezzo basato sul costo consuntivo più il margine, e, stabilito che la esigenza cui provvedere – nel caso in cui ai costi sostenuti nel periodo non corrisponda la percezione di corrispettivi a titolo definitivo – è quella della ricerca del criterio maggiormente rispondente alla applicazione del “principio di competenza” ed alla osservanza del principio di rappresentazione veritiera e corretta e dei dati di bilancio, indicano nel “criterio della percentuale di completamento o dello stato di avanzamento” (che consente di riconoscere gli utili in funzione dell’avanzamento della attività di produzione) il metodo più adeguato per la valutazione delle opere o delle forniture in corso di esecuzione, ai fini della corretta allocazione nei diversi esercizi dei ricavi e dei costi e quindi degli utili o delle perdite.

Tale soluzione è stata adottata anche dal principio contabile 1AS 11 (lavori su ordinazione), secondo cui “se il risultato economico di una commessa può essere attendibilmente stimato, il ricavo contrattuale (incluse le variazioni ed i premi) ed i costi debbono essere contabilizzati utilizzando solo il metodo della percentuale di completamento……Quando il risultato non può essere stimato attendibilmente, ma è probabile il recupero dei costi sostenuti, i ricavi dovrebbero essere contabilizzati in misura eguale ai costi accumulati (approccio break even)”.

Inoltre appare opportuno considerare che tra i “ricavi contrattuali (che vengono a comporre il reddito di impresa rilevante fiscalmente) i principi contabili nazionali ricomprendono le seguenti categorie economiche: il “prezzo stabilito nel contratto”, le “maggiorazioni di prezzo” previste dal contratto, i “proventi accessori” (quali quelli derivanti dalla vendita dei materiali non impiegati), i “corrispettivi per servizi aggiuntivi”, i “corrispettivi aggiuntivi previsti contrattualmente a carico del committente”.

4.2 Tanto premesso rileva il Collegio che, con la norma tributaria in esame, il Legislatore ha inteso rendere quanto più aderente possibile al principio di imputazione nell’esercizio di competenza dei redditi “effettivamente” prodotti e dei costi di produzione effettivamente sostenuti il fenomeno dei redditi “progressivamente” maturati nelle esecuzioni contrattuali di durata superiore al singolo periodo annuale di esercizio, evitando, da un lato, di assoggettare ad imposizione incrementi reddituali meramente virtuali od ipotetici, e dall’altro evitando di rimettere esclusivamente al contribuente la scelta del momento più opportuno nel quale esporre in dichiarazione, e quindi assoggettare al prelievo fiscale, i redditi maturati nel corso della attuazione del contratto.

Al riguardo va osservato che la disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60 concernente le “maggiorazioni di prezzo” richieste dalla impresa in dipendenza di variazioni in aumento ovvero di maggiori difficoltà incontrate nella esecuzione del contratto (esclusa la ipotesi, che non rileva nel presente giudizio, in cui le prestazioni contrattuali siano misurate e liquidate con il sistema dei SS.AA.LL. per la quale trova espressa applicazione il criterio della imputazione ad esercizio delle somme in concreto corrisposte) se, da un lato, riveste carattere derogatorio della regola generale stabilita nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 1, (testo vigente ratione temporis) secondo cui i corrispettivi debbono essere imputati all’esercizio di competenza nel quale risulta interamente eseguita la prestazione contrattuale in quanto solo in tale momento il corrispettivo diviene certo e determinabile (“i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”), regola che trova esplicazione nei successivi commi della medesima norma (la imputazione nell’esercizio di competenza va eseguita, per i trasferimenti di beni, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili, e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale”; per le prestazioni di servizi “alla data in cui le prestazioni sono ultimate”; per gli altri contratti “alla data di maturazione dei corrispettivi”), dall’altro tende, invece, a conformarsi ai principi contabili ispirati al “criterio di competenza” (art. 2423 bis c.c., comma 1, n. 3) ed al criterio di valutazione prudenziale delle poste di bilancio (art. 2423 bis c.c., comma 1, n. 1 e art. 2426 c.c., comma 1, n. 11), recepiti, peraltro, anche in materia tributaria dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 1, secondo cui gli importi “maturati” nel corso dell’esercizio, inerenti alla progressiva esecuzione delle prestazioni contrattuali ultrannuali, possono essere recuperati a tassazione soltanto se assistiti da un attendibile tasso di certezza nell’an e determinabilità nel “quantum” (in relazione a tale aspetto vi è innegabile coincidenza tra la normativa tributaria e quella civilistica), limite che deve ritenersi pienamente coerente con il principio costituzionale della capacità contributiva ex art. 53 Cost..

4.3 Fermo il quadro di riferimento sopra delineato in cui viene a collocarsi la norma in esame, occorre rilevare che il recupero a tassazione, nella misura minima del 50%, dell’importo delle “maggiorazioni di prezzo” richieste dall’appaltatore è condizionato del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2 a due ulteriori vincoli normativi:

– che le richieste siano formulate “in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali”. – che sulle richieste non sia ancora intervenuta una “decisione” definitiva (accordo; riconoscimento negoziale; accertamento giudiziale).

4.3.1. Il secondo elemento normativo non pone difficoltà interpretative. La scelta del Legislatore di assoggettare a trattamento fiscale speciale le maggiorazioni di prezzo risponde, infatti, alla esigenza di una valutazione prudenziale della idoneità dei maggiori importi richiesti a trasformarsi in ricavi. In sostanza, da un lato, si attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della “attendibilità” dei requisiti di “certezza e determinabilità” della variazione incrementale oggetto della pretesa, al vincolo giuridico sinallagmatico precostituito dal contratto che giustifica un’aspettativa giuridica qualificata al pagamento dei compensi pattuiti in dipendenza della – maggiore – attività svolta per la produzione dell’opus prestazione dei servizi o delle forniture (ciò che consente di distinguere l’ipotesi in questione da quella in cui, in assenza del predetto vincolo obbligatorio, è ravvisabile soltanto una mera speranza di reddito); dall’altro viene dato rilievo al momento negoziale della accettazione, da parte del committente, delle richieste formulate dall’appaltatore (“finchè non sono definitivamente stabilite”), tenuto conto che, nella disciplina del tipo negoziale, è al primo riservata la verifica della esistenza dei presupposti di fatto e di diritto ai quali vengono ricollegate per legge o per disposizione contrattuale le revisioni in aumento dei prezzi, con la conseguenza che la maggiore pretesa avanzata dall’appaltatore acquista il carattere di definitività e di determinatezza nel “quantum” solo con il riconoscimento del committente.

La norma tributaria dando particolare rilievo di attendibilità alla pretesa di maggiori corrispettivi formulata in dipendenza di una variazione quali-quantitativa in aumento delle prestazioni contrattuali, viene quindi ad anticipare progressivamente durate lo svolgimento del rapporto il momento di maturazione del reddito di impresa che, non essendo ancora definitivamente accertato -in assenza di esplicito riconoscimento della pretesa da parte del committente- viene prudenzialmente valutato in misura ridotta (pari al 50% del maggiore importo richiesto).

4.3.2. La prima delle due condizioni normative sopra indicate pone, invece, alcune problematiche di carattere ermeneutico.

E’ del tutto evidente che la tesi sostenuta dalla Amministrazione finanziaria e recepita dalla Commissione tributaria regionale, secondo cui qualsiasi pretesa di “maggiorazione del prezzo” avanzata dall’appaltatore (da intendersi in senso lato come determinativa di un incremento “a qualsiasi titolo” della prestazione patrimoniale dovuta dalla stazione appaltante) sarebbe assoggettata alla disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2, non essendo dato astrattamente ipotizzare – se non in caso di pretese manifestamente infondate: prive di riferimenti con la realtà effettuale e giuridica inerente alla esecuzione del contratto – pretese che non siano fondate su disposizioni contrattuali o su norme di legge, destituirebbe totalmente di efficacia precettiva, rendendola del tutto superflua, la condizione predetta che risulta, al contrario, espressamente inserita tra gli elementi della fattispecie normativa (secondo la tesi criticata la espressione “in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali verrebbe a risolversi, infatti, nell’affermazione tautologica che la pretesa di aumento dei corrispettivi richiesta dall’appaltatore deve avere sempre un fondamento giuridico: ne consegue che ove si aderisse a tale interprelazione rimarrebbero assoggettate alla norma tributaria anche le pretese fondate su un contratto viziato da nullità, in quanto anche l’azione di arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c. – esperibile nel caso di pretese indennitarie relative a lavori o servizi espletati in base a contratto di appalto pubblico non rispondente al requisito formale “ad essentiam”- trova, ovviamente, titolo in una “disposizione di legge”).

La tesi interpretativa “estensiva” non può ritenersi appagante in quanto viene a contraddire il presupposto di imposta (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 86 vigente al tempo) che, nel caso di specie, deve ravvisarsi nello stretto collegamento istituito tra il possesso di reddito (maturazione – anticipata – del credito al pagamento del corrispettivo, nel senso sopra indicato) ed il fenomeno giuridico assunto come fonte di produzione del reddito stesso (attività svolta dalla impresa in attuazione di un contratto ad esecuzione prolungata nel tempo: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60), dovendo in conseguenza escludersi che pretese fondate su una qualsiasi norma dell’ordinamento, in alcun modo riconducibile al contratto ovvero non espressamente diretta a regolare la fattispecie contrattuale tipica, soddisfino alla condizione indicata.

Il problema da risolvere viene quindi a trasferirsi sul criterio di individuazione della riferibilità della pretesa al rapporto contrattuale, e per quanto prevalentemente interessa in questa sede, il problema viene a porsi in particolare in relazione a quelle pretese che risultino estranee al nesso sinallagmatico tra le prestazioni delle obbligazioni dedotte in contratto, quali in particolare le “pretese al ristoro dei danni” subiti dall’appaltatore a causa della condotte inadempienti realizzate dall’ente committente (a titolo meramente esemplificativo: violazione dei doveri di cooperazione iniziale alla esecuzione del contratto quali la consegna dell’area di cantiere libera da vincoli, il versamento degli anticipi contrattuali; violazioni di specifici obblighi determinativi della temporanea impossibilità di prosecuzione dei lavori, servizi, forniture, quali le sospensioni disposte dalla direzione lavori per provvedere ad emendare vizi del progetto tecnico redatto dall’ente committente o negligenze imputabili a quest’ultimo, ovvero ritardi del committente nella acquisizione dei necessari provvedimenti amministrativi; quali ancora i ritardi nei pagamenti degli acconti o degli importi revisionali) che possono giungere fino al limite della risoluzione del contratto per grave inadempimento ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c..

In materia si è già espressa questa Corte con le sentenze in data 2.11.2001 n. 13581 e n. 13582 (entrambe concernenti appalti pubblici) respingendo la tesi “estensiva” della Amministrazione finanziaria e circoscrivendo la portata della norma tributaria alle pretese inerenti al contratto assistite da attendibili requisiti di certezza e determinabilità (requisiti da valutarsi caso per caso e non riducibili esclusivamente alla richiesta di importi revisionali), cn la conseguenza che rimangono sottratte alla disciplina della norma tributaria: a) “le richieste di maggiori compensi fondate su varianti in corso d’opera……sostanziandosi in proposte di modifica del contratto che, in quanto tali, non assumono rilevanza fino a quando non siano accettate dalla controparte”; b) “le pretese di carattere risarcitorio, che non possono essere ricomprese in una nozione sia pure lata di prezzo, perchè prive di collegamento con le prestazioni dedotte in contratto e dirette unicamente alla reintegrazione del patrimonio dell’appaltatore”(cfr. Corte cass. 5^ sez. n. 13582/2001 cit.; conf. id. 5^ sez. 6.4.2007 n. 8628, concernente pretese – quantificate per importo capitale ed interessi – relative ad oneri aggiuntivi da esecuzione di lavori “extra contratto”).

Il principio affermato va condiviso con le precisazioni che seguono.

L’ambito oggettivo delle pretese di “maggiorazioni di prezzo” viene correlato dalle predette sentenze al rapporto di corrispettività che deve sussistere tra i maggiori oneri economici sostenuti dall’appaltatore nella esecuzione della prestazione e l’obbligazione “ex contractu” assunta dal committente di tenere indenne l’appaltatore dei maggiori costi sostenuti per la realizzazione dell’opus. In difetto del nesso di corrispettività ogni pretesa risarcitoria rimarrebbe esclusa dalla imputazione a rimanenze, nell’esercizio di competenza, nella misura non inferiore al 50% dell’importo.

Premesso che nei contratti di appalto di opere pubbliche (ed in quelli assoggettati alla stessa disciplina per pattuizione negoziale) l’onere di formulare tempestiva riserva nel registro di contabilità, previsto a pena di decadenza, concerne in via generale ogni pretesa dell’appaltatore afferente compensi o indennizzi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale originario, in relazione “a qualsiasi situazione” insorta nel corso dell’esecuzione dell’opera appaltata (cfr. Corte cass. 1^ sez. 6.10.1990 n. 9830 “nella disciplina dell’appalto di opere pubbliche di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350 l’onere della riserva (posto a carico dello appaltatore che intenda far valere verso l’amministrazione committente diritti od eccezioni incidenti sul compenso complessivo e che assolve alla funzione di consentire la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori che siano suscettibili di aggravare il costo della opera e formino oggetto di contrastante valutazione dalle parti), non è circoscritto agli elementi di natura strettamente contabile, ma riguarda conseguentemente tutti i fatti che siano comunque idonei a produrre spesa”; id. 1^ sez. 3.3.2006 n. 4702 “la riserva concerne ogni pretesa di maggiori compensi, rimborsi o indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera. In particolare, dal combinato disposto del R.D. n. 350 del 1895, artt. 53, 54 e 64 (nella specie applicabile “ratione temporis”) si ricava la regola secondo cui l’appaltatore, ove intenda contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’Amministrazione e avanzare pretese a maggiori compensi o indennizzi e danni, a qualsiasi titolo, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità, o in altri documenti, e ad esporre, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa nel titolo e nelle somme e, infine, a confermare la riserva all’atto della sottoscrizione del conto finale”; conf. id. 1^ sez. 6.11.2006 n. 23670. In applicazione di tale principio vedi: Corte cass. 1 sez. 18.4.1975 n. 1458; id. 1^ sez. 15.4.1976 n. 1337 – con riferimento all’equo compenso richiesto per le maggiori difficoltà esecutive non previste in contratto determinate da cause naturali ex art. 1664 c.c., comma 2; id. 2^ sez. 28.12.1993 n. 12863 – con riferimento all’equo compenso a termini del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 13, comma 5 per le variazioni, ordinate dal committente, del progetto e del piano iniziale dei lavori, comportanti modifiche superiori al quinto d’obbligo-; id. 1^ sez. 4.8.2000 n. 10261 – con riferimento alla contestazione di errata contabilizzazione dei corrispettivi dipendente dalla misurazione della quantità di lavori- ; id. 1^ sez. 8.9.2004 n. 18070 con riferimento ai costi sopportati per i procedimenti espropriativi, accollati dall’appaltatore, ai sensi del R.D. n. 350 del 1895, artt. 8 e 93 -; id. 1^ sez. 4.1.1978 n. 21; id. 1^ sez. 14.5.1981 n. 3167; id. 1^ sez. 23.9.2003 n. 14110;

id. 1^ sez. 16.6.2010 n. 14574 – con riferimento al ristoro di danni derivante da sospensione dei lavori c.d. illegittima in quanto dovuta ad errore di progettazione ascrivibile all’amministrazione appaltante, ovvero derivante da sospensione originariamente legittima ma prolungatasi oltre il termine massimo previsto nelle condizioni di contratto-; id. 1^ sez. 11.3.2011 n. 2011 – con riferimento ai lavori addizionali effettuati dall’appaltatore, che non siano stati previamente autorizzati e per i quali, pertanto, egli non ha diritto ad aumento di prezzo, e che possono dare luogo a compenso alla condizione che essi formino oggetto di tempestiva riserva e siano, quindi, riconosciuti come tali dall’amministrazione committente-), ritiene il Collegio che le pretese avanzate dall’appaltatore in ordine a fatti produttivi di danno risarcibile determinati da inadempimento colpevole degli obblighi contrattuali assunti dalla stazione appaltante, non possano essere sempre ed in ogni caso sottratti all’ambito applicativo del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2, tenuto conto che la normativa tributaria, diversamente da quella civilistica, prende in considerazione i compensi risarcitori in relazione alla loro specifica destinazione funzionale, dovendosi distinguere, a tal fine, tra compensi volti alla “reintegrazione della originaria situazione patrimoniale” del danneggiato lesa dall’inadempimento imputabile (risarcimento c.d.

“puro”), e compensi destinati a “sostituire i redditi non prodotti / perduti” dal danneggiato in conseguenza del predetto inadempimento imputabile (risarcimento in funzione surrogatoria di reddito imponibile).

Tale criterio discretivo che trova riscontro in numerose disposizioni tributarie in materia di imposte sui redditi (con riferimento al testo delle norme del D.P.R. n. 917 del 1986 vigenti al tempo dell’anno imposta 1994 oggetto dell’accertamento fiscale: a) relativamente all’IRPEF: art. 6, comma 2 che introduce principi di sistema delle imposte dirette, in quanto applicabili a tutte le categorie di reddito indicate nel comma 1, disponendo che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi……e le indennità conseguite, anche informa assicurativa, a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi …costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori…costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati”; art. 16, comma 1, lett. i), che assoggetta a tassazione separata “le indennità spettanti a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, dei danni consistenti nella perdita di redditi relativi a più anni”; b) relativamente all’IRPEG, con rinvio disposto dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95 alla disciplina normativa della categoria del “reddito di impresa”: art. 53, comma 1, lett. d), secondo cui “sono considerati ricavi……le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perita od il danneggiamento di beni cui alle precedenti letterè” -id est: beni e prestazioni di servizi oggetto della attività di impresa, materie prime e semilavorati da impiegare nella produzione, titoli azionari ed obbligazionari, partecipazioni societarie-; art. 54, comma 1, lett. b) e art. 55, commi 2 e 3, secondo cui concorrono a formare il reddito le plusvalenze e le sopravvenienze attive realizzate mediante il risarcimento per la perdita od il danneggiamento di beni relativi alla impresa diversi dai precedenti) è coerente alla definizione della categoria di reddito di impresa che emerge dal combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, comma 1 e art. 75, comma 1, vigenti al tempo, nella quale viene incluso qualsiasi provento (tali dovendo classificarsi anche gli indennizzi risarcitori sostitutivi di reddito) derivante dall’esercizio di imprese commerciali.

Pertanto non vi è ragione di sottrarre le pretese risarcitorie avanzate dall’appaltatore alla regola generale predetta (principio sostitutivo dell’indennizzo al reddito) dovendo darsi seguito al principio di diritto secondo cui “in tema di imposte sui redditi, alla stregua del dettato del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, (applicabile nella specie “ratione temporis”), secondo il quale i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risancimento di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituisce reddito imponibile (anteriormente all’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 32, comma 1, lett. a, convertito in L. 22 marzo 1995, n. 85) ogni risarcimento inteso a riparare un pregiudizio di natura diversa” (cfr. Corte cass. 5^ sez. 3.9.2002 n. 12798). Con l’ulteriore precisazione che l’applicazione in concreto della norma comporta, quindi, che la questione relativa alla imponibilità’ delle somme riscosse dal contribuente a titolo risarcitorio non possa mai prescindere dall’accertamento in ordine alla natura del pregiudizio che l’importo ricevuto ha la funzione di indennizzare, dovendo in particolare il giudice di merito verificare se la dazione di tali somme trovi o meno la sua causa nella funzione di riparare la perdita di un reddito, potendo soltanto in caso di risposta positiva – e sempre che non si tratti di danni da invalidità permanente o da morte – affermarsi la tassazione della relativa indennità (cfr. Corte cass. 5^ sez. 13.5.2009 n. 10972. Il criterio ha trovato vasta applicazione soprattutto nell’ambito dei rapporti di lavoro : Corte cass. 5^ sez. 15.7.2008 n. 19356 – configura risarcimento “puro” non imponibile la liquidazione del danno da inadempimento per omessa stipula di polizza assicurativa in favore del lavoratore dipendente-; id. 5^ sez. 2.10.2008 n. 24432 – costituisce danno reddituale la liquidazione di somme corrispondente alla mancata retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito ove non si fosse verificata la illegittima mancata assunzione- ; id. 5^ sez. 29.3.2004 n. 6246 e n. 6252 secondo cui le somme corrisposte a titolo di rivalutazione monetaria ex art. 429 cod. proc. civ., rientrano – data la loro natura retributiva e non risarcitoria – tra i redditi imponibili D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex artt. 6, 46 e 48).

In tema di contratti pubblici di appalto lavori, servizi o forniture, il discrimine tra le due funzioni svolte dal risarcimento va effettuato con riferimento alle due principali categorie di danno individuate nel “danno emergente” (evidenziato dal confronto statico tra la situazione patrimoniale del danneggiato rilevata prima e dopo l’illecito contrattuale) e nel “lucro cessante” (consistente nella mancata percezione dei guadagni che sarebbero stati ritratti in mancanza della condotta inadempiente), dovendo in conseguenza ritenersi assoggettate alla disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2 soltanto quelle pretese risarcitorie avanzate dall’appaltatore volte a compensare il mancato conseguimento dei guadagni futuri (mancato utile), non anche quelle rivolte esclusivamente ad indennizzare i maggiori costi delle categorie di lavoro – materiali, manodopera, noli – derivanti da immobilizzazioni di mezzi ed attrezzature o da fermo cantiere, ovvero la inutilizzabilità o perdita di beni destinati alla esecuzione contrattuale, o ancora i maggiori oneri finanziari, sofferti dall’appaltatore in conseguenza dell’inadempimento dell’ente committente (cfr. Corte cass. 3^ sez. 3.2.2011 n. 2549 “a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, le somme finalizzate a ristorare il pregiudizio per la mancata percezione di emolumenti sono considerale reddito soggetto a tassazione, mentre non lo sono le sole voci di risarcimento “puro”; a tal fine ha natura di lucro cessante soltanto la perdita derivante dalla mancata percezione di redditi di cui siano maturati tutti i presupposti, mentre ogni altro pregiudizio appartiene all’area del danno emergente”).

In relazione quindi a ciascuna pretesa di “maggiori compensi” oggetto di specifica riserva iscritta nel registro di contabilità dovrà essere verificato:

– se trattasi di richiesta di maggiori “corrispettivi contrattuali” dipendenti da incremento di costi dei materiali o mano d’opera per il quale è previsto il meccanismo della revisione prezzi, ovvero da variazioni od addizioni ordinate od accettate dal committente che modifichino la dimensione dell’impegno assunto dall’appaltatore, senza tuttavia alterare la natura e ‘ essenza del progetto originario, ovvero ancora da eventi previsti dalla legge o dal contratto per i quali sia espressamente considerata la maggiore incidenza sul corrispettivo pattuito (art. 1664 c.c., comma 2), in tal caso ricadendo dette riserve sotto la disciplina della norma tributaria con inserimento degli importi richiesti tra le rimanenze al valore dimidiato ivi indicato;

– se trattasi invece di richieste concernenti: A) “indennizzi” previsti da norme di legge in dipendenza dell’esercizio legittimo di facoltà concesse alla Stazione appaltante (es. esercizio del potere unilaterale di recesso – art. 1671 c.c.; L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F-), ovvero in dipendenza di fatti impeditivi della prosecuzione dell’appalto non imputabili ad alcuna delle parti (art. 1672 c.c. – impossibilità derivante da causa non imputabile-; D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, comma 2, – mantenimento del vincolo contrattuale oltre il termine di durata massima previsto dalla legge per la sospensione disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità-): in tutti questi casi, come peraltro è dato evincere dalle norme richiamate, l’appaltatore deve essere tenuto “indenne” non soltanto dei costi sopportati ma anche del mancato guadagno (la obbligazione indennitaria è infatti obbligazione di valore, dovendo essere liquidati i maggiori oneri alla stregua di un risarcimento danni da atto legittimo : Corte cass. 1^ sez. 8.1.2003 n. 77; id. 1^ sez. 17.11.2003 n. 17340; id. 5^ sez. 18.12.2005 n. 27075); B) “- risarcimento danni” fondati su illeciti contrattuali del committente, come ad esempio nella ipotesi di illegittima sospensione della esecuzione contrattuale disposta dalla P.A. fuori dai casi previsti dalla legge e solo per ovviare al proprio comportamento negligente (es. per errori di progettazione), ovvero nella ipotesi di ritardo colpevole nella liquidazione di somme dovute per anticipazioni, corrispettivi in acconto o revisione prezzi, o ancora nella ipotesi di violazione dei doveri di cooperazione (quale ad es. la ritardato od omessa consegna dell’area nel termine, ovvero il ritardo o la mancata verifica dell’opera od il mancato compimento delle operazioni di collaudo nel termine fissato dal capitolato).

Relativamente alle richieste indicate sopra sub lett. A) e B) dovrà trovare applicazione, ai fini della individuazione della componente reddituale da assoggettare alla disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2, il principio generale dettato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 secondo cui vanno recuperate a tassazione soltanto le somme corrisposte a titolo risarcitorio che abbiano funzione surrogatoria della perdita reddituale e non anche quelle che hanno esclusivamente funzione reintegrativa del patrimonio danneggiato dall’illecito contrattuale.

5. Trovano in conseguenza accoglimento il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso -relativamente alla censura di insufficiente motivazione della sentenza impugnata-, atteso che il Giudice territoriale, da un lato, non si è attenuto ai principi di diritto indicati, accomunando indistintamente tutte le pretese patrimoniali iscritte nelle quindici riserve – trascritte succintamente in ricorso – nella generica nozione di “maggiorazioni di prezzo”, senza individuare le richieste concernenti aumenti di corrispettivo quelle aventi contenuto risarcitorio ed omettendo pertanto di applicare il richiamato “principio sostitutivo” per accertare se e quali tra i compensi richiesti a titolo risarcitorio fossero surrogatori del reddito di impresa (mancato guadagno); dall’altro affermando apoditticamente che la società contribuente non aveva fornito prova che le pretese non derivassero dalla “applicazione di disposizioni di legge o clausole contrattuali”, e dunque, per un verso, non tenendo in considerazione la interpretazione della norma fornita da questa Corte secondo cui le disposizioni di legge o contrattuali da cui dipendono le pretese di “maggiori prezzi” debbono essere individuate in quelle soltanto che assumono esplicitamente a presupposto necessario il nesso sinallagmatico tra le prestazioni (rispetto al quale deve ritenersi estranea la obbligazione avente ad oggetto il risarcimento del danno puro); per altro verso omettendo di giustificare l’iter logico seguito per pervenire alla indicata affermazione, in relazione alla oggettiva diversità del contenuto patrimoniale delle pretese avanzate con la iscrizione delle singole riserve nel registro di contabilità. Fermo infatti il principio per cui grava sul contribuente l’onere della prova ex art. 2697 c.c. che il risarcimento richiesto non ha funzione sostitutiva del reddito (cfr. Corte cass. 5^ sez. 16.9.2005 n. 18369. Appare evidente infatti che la società- contribuente, avendo dovuto effettuare l’analisi prezzi per formulare l’offerta di gara o condurre la trattativa con il committente, è il soggetto che meglio e più agevolmente – alla stregua del criterio di maggiore vicinanza al fatto da rappresentare – può assolvere all’onere predetto), ciò che porta a ritenere manifestamente infondata la censura di violazione della norma generale sul riparto dell'”onus probandi” formulata dalla parte ricorrente, dalla lettura del ricorso per cassazione (pag. 19-21) emerge, infatti, la differente natura delle pretese formulate con le quindici riserve, alcune delle quali indiscutibilmente riconducibili a risarcimento danni c.d. “puri” (tali le riserve nn. 9 e 10 con le quali la impresa ha chiesto di essere reintegrata del pregiudizio consistente nei maggiori oneri finanziari sopportati a causa della ritardata contabilizzazione dei lavori per fatto imputabile alla stazione appaltante), con la conseguenza che il Giudice di merito, in sede di rinvio, dovrà esaminare partitamente ciascuna delle riserve iscritte in contabilità, ed in applicazione dei principi di diritto espressi da questa Corte – cui viene dato seguito con le ulteriori precisazioni svolte in parte motiva sub paragr. 4.3.2.-, dovrà individuare nell’ambito delle pretese aventi natura risarcitoria/indennitaria quelle intese ad ottenere il recupero di mancati guadagni, assoggettabili alla disciplina del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 60, comma 2 nel testo vigente “ratione temporis”, da quelle volte invece ad ottenere la reintegrazione del patrimonio della impresa leso dall’illecito contrattuale contestato al committente, in ordine alle quali la predetta disciplina normativa tributaria non trova applicazione.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e per l’effetto la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Puglia che si atterrà agli indicati principi di diritto, emendando la motivazione dai vizi riscontrati, nonchè provvedendo alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Suprema Corte di cassazione:

– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze;

– accoglie il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate, per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Puglia che si atterrà ai principi di diritto indicati in parte motiva al paragrafo 4.3.2., emendando la motivazione dai vizi riscontrati, nonchè provvedendo alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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