Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25498 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/10/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9073 del ruolo generale dell’anno 2017

proposto da:

Ferrarese s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,

dagli Avv.ti Riccardo Vianello e Giuseppe Marini, elettivamente

domiciliata in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 9, presso lo studio

di quest’ultimo difensore;

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 55/1/2017, depositata in data 9 settembre

2017;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 maggio 2019

dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito per l’Agenzia l’Avvocato dello Stato Anna Collabolletta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto contenuto nella sentenza si evince che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha emesso nei confronti della Ferrarese s.r.l., società esercente l’attività di commercio all’ingrosso di metalli non ferrosi, due avvisi di rettifica dell’accertamento, relativi rispettivamente al periodo marzo 2011 e dicembre 2013, la prima, e dicembre 2011 e novembre 2012, la seconda, con conseguente applicazione delle sanzioni, con i quali è stata contestata l’indebita applicazione del regime dell’inversione contabile sulle operazioni di acquisto dalla Moldavia di macchinari usati per l’industria, poichè i suddetti beni, come classificati dalla società nella dichiarazione doganale, non potevano essere considerati rottami, in quanto, a seguito di riparazioni, potevano essere destinati al loro uso originario o ad uso diverso, con la conseguenza dell’assoggettamento al normale regime dell’Iva; la società contribuente aveva proposto ricorso avverso i suddetti atti impositivi, evidenziando che le importazioni avevano, in realtà, avuto ad oggetto rottami metallici, come provato dalla documentazione prodotta, e, in ogni caso, che l’Iva era stata assolta mediante l’applicazione del regime dell’inversione contabile; la Commissione tributaria provinciale di Treviso ha rigettato i ricorsi; avverso la suddetta pronuncia ha proposto appello la società contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle dogane. La Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto, per quanto di interesse, che: la contribuente aveva descritto i beni importati nella dichiarazione doganale come macchinari usati, indicando espressamente il codice numerico della tariffa doganale corrispondente, senza fare riferimento al codice doganale corrispondente ai rottami; l’art. 65 del codice doganale comunitario e il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 7 prevedono espressamente che il dichiarante non può mutare gli elementi indicati della dichiarazione doganale dopo l’autorizzazione allo svincolo delle merci, non essendo più il bene disponibile e controllabile; era inoltre irrilevante quanto indicato nella dichiarazione doganale nel campo libero n. 44, poichè in quella sede non si era provveduto a descrivere i beni, ma solo a citare, peraltro impropriamente, l’applicazione della disciplina del regime contabile; non aveva rilevanza la circostanza, dedotta dalla contribuente, di avere comunque provveduto al versamento dell’Iva mediante la disciplina dell’inversione contabile, essendo invece necessario provvedere secondo la disciplina ordinaria, anche tenuto conto del pregiudizio erariale conseguente alla diversa modalità di versamento dell’Iva mediante inversione contabile rispetto a quella ordinaria; era corretta, infine, l’applicazione della sanzione secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2, stante l’omesso o ritardato pagamento dell’Iva.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso Ferrarese s.r.l. affidato a sette motivi di censura.

L’Agenzia delle dogane si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Per motivi di ordine logico sistematico si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il quarto motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, artt. 70 e 74, per non avere considerato che, mediante il meccanismo dell’inversione contabile, la contribuente aveva assolto all’imposta in esame, in quanto la sua applicazione comporta i medesimi effetti che si sarebbero verificati qualora la contribuente avesse versato l’Iva al momento dell’importazione, sicchè nessun danno per l’erario può dirsi realizzato.

1.1. Il motivo è fondato.

La questione di fondo della presente controversia attiene alla ritenuta non corretta applicazione della disciplina dell’inversione contabile di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, in quanto la società contribuente avrebbe utilizzato impropriamente il meccanismo dell’inversione contabile da essa previsto per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi, avendo dichiarato che i beni importati dalla Moldavia non rientravano nelle voci di classificazione relative ai suddetti beni per i quali solamente è previsto il diverso regime di assolvimento dell’Iva.

Nel caso in esame, è pacifico tra le parti che la contribuente aveva provveduto alla applicazione della disciplina dell’inversione contabile, come si evince dal contenuto degli avvisi di accertamento (vd. pag. 2 del ricorso) in cui la ragione della pretesa era fondata sulla circostanza che, nel periodo sottoposto a controllo la società Ferrarese risultava aver importato dalla Moldavia merce dichiarata alle voci di classifica di cui ai Capitoli 84-85 della Tariffa doganale, procedendo all’assolvimento dell’Iva attraverso il meccanismo dell’inversione contabile.

E’ in questo contesto, quindi, relativo alle operazioni di acquisto di beni da un soggetto estero ed in cui la società contribuente ha applicato il regime dell’inversione contabile, che viene contestata dall’Agenzia delle dogane la non corretta applicazione del suddetto regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74.

1.2. Sul punto, va osservato che la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, prevede una deroga alla disciplina ordinaria del regime di assolvimento dell’Iva, stabilendo, al comma 7, fra l’altro, che per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito dell’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 e s.s. e con l’annotazione “inversione contabile” e l’eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli artt. 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente.

La disciplina in esame, in realtà, trova applicazione nell’ambito delle operazioni interne, poichè costituisce una deroga al principio generale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1, secondo cui l’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili.

1.3. Tuttavia, la vicenda in esame si colloca su un piano diverso rispetto a quella posta a fondamento della pretesa fatta valere con gli avvisi di rettifica oggetto di giudizio.

Va infatti evidenziato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 2, prevede che “Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’art. 7-ter, comma 2, lett. b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti”.

La suddetta disposizione normativa, quindi, ha stabilito l’applicazione obbligatoria del meccanismo della inversione contabile, in deroga ai criteri generali previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1 prevedendo che, nel caso di cessione o di prestazione di servizi non interna, il debitore dell’imposta non è, come di regola avviene, il cedente o prestatore, bensì il cessionario o committente, cui quindi è imposto l’obbligo di assolvimento all’Iva mediante un regime diverso da quello ordinario.

Invero, secondo la previsione in esame, l’Iva relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia, rese da soggetti non residenti deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, se soggetto passivo stabilito in Italia, mediante il regime dell’inversione contabile.

Pertanto, non correttamente è stata presa in considerazione, nella presente fattispecie, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7, che, come detto, costituisce una deroga al regime ordinario di assolvimento dell’Iva nell’ambito delle operazioni interne allo Stato, dovendosi, invece, ritenere applicabile il regime dell’inversione contabile per le operazioni di acquisto di beni da parte di un soggetto passivo in italiano da operatore non residente.

Sotto tale profilo, non assume rilevanza la questione se la contribuente aveva o no correttamente classificato la merce acquistato ai fini della applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7, essendo invece rilevante, quale fatto pacifico tra le parti, la circostanza che la stessa aveva applicato il regime dell’inversione contabile sulle operazioni di acquisto da soggetto non residente.

1.4. La sentenza impugnata, quindi, è viziata per avere posto a fondamento della propria decisione la non sussistenza dei presupposti per la applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7, dovendosi collocare la fattispecie nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 2, sicchè, avendo la società contribuente assolto all’Iva mediante il regime dell’inversione contabile, nessuna ragione di contestazione, relativa a tale profilo, poteva essere fatta valere nei suoi confronti.

2. Le considerazioni espresse in ordine al primo motivo di ricorso ha valore assorbente degli ulteriori motivi di censura, in particolare: del primo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 65 del Codice doganale comunitario e degli artt. 7 e 22 del D.Lgs. n. 374/1990, nonchè dell’art. 27 Cost; del secondo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 2730, c.c., per avere ritenuto che la dichiarazione doganale ha natura confessoria, mentre alla stessa deve essere attribuito il valore di mera dichiarazione di scienza, in quanto tale non vincolante per il contribuente, sicchè è emendabile e ritrattabile; del terzo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per avere erroneamente omesso di considerare, ai fini della verifica della corretta classificazione delle merci, l’allegato alle bolle doganali sottoscritte dalla ricorrente nonchè le stesse fatture emesse dalla cedente, dalle quali risulterebbe che era stato precisato che le merci importate avevano natura di rottame; del quinto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto che l’applicazione del regime dell’inversione contabile, piuttosto che del regime ordinario di versamento dell’Iva sull’importazione, aveva comportato un danno per l’erario; del sesto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c.; del settimo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2.

3. In conclusione, il quarto motivo di ricorso è fondato, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, può essere decisa nel merito, con accoglimento del ricorso originario, e con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente e compensazione delle spese di lite relative ai giudizi di merito.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario, compensa interamente le spese di lite relative ai giudizi di merito e condanna la controricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento e accessori.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 ottobre 2019

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