Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25497 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/10/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 10/10/2019), n.25497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22409 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Zinox s.p.a. (ora incorporata dalla Zincol Ossidi s.p.a.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Lucia

Montecamozzo, elettivamente domiciliata in Roma, via Sicilia, n. 66,

presso lo studio Fantozzi & Associati;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 1813/7/2016, depositata in data 31

marzo 2016;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 maggio 2019

dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello

incidentale;

uditi per l’Agenzia l’Avvocato dello Stato Anna Collabolletta e per

la contribuente l’Avv. Lucia Montecamozzo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto contenuta nella sentenza si evince che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha emesso nei confronti di Zinox s.p.a., (ora incorporata dalla Zincol Ossidi s.p.a.) un avviso di rettifica dell’accertamento e contestuale atto di irrogazione delle sanzioni con i quali è stata contestata l’indebita applicazione del regime dell’inversione contabile sulle operazioni di importazione di matte di zinco relative all’anno 2011; la società contribuente aveva proposto ricorso avverso i suddetti atti impositivi, evidenziando di avere correttamente fatta applicazione della disciplina di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 70 e 74, in materia di cessione di rottami e cascami di materiali ferrosi e, quindi, del regime di inversione contabile previsto dalla suddetta previsione normativa; la Commissione tributaria provinciale di Como ha accolto il ricorso; avverso la suddetta pronuncia ha proposto appello l’Agenzia delle dogane, nel contraddittorio con la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello; in particolare ha ritenuto che: Zinox s.p.a. aveva provveduto, quale soggetto destinatario della cessione dei beni, ad adempiere a quanto su di essa gravante ai fini della corretta applicazione del regime dell’inversione contabile, sicchè non poteva essere richiesto il pagamento della medesima imposta; era stato correttamente applicato al caso di specie il regime in esame, in quanto le matte di zinco costituiscono un residuo del processo industriale di galvanizzazione dei metalli, non utilizzabili nello stato in cui si trovano, in quanto destinate alla lavorazione industriale per la produzione di ossidi di zinco e rientranti, quindi, nella categoria dei rottami, sicchè il prodotto importato rientrava tra i residui di metalli per i quali era consentita l’applicazione del regime dell’inversione contabile.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura.

Zinox s.p.a. (ora incorporata dalla Zincol Ossidi s.p.a.), si è costituita depositando controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, illustrato da successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sulla eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso Preliminarmente va disattesa l’eccezione di parte controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità e per non avere riportato le argomentazioni della medesima società esposte nel primo e secondo grado di giudizio nonchè i motivi di impugnazione dell’atto di appello.

Va osservato, in generale, che secondo questa Corte, (Cass. civ., 12 luglio 2018, n. 18316) il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa (prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3)), postula che il ricorso per cassazione offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti.

Il grado di specificità non può essere stabilito in via generale ed assoluta, posto che lo stesso va misurato in relazione ai diversi giudizi ed al loro concreto svolgimento, dovendosi comunque tenere in considerazione, come profilo unitario, la finalità cui deve assolvere il necessario assolvimento dell’onere di specificazione, che è quella di consentire a questa Corte, attraverso le indicazioni contenute in sede di svolgimento del processo e dei successivi motivi, di comprendere con sufficiente chiarezza l’oggetto del contendere e le rispettive posizioni difensive, al fine di potere, in fine, compiutamente identificare le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesto il giudizio di legittimità sulla sentenza gravata.

Nella specie, nel ricorso è stato chiaramente precisato il contenuto del processo verbale di constatazione, dove si evince che la ragione della pretesa aveva avuto a fondamento la non riconducibilità dei beni importati nell’ambito delle specifiche previsioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8, con conseguente non corretta applicazione del regime di inversione contabile.

E’ stato, quindi, evidenziato che il ricorso trovava fondamento su ragioni meramente interpretative circa l’esatta portata applicativa del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e art. 74, commi 7 e 8, che a tali motivo di ricorso l’ufficio si era opposto, tenuto conto della classificazione doganale utilizzata dalla stessa società importatrice, e che, infine, il giudice di primo grado aveva seguito la linea difensiva di parte ricorrente, avendo ritenuto che la natura dei beni importati rendesse applicabile la disciplina in materia di inversione contabile.

Sono stati, quindi, riportati i motivi di appello proposti dalla Agenzia delle dogane, da cui si evince che la ragione di contestazione alla pronuncia risiedeva, ancora una volta, nella non corretta applicazione della disciplina in esame in considerazione della classificazione della merce importata, oltre che nella mancanza di prova documentale in ordine all’avvenuto assolvimento dell’iva e nella non configurabilità della duplicazione dell’iva, riproducendo, in fine, il contenuto per esteso della pronuncia censurata.

In sede, poi, dei singoli motivi di ricorso sono stati più specificamente delineate le ragioni di censura alla pronuncia censurata.

Dall’esame dei suddetti profili, quindi, emerge che sia l’illustrazione del percorso processuale che l’oggetto della controversia che, infine, i diversi profili di fatto e di diritto relativi alla questione, sono stati sufficientemente delineati dalla ricorrente, consentendo a questa Corte di potere apprezzare e valutare gli specifici motivi di ricorso prospettati dalla ricorrente.

Sui motivi di ricorso principale

Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle dogane censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8, per avere erroneamente ritenuto che la merce importata rientrava tra i residui metallici per i quali è consentito il regime dell’inversione contabile.

In particolare, ha evidenziato che: la lavorazione sottesa alle metalline di galvanizzazione è un processo chimico, non meccanico e, proprio per tale ragione, non può, in questo caso, ritenersi che i prodotti in esame costituissero “rottami, cascami e avanzi di metalli”, come invece richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74;

la merce importata, classificata secondo la voce 2620 della TARIC, non poteva essere fatta rientrare tra quelle cui fa specifico riferimento il citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8.

Con il secondo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 70, per avere erroneamente ritenuto che nessuna pretesa poteva essere fatta valere nei confronti della contribuente, avendo comunque la stessa assolto all’Iva mediante le operazioni previste in caso di applicazione del regime dell’inversione contabile.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono infondati alla luce delle considerazioni di seguito esposte.

Va precisato che è pacifico tra le parti che la contestazione dell’ufficio ha riguardato la ritenuta non corretta applicazione del regime dell’inversione contabile relativamente all’acquisto di merci di provenienza svizzera, posto che lo stessa non rientrava nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, commi 7 e 8, la quale prevede l’applicazione del suddetto regime unicamente per determinati beni, fra i quali non potevano farsi rientrare quelli importati dalla contribuente.

A tal proposito, la sentenza censurata ha dato atto del fatto che la società contribuente aveva assolto agli obblighi conseguenti alla ritenuta applicabilità del regime dell’inversione contabile, ed ha, poi, valutato se i beni importati potevano essere ricondotti nell’ambito di applicazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74.

E’ in questo contesto, quindi, relativo alle operazioni di acquisto di beni da un soggetto estero ed in cui la società contribuente ha applicato il regime dell’inversione contabile, che viene contestata dall’Agenzia delle dogane la non corretta applicazione del suddetto regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74.

Sul punto, va osservato che la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, prevede una deroga alla disciplina ordinaria del regime di assolvimento dell’Iva, stabilendo l’applicazione del regime dell’inversione contabile per: a) le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi; b) per le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi di cui alle voci della tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 2003 specificamente indicate; c) nonchè per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi di cui alle voci della tariffa doganale comune vigente al 31 dicembre 1996, specificamente indicati.

La disciplina in esame, in realtà, trova applicazione nell’ambito delle operazioni interne, poichè costituisce una deroga al principio generale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1, secondo cui l’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili.

Tuttavia, la vicenda in esame si colloca su un piano diverso rispetto a quella posta a fondamento della pretesa fatta valere con gli avvisi di rettifica oggetto di giudizio.

Va infatti evidenziato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 2, prevede che “Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’art. 7-ter, comma 2, lett. b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti”.

La suddetta disposizione normativa, quindi, ha stabilito l’applicazione obbligatoria del meccanismo della inversione contabile, in deroga ai criteri generali previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1 prevedendo che, nel caso di cessione o di prestazione di servizi non interna, il debitore dell’imposta non è, come di regola avviene, il cedente o prestatore, bensì il cessionario o committente, cui quindi è imposto l’obbligo di assolvimento all’Iva mediante un regime diverso da quello ordinario.

Invero, secondo la previsione in esame, l’Iva relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia, rese da soggetti non residenti deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, se soggetto passivo stabilito in Italia, mediante il regime dell’inversione contabile.

Pertanto, non correttamente è stata presa in considerazione, nella presente fattispecie, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, che, come detto, costituisce una deroga al regime ordinario di assolvimento dell’Iva nell’ambito delle operazioni interne allo Stato, dovendosi, invece, ritenere applicabile il regime dell’inversione contabile per le operazioni di acquisto di beni da parte di un soggetto passivo gli italiano da operatore non residente. Sotto tale profilo, non assume rilevanza la questione se la merce importata rientrava fra quelle per le quali soltanto è prevista l’applicazione dell’inversione contabile dalla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7, essendo invece rilevante, quale fatto pacifico tra le parti, la circostanza che la stessa aveva applicato il regime dell’inversione contabile sulle operazioni di acquisto da soggetto non residente.

I motivi di ricorso in esame, quindi, operano una non corretta prospettazione di ragioni di censura alla pronuncia in esame che, sebbene per diverse motivazioni rispetto a quelle ora precisate, ha ritenuto non legittima la pretesa atteso che la contribuente aveva assolto al pagamento dell’Iva mediante l’applicazione del regime di inversione contabile.

Sul motivo di ricorso incidentale

Le considerazioni espresse in ordine ai motivi di ricorso principale hanno valore assorbente del motivo di ricorso incidentale condizionato proposta dalla controricorrente, con il quale la società censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle dogane.

In conclusione, i motivi di ricorso principale sono infondati, assorbito il ricorso incidentale, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento ed accessori.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 ottobre 2019

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