Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25496 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, (ud. 04/10/2016, dep.13/12/2016),  n. 25496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28674/2012 proposto da:

C.B., M.A.C., (OMISSIS), elettivamente

in ROMA, P.ZZA DI VILLA CARPEGNA 43, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO DE PROPRIS, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato EUGENIO DE PROPRIS giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1150/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.R. convenne in giudizio i coniugi M.A.C. e C.B. per esercitare i riscatto agrario di un fondo di cui era affittuario coltivatore diretto e che assumeva essere stato venduto ai convenuti in violazione del diritto di prelazione ad esso spettante.

I convenuti resistettero, contestando che l’attore – dipendente comunale – possedesse i requisiti per l’esercizio del riscatto.

Il Tribunale di Avezzano rigettò la domanda.

La sentenza è stata riformata dalla Corte di Appello de L’Aquila, che ha riconosciuto sussistenti i requisiti per il riscatto anche a fronte di un’attività di coltivazione diretta non esercitata professionalmente.

Ricorrono per cassazione il M. e la C., affidandosi ad un unico articolato motivo; il resistente non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31, in relazione alle norme di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 31, L. n. 817 del 1971, nonchè all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 e 116 c.p.c..

Assumono i ricorrenti che la coltivazione del fondo rilevante ai fini del riconoscimento della prelazione deve tendere alla produzione di un reddito e alla commercializzazione del prodotto e che ciò “implica la formazione di una impresa agricola … idonea ad assicurare … una produzione annuale media pari almeno alla retribuzione annuale di un salariato fisso comune occupato in agricoltura”, mentre non sarebbe sufficiente una coltivazione che soddisfi i soli bisogni della famiglia.

1.1. A prescindere dalla genericità del motivo (giacchè i ricorrenti non correlano le violazioni delle norme indicate nel titolo del motivo a specifiche affermazioni in iure compiute dalla Corte di merito, ma propongono una complessiva ricostruzione della normativa volta a negare la ricorrenza delle condizioni per l’esercizio del riscatto), il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., in quanto la sentenza ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e le censure non offrono elementi per mutare l’orientamento della stessa.

Intatti, la Corte in merito ha fatto applicazione dei consolidati principi di legittimità che ritengono sufficiente l’esercizio abituale (ancorchè non professionale) dell’attività di coltivazione diretta (cfr. Cass. n. 2019/2011: “la qualifica di coltivatore diretto, in relazione al requisito della coltivazione abituale previsto dalla L. 26 gennaio 1965, n. 590, art. 31, in linea generale e, quindi, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto, può essere attribuita anche a chi svolge altra attività lavorativa principale, poichè non è richiesto che l’attività di coltivazione sia esercitata professionalmente ovvero in modo tale che costituisca la principale fonte di reddito del soggetto, risultando sufficiente che sia abituale, intendendosi questo requisito quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l’attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attività un reddito, anche se secondario” conforme Cass. n. 1107/2006) ed ha riconosciuto il diritto al riscatto a fronte dell’accertamento che l’affittuario – ancorchè dipendente comunale – aveva coltivato il terreno (di modesta estensione) in modo stabile e continuativo, prevalentemente col lavoro proprio e della famiglia e percependo dalla coltivazione un reddito, pur se secondario.

2. In difetto di attività difensiva da parte dell’intimato, non deve provvedersi sulle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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