Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25494 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. II, 21/09/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12551-2016 proposto dal:

MINISTERO dell’INTERNO, e PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO

di ANCONA, in persona del Ministro e del Prefetto pro-tempore,

rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 sono

domiciliati;

– ricorrenti –

contro

P.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 920/2015 del TRIBUNALE di FERMO pubblicata il

12/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/03/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Polizia Municipale del Comune di Senigallia, nell’anno (OMISSIS), elevava tre verbali di accertamento per altrettante violazioni dell’art. 7, commi 9/14 C.d.S. e dell’art. 157C.d.S. nei confronti di P.N., proprietario della vettura Lancia Tesis tg. (OMISSIS), avverso i quali proponeva i ricorsi alla competente Prefettura, che li respingeva ingiungendo il pagamento a titolo di sanzione pecuniaria per ciascuna delle infrazioni contestategli.

Avverso le ordinanze della Prefettura il P. proponeva altrettanti ricorsi innanzi al Giudice di Pace di Fermo, che, disposta la riunione delle tre cause, con sentenza n. 91/2015, li accoglieva, mancando la prova circa la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, in quanto il ricorrente non incorreva nelle violazioni contestate per negligenza, ma per obiettive difficoltà determinate dalla scarsa conoscenza del luogo, nonché dal prolungarsi dell’impegno professionale che non consentiva di assentarsi.

Contro tale sentenza proponeva appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Ancona, rilevando l’omessa pronuncia del Giudice di Pace sull’eccezione di incompetenza per territorio (asseritamente in favore del Giudice di pace di Senigallia) e l’arbitrarietà delle conclusioni cui lo stesso giudicante era pervenuto in punto di non colpevolezza delle condotte dell’appellato.

Si costituiva in giudizio l’appellato, il quale chiedeva la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza n. 920/2015, depositata in data 12.11.2015, il Tribunale di Fermo dichiarava inammissibile l’appello per assenza di specificità dei motivi.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno e la Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Ancona sulla scorta del seguente motivo. L’intimato P.N. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. c) bis convertito dalla L. n. 134 del 2012 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, giacché il Tribunale di Fermo ha optato per una lettura particolarmente formalistica e rigorosa del disposto dell’art. 434 c.p.c. in punto di redazione dei motivi d’appello; l’impostazione è seguita da una parte della giurisprudenza di merito che ha ritenuto come, mediante la nuova formulazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., l’introduzione del giudizio d’appello debba avvenire con modalità tali da consentire al Giudice di cogliere nel modo più rapido e semplice le questioni sottoposte alla sua cognizione.

1.1. – Il motivo è fondato.

1.2. – Già con riguardo all’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, ai sensi dell’art. 54, commi 2 e 3-bis di detto D.L.), questa Corte (ex plurimis, Cass. sez. un. 3033 del 2013) sottolineato che l’originario connotato di novum iudicium del processo d’appello (disciplinato dal codice di rito del 1865), notevolmente attenuato nel nuovo codice del 1940 dalle disposizioni contenute negli artt. 342,345 e 346 c.p.c. a seguito delle profonde modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, non è più riscontrabile nell’attuale processo civile, nel cui ambito il giudizio di secondo grado costituisce una revisio prioris instantiae, incanalata negli stretti limiti devoluti con i motivi di gravame – ha ribadito che, nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata. In sostanza (Cass. sez. un. 28498 del 2005), l’appello deve puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti dalla sentenza di appello (Cass. sez. un. 28498 del 2005). Pertanto, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto, nell’atto di appello deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (Cass. sez. un. 23299 del 2011; nonché, Cass. n. 4068 del 2009; Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 12280 del 2016). Al fine quindi di verificare la corretta applicazione della norma in esame, si deve ribadire che non si rivela sufficiente il fatto che l’atto d’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza (come nella specie), che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con idoneo grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. sez. un. 16 del 2000; Cass. sez. un. 28498 del 2005).

Da ciò, la affermata inammissibilità dell’atto di appello redatto in modi non rispettosi dell’art. 342 codice di rito (Cass. sez. un. 16 del 2000, cit.), che va tuttavia applicato senza inutili formalismi e senza richiedere all’appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, Cass. 12984 del 2006; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 25588 del 2010; Cass. n. 22502 del 2014; Cass. n. 18932 del 2016; Cass. n. 4695 del 2017).

Tali principi hanno trovato conferma anche nelle sentenze delle Sezioni unite n. 28057 del 2008 e n. 23299 del 2011); nonché da ultimo (con riferimento agli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo certamente più rigoroso, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, e convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel giudizio de quo) in Cass. sez. un. 27199 del 2017, che – in coerenza con la regola generale per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (Cass. n. 10916 del 2017); e non trascurando che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Cass. n. 10878 del 2015; sent. CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia) – ha enunciato il seguente principio di diritto: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (conf. Cass. n. 4462 del 2019; Cass. n. 13535 del 2018).

1.3. – A tali principi il Tribunale s’e’ sottratto, privilegiando una non corretta, formulazione del motivo di appello, secondo canoni che esplicitamente non rispettano i principi di diritto analiticamente formulati da questa Corte di legittimità.

2. – Il ricorso va dunque interamente accolto; va cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa al Tribunale di Fermo, diverso giudicante, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Fermo, diverso giudicante, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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