Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25492 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. II, 21/09/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16209-2016 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Emanuele

Filiberto N 166, presso lo studio dell’avvocato Antonio Corvasce,

rappresentato e difeso dall’avvocato Pasquale Nasca;

– ricorrente –

contro

M.A., M.M., M.S.,

M.C.D., M.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Cremera 11, presso lo studio dell’avvocato Domenico Di Vito,

rappresentati e difesi dall’avvocato Luigi Attilio Cosentino;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 460/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 19/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/03/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il sig. G.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari che ha rigettato il di lui gravame nei confronti della sentenza non definitiva n. 902 del 2006 e avverso la sentenza n. 209 del 2011 emesse dal Tribunale di Trani nell’ambito del contenzioso che egli aveva instaurato con atto di citazione nel 1995;

– il G. aveva infatti convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Trani la sorella G.M. articolando la domanda di scioglimento della divisione dell’eredità secondo la disciplina della successione legittima, previa nullità del testamento in forma pubblica datato 24 luglio 1990 e del contratto concluso nella medesima data tra il defunto padre G.S. e la sorella M. con il marito M.G., avente ad oggetto il trasferimento a questi ultimi della nuda proprietà della metà indivisa dell’immobile sito in (OMISSIS) in cui abitava il padre, in cambio dell’assunzione dell’obbligo di assistenza materiale ed economica per il resto della vita e di coabitazione;

– per quanto ancora qui rileva, la domanda di annullamento del testamento, dapprima respinta dal tribunale con sentenza non definitiva, era poi accolta in secondo grado con sentenza della Corte d’appello di Bari n. 72/2000, passata in giudicato a seguito di rigetto (con sentenza di questa Corte n. 2383/2003) del ricorso in cassazione proposto dall’originaria convenuta;

– sulle domande residue il tribunale statuiva con sentenza non definitiva n. 902 del 2006 con cui in particolare rigettava la domanda di nullità del trasferimento della nuda proprietà motivando che il contratto de quo, qualificato come vitalizio assistenziale, non poteva dichiararsi nullo poiché l’attore non aveva allegato la mancanza di elementi che ne implicassero la validità; osservava inoltre che la allegazione di violazioni degli obblighi assunti con esso non era stata accompagnata da una domanda di risoluzione per inadempimento; con riguardo alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria originata dalla successione legittima, applicabile all’esito dell’annullamento del testamento, il tribunale con la sentenza definitiva n. 209 del 2011 provvide alla attribuzione dei beni costituenti la massa come risultanti per effetto del rigetto della domanda di nullità dell’atto di trasferimento ed in accoglimento della domanda riconvenzionale di collazione svolta dalla convenuta;

– G.R. ha appellato sia la sentenza non definitiva, riguardante il vitalizio assistenziale, che quella definitiva, riguardante lo scioglimento della comunione ereditaria;

– la Corte d’appello di Bari ha respinto l’impugnazione principale con assorbimento dell’appello incidentale condizionato di G.M., motivando l’infondatezza delle censure in quanto fondate sul presupposto erroneo in diritto della fungibilità del petitum e causa petendi dell’azione di nullità, di annullamento e di risoluzione ed osservando, al contrario, che il giudice di prime cure era vincolato alla domanda di nullità spiegata da G.R. nei termini formulati nella citazione e rispetto ai quali il rigetto si giustificava per difetto di allegazione prima ancora che di prova;

– la corte territoriale ha altresì respinto l’impugnazione riguardante il mancato riconoscimento del diritto dell’appellante G. sull’uso esclusivo dello stanzino sul terrazzo oggetto di una scrittura fra il padre ed i germani G., così come l’appello riguardante la domanda di restituzione dei canoni perché, rispettivamente, la prima non oggetto della domanda di divisione e la seconda per essere inammissibile in quanto tardivamente formulata nella memoria di replica ex art. 184 c.p.c.;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta da G.R. sulla base di tre motivi cui resistono con controricorso G., C.D., M., A. e M.S. in qualità di eredi universali di G.M. deceduta nel corso del giudizio d’appello.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice d’appello omesso la valutazione in concreto del contenuto della domanda attorea e dei motivi di impugnazione proposti avverso le statuizioni della a sentenza di prime cure;

– assume il ricorrente che l’atto introduttivo del giudizio e quelli successivi contenevano gli elementi di fatto utile ai fini della qualificazione della domanda che, sebbene formalmente proposta in termini di nullità, avrebbe dovuto essere valutata dal giudice nel suo effettivo contenuto, dal momento che il giudice non è vincolato dalla qualificazione giuridica dei fatti allegata dalle parti, con l’unico limite che la sua interpretazione non si spinga oltre a configurare una domanda radicalmente difforme dal petitum e dalla causa petendi;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

-sostiene il ricorrente che la corte d’appello abbia omesso la motivazione sull’impugnazione da lui proposta ed avente ad oggetto la affermazione del giudice di prime cure secondo il quale non era dato di ravvisare nelle prospettazione attorea quale elemento essenziale del contratto sarebbe manchevole si da giustificare l’invocata nullità;

– in realtà, assume il ricorrente, l’elemento manchevole dedotto era l’alea, essenziale per la validità del contratto di vitalizio assistenziale, così qualificato l’accordo intervenuto tra G.M., il marito ed il padre, il quale all’epoca della redazione dell’atto aveva già compiuto 80 anni ed era malato da tempo; tanto più, prosegue il ricorrente, che in pari data il padre aveva fatto testamento in favore della medesima figlia;

– ed era proprio l’intervenuta pronuncia di annullamento del testamento effettuato nella stessa data e la circostanza che la sorella aveva ottenuto un testamento in suo favore perché impegnatasi a prestare assistenza che non era stato tenuto presente dal giudice d’appello;

– in altre parole deduce il ricorrente che la corte non aveva adeguatamente considerato che l’annullamento del testamento era avvenuto per dolo della sorella M. essendo stata ritenuta decisiva la circostanza concomitanza della stipula dell’atto di trasferimento oneroso nonché la condotta successiva della G. medesima che nonostante gli obblighi di assistenza assunti verso il padre allorché le condizioni di salute di quest’ultima peggiorarono si liberò dello stesso facendolo ricoverare presso una casa di riposo e promuovendone un giudizio di interdizione all’insaputa del fratello;

– i primi due motivi che attingono, seppure sotto distinti profili la medesima statuizione di rigetto della domanda di nullità, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati;

– la corte territoriale, nonostante le precise allegazioni dei fatti costitutivi (come sopra richiamati nella descrizione delle censure; si veda in particolare pag. 16 del ricorso ove sono riportati alcuni passaggi dell’atto di appello) e degli accertamenti contenuti nella sentenza della Corte d’appello n. 72/2000, passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso in cassazione proposto da G.M. con la sentenza 2383/2003 di questa Corte, non ha assolto al dovere di esaminare compiutamente ed qualificare in termini diversi la domanda proposta da G.R.;

– a fronte degli elementi di fatto dallo stesso forniti e valorizzati nella pronuncia passata in giudicato, la corte territoriale si è limitata a due brevi frasi con cui argomentare l’infondatezza (cfr. pag. 8 della sentenza, cpv. 5 e 6), trascurando di considerare il potere del giudice di qualificare la domanda e le risultanze di fatto ricollegate al giudicato formatosi sull’accolta domanda di annullamento del testamento; a tale lacuna porrà rimedio il giudice del rinvio;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte d’appello acriticamente confermato la decisione di primo grado là dove aveva ritenuto tardivamente formulata la domanda di inclusione dei canoni di locazione versati alla convenuta dal conduttore di un appartamento facente parte dell’asse ereditario nel periodo dall’aprile 1994 all’agosto 2003;

– assume il ricorrente che la domanda di divisione comprenderebbe anche i frutti percepiti dalla convenuta dopo l’apertura della successione e fino alla divisione comprendendo così inequivocabilmente anche la domanda di rendiconto;

– il motivo è infondato;

– costituisce consolidato principio che la domanda di conguaglio in relazione ai frutti prodotti dai cespiti ereditari, asseritamente percetti in misura non proporzionale alle quote da parte di alcuni dei coeredi rispetto ad altri, deve essere proposta non nell’ambito della domanda relativa alla divisione ed ai conseguenti conguagli divisionali, bensì, sia pure contestualmente, con una distinta ed autonoma domanda di rendiconto (cfr. Cass. 9659/2000; id.4364/2002; id. 10892/2013);

– poiché la censura del ricorrente configura, al di là del formale richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’error in procedendo di omessa pronuncia, dal riscontro degli atti del giudizio, consentito alla luce del prospettato vizio processuale (cfr. Cass.20716/2018), e in particolare dalla citazione, si evince che una distinta ed autonoma domanda di rendiconto non è stata articolata da G.R.;

– in conclusione, a seguito dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso la sentenza impugnata va cassata in relazione ad essi con rinvio alla Corte d’appello di Bari che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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