Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25491 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. II, 21/09/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 21/09/2021), n.25491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14380-2016 proposto da:

B.F., B.G., A.R.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MARIA MONTESSORI 25, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO RUZZA, rappresentati e difesi dagli avvocati

SONDRA GIANINO, GIOVANNI ARCIFA;

– ricorrenti –

contro

V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE,

104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato UGO ANTONINO SALANITRO;

DUSTY IMMOBILIARE SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO-TEMPORE,

DUSTY SRL IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO-TEMPORE, elettivamente

domiciliati in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio

dell’avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONIO DRAGO, GIANCLAUDIO TRIBULATO;

– controricorrenti –

contro

B.M., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 462/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 18/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

per quel che ancora residua d’utilità, che il giudizio incoato da B.L., P.L. e P.R., comproprietari di un compendio immobiliare, nei confronti degli altri contitolari e dei creditori ipotecari, venne definito dal Tribunale di Catania con sentenza del 28/6/2002 dichiarativa della cessazione della materia del contendere, su istanza di tutte le parti, le quali avevano prodotto in giudizio una scrittura privata tra loro intervenuta in data 3/6/1999 e registrata il 14/2/2000, qualificata dal Tribunale transazione e contestuale divisione, “la cui validità non è stata posta in dubbio da alcuno, mentre non risulta essersi avverata la condizione risolutiva di cui all’art. 6 della predetta scrittura” (la clausola in parola, come si trae dal contratto versato in atti dai ricorrenti, disponeva nei termini seguenti: “L’efficacia della presente divisione resta comunque risolutivamente condizionata all’adempimento da parte di P.L., P.R., P.M., B.L., B.M. dell’obbligo di estinguere le esposizioni debitorie anzidette”);

che il Tribunale, con successiva sentenza del 3/10/2011, sempre per quel che ancora conserva utilità, rigettò la domanda con la quale B.G., A.R.M. e B.F. avevano chiesto, previo accertamento dell’avveramento della condizione risolutiva, d’inefficacia della predetta transazione e dei successivi atti dispositivi e del persistere della comproprietà in capo agli originari comunisti, condannare B.L. all’adempimento del mandato ricevuto e al risarcimento del danno;

che la Corte d’appello di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione proposta da B.G., A.R.M. e B.F., assumendo sussistere preclusione da giudicato sull’accertamento della mancanza d’interesse, presupposto della declaratoria di cessazione della materia del contendere;

che gli appellanti ricorrono sulla base di sei motivi avverso la sentenza d’appello e che, con distinti controricorsi, resistono V.F. e Dusty s.r.l. unitamente a Dusty Immobiliare srl;

Diritto

OSSERVA

con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:

– il Tribunale, con la sentenza del 2002, si era limitato a prendere atto, senza effettuare accertamento di sorta, che al momento della decisione la condizione risolutiva non risultava essersi avverata;

– mancava, pertanto, una decisione capace di acquisire efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., a riguardo della pretesa fatta valere, con la conseguenza che la domanda nuova diretta all’accertamento dell’inefficacia “ex tunc” del contratto non era preclusa;

– aveva errato la Corte etnea nel reputare che non sussistesse l’interesse ad agire, trattandosi della medesima domanda definita con la pronuncia di cessazione della materia del contendere, vertendosi, invece, in ipotesi di nuova domanda, con la quale si era impugnata l’efficacia della scrittura del 3/6/1999, per il sopraggiunto verificarsi della condizione risolutiva “sine die”, in epoca successiva alla dichiarazione di mancanza d’interesse, costituente fatto nuovo;

considerato che l’esposto complesso censuratorio deve essere accolto:

a) le S.U. con la sentenza n. 1048/2000, sedando conflitto interpretativo, manifestatosi, in specie, in seno alla Sezione Lavoro di questa Corte, preso atto della formula pretoria della “cessazione della materia del contendere”, che sin dagli anni Sessanta del secolo scorso aveva trovato accoglienza in sede di legittimità, scontata la consapevolezza della irrisolvibile ambivalenza alla quale conduceva l’epilogo che faceva derivare dalla sopraggiunta mancanza d’interesse il venir meno di una delle condizioni dell’azione (seguendo tale ultima impostazione, infatti, il processo avrebbe dovuto essere definito con il rigetto della domanda del litigante vittorioso, soddisfatto in corso di causa), enunciarono il principio (consolidatosi nel successivo ventennio) secondo il quale la pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale; alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passati in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (con l’ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa) – Rv. 541106, in senso conf., ex multis, Cass. nn. 64/2001, 147/2001, 9332/2001, 1002/2001, 13401/2001, 15361/2001, 10997/2002, 11429/2002, 12090/2002, 3122/2003, 10042/2003, 4714/2006, 12887/2009, 7185/2010;

b) ne deriva che il giudice, davanti alla concorde dichiarazione dalle parti, le quali manifestino la perdita d’interesse alla definizione giudiziale della contesa, non può che prenderne atto, senza che gli sia consentito compiere ulteriori accertamenti; con la conseguenza che, fermo restando il giudicato in ordine all’aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (in ordine a tale profilo, incombe sulla parte, la quale reputi che il giudice abbia erroneamente dichiarato la cessazione della materia del contendere, l’onere d’impugnare la decisione), la pretesa fatta valere in giudizio, ove, secondo la prospettazione, quell’interesse riemerga, non viene coperta dal giudicato;

considerato che restano assorbiti il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, con i quali i ricorrenti, rispettivamente, allegano violazione dell’art. 1350 c.c., n. 5, assumendo di non avere giammai rinunziato per iscritto all’apposta condizione; l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, che individuano nella mancata presa in esame da parte della Corte locale della circostanza che le parti non erano addivenute all’atto pubblico di divisione avente il medesimo contenuto del negozio; l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, “per avere la Corte di Appello ritenuto, omettendo ogni motivazione, (error in iudicando) ignorando e/o travisando il petitum, che la domanda formulata dagli odierni ricorrenti fosse supportata dal medesimo interesse ad agire (“reviviscenza” di quell’interesse ad agire) ormai estinto e precluso dal passaggio in giudicato della sentenza 2487/2002″; l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per non avere la sentenza impugnata preso in esame la circostanza che la transazione con divisione venne trascritta, unitamente alla sentenza del 2002, con annotazione della condizione risolutiva;

considerato che in ragione di quanto esposto la sentenza deve essere cassata con rinvio e che appare opportuno rimettere al Giudice del rinvio anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo e il secondo motivo e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania, altra composizione.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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