Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25491 del 13/12/2016

Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, (ud. 27/09/2016, dep.13/12/2016),  n. 25491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 23995-2013 proposto da:

D.V., (OMISSIS), Z.T., Z.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIANGIACOMO PORRO 8, presso

lo studio dell’avvocato SIMONA CAPRIOLO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO RIGHINI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), INA ASSITALIA

SPA, ASSICURAZIONI GENERALI SPA;

– intimati –

Nonchè da:

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, in persona del

procuratore Avv. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO

VINCENTI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA ERCOLANI giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

Z.T., MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS),

D.V. (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), in persona del

ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende per legge;

– ricorrente incidentale –

contro

Z.T., D.V. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 623/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato SIMONA CAPRIOLO;

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale assorbito quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2003, Z.T. e D.V., quali genitori esercenti la potestà sulla minore Z.G., convennero in giudizio il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, per ottenere la condanna al risarcimento del danno, indicato nella misura di Euro 50.000,00, patito dalla minore in conseguenza dell’infortunio occorsole nel (OMISSIS), all’interno della scuola materna che frequentava. Esposero che la minore, mentre si recava, su invito dell’insegnante, a riporre il proprio materiale da disegno in un armadietto situato nel corridoio fuori della classe, era stata travolta violentemente da un altro bambino, particolarmente vivace e robusto, anch’esso affidato alla stessa insegnante, riportando una frattura scomposta all’ulna sinistra con fuoriuscita di midollo. La bambina era stata quindi sottoposta ad intervento chirurgico con conseguente ingessatura, cui era seguita una lunga malattia all’esito della quale erano residuati postumi invalidanti. Gli attori dedussero la responsabilità dell’amministrazione convenuta sia ai sensi dell’art. 2048 c.c., in quanto il bambino che aveva travolto G. era sottoposto alla vigilanza della medesima insegnante, sia ex art. 1218 c.c., rilevando l’inadeguatezza degli ambienti scolastici che non consentivano di sorvegliare efficacemente gli alunni che si recavano nel corridoio. In subordine, chiesero l’applicazione dell’art. 2043 c.c., per aver l’insegnante omesso il controllo sulla condotta di un bambino particolarmente vivace.

Si costituì il Ministero, contestando la prospettazione attorea in fatto ed in diritto. Si difese osservando che la responsabilità contrattuale era configurabile solo nella diversa ipotesi di danno autoprocuratosi dal minore e che il fatto non era riconducibile neppure all’omissione di vigilanza ai sensi dell’art. 2048 c.c. in considerazione del carattere imprevedibile e inevitabile dell’evento, verificatosi nel corso di una regolare attività didattica, alla presenza dell’insegnante, in condizioni tali che non lasciavano prevedere che la bambina avrebbe potuto cadere e farsi male. Chiese quindi il rigetto della domanda e, in subordine, l’autorizzazione a chiamare in causa la compagnia di assicurazione Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.

Autorizzata la chiamata in causa, si costituì pure la compagnia di assicurazione, contestando la responsabilità del Ministero sia sotto il profilo dell’art. 2048 c.c. (mancando la prova del fatto illecito dell’allievo, non configurabile essendosi trattato di contatto accidentale tra i due alunni), sia sotto il profilo della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. (neppure astrattamente configurabile), sia sotto il profilo dell’art. 2043 c.c. (mancando la prova del fatto illecito dell’insegnante, non sussistente in considerazione del carattere improvviso, imprevedibile ed inevitabile dell’evento, del tutto accidentale). La compagnia di assicurazioni contestò anche nel quantum la fondatezza della pretesa attorea.

Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 2933/2009, rigettò la domanda, escludendo la configurabilità in capo all’Amministrazione convenuta sia di un’ipotesi di responsabilità contrattuale, ravvisabile solo in caso di danni autoprodotti dal minore, sia di responsabilità ai sensi dell’art. 2048 c.c. e dell’art. 2043 c.c., in quanto il fatto dannoso, imprevedibile ed inevitabile, era avvenuto in un contesto calmo e disciplinato, che non richiedeva l’adozione di particolari cautele.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 623/2013 dell’8 maggio 2013. A differenza del giudice di prime cure, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministrazione scolastica una responsabilità di tipo contrattuale, non essendo tale forma di responsabilità limitata all’ipotesi di danno autodeterminato dallo stesso minore.

La Corte ha tuttavia rigettato la domanda di risarcimento per la mancanza di prova in ordine al quantum della pretesa.

3. Avverso tale decisione, propongono ricorso in Cassazione i signori Z. e D., sulla base di due motivi, illustrati con memoria.

3.1 Resistono, con controricorsi e ricorsi incidentali autonomi, la compagnia Generali Italia S.p.a. (titolare di tutte le posizioni giuridiche derivanti dalla polizza assicurativa con il Ministero) e il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca.

3.2. Nelle more, si costituisce in giudizio Z.G., divenuta maggiorenne.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. I ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

4.1. Preliminarmente va analizzata l’eccezione di inammissibilità – improcedibilità del ricorso formulata Generali Italia S.p.a., sia perchè i ricorrenti allegano una serie di documenti senza fornire la prova della corrispondenza a quelli prodotti in primo grado, sia perchè non formulano uno specifico motivo di ricorso avverso la motivazione della sentenza con cui la Corte di Appello afferma di non aver rinvenuto agli atti il fascicolo di primo grado dei signori Z. e D..

L’eccezione è infondata.

Osserva innanzitutto la Corte che la violazione del divieto, stabilito dell’art. 372 c.p.c., di produrre nuovi documenti nel giudizio di cassazione (fatta eccezione per ” quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso…”) comporta l’inammissibilità non già del ricorso, come affermano i resistenti, ma solo della produzione documentale effettuata in violazione della norma.

Peraltro, in questo caso la violazione è insussistente. Infatti, il divieto di cui all’art. 372 c.p.c. non riguarda gli atti e documenti già facenti parte del fascicolo di ufficio e/o di un fascicolo di parte di un precedente grado del processo; con la conseguenza che qualora una parte produca in cassazione una copia di un atto o documento assumendo che ha fatto parte del fascicolo di ufficio e/o di un fascicolo di parte di un precedente grado del processo, la sussistenza di un siffatto assunto è sufficiente perchè la produzione non possa essere considerata senz’altro inammissibile nel giudizio di legittimità, ma vada invece presa in esame (Cass. 2482/1998; Cass. 570 del 22/01/1998), restando peraltro ovviamente impregiudicata ogni questione in ordine al fatto che abbia effettivamente fatto parte di uno dei predetti fascicoli (cfr. Cass., sez. 3, 15148/2000).

Inoltre, non sussisteva in capo ai ricorrenti alcun onere di impugnare specificamente il passaggio della sentenza con cui la Corte di Appello rileva che il fascicolo di primo grado degli appellanti non è presente agli atti, circostanza ammessa dagli stessi ricorrenti e che non costituisce motivazione.

5.1. Ricorso Principale.

Con il primo motivo, i ricorrenti principali deducono la “violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.”.

Si dolgono che la Corte di Appello avrebbe erroneamente respinto la richiesta degli appellanti diretta ad ottenere una consulenza tecnica di ufficio per la liquidazione dei danni perchè quando ci si trova di fronte a fatti rilevabili solo con il ricorso a cognizioni tecniche, come, nel caso di specie, la consulenza tecnica costituirebbe un mezzo di prova e pertanto il giudice non potrebbe rifiutarne l’ammissione deducendo il mancato assolvimento dell’onere della prova.

Inoltre, i ricorrenti avrebbero comunque assolto all’onere di allegazione e di prova su di loro gravante illustrando, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio, il tipo di lesione subita dalla minore (“frattura scomposta all’ulna sinistra con fuoriuscita del midollo”) e l’ulteriore paci del quale viene richiesto il risarcimento (“seguì una lunga malattia”); facendo puntuale riferimento alla documentazione medica allegata al medesimo atto di citazione (in particolare alla relazione medico legale che specificava che Giorgia aveva subito un’invalidità permanente pari all’8% e un’invalidità temporanea del 100% per 90 gg. e parziale per 60 gg.); quantificando il risarcimento richiesto, almeno in via orientativa, nelle conclusioni del suddetto atto di citazione.

Ed in ogni caso lamentano che la Corte di appello, di fronte al mancato rinvenimento al momento della decisione del fascicolo di primo grado degli appellanti, avrebbe dovuto disporne d’ufficio la ricostruzione.

5.2. Con il secondo motivo, si lamenta la “nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per contraddittorietà della motivazione”.

La Corte sarebbe incorsa nel vizio di motivazione in quanto, da un lato, non ha disposto indagini tecniche, dall’altro lato, ha respinto la domanda perchè non risultavano provati i fatti che avrebbero potuto essere accertati solo con l’impiego di conoscenze tecniche.

I due motivi censurano, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la mancata ammissione, da parte del Giudice del merito, di una c.t.u. medico-legale. Sono entrambi infondati.

La Corte osserva che è esatto affermare che la consulenza tecnica può avere funzione “percipiente” (quando si verte su elementi allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, O: Cass. n. 30175/2011; Cass. n. 6155/2009; Cass. n. 24620/2007).

In questo caso, però, è necessario il rispetto dei termini di decadenza propri dell’istruzione probatoria, visto che l’attività acquisitiva di dati rilevanti partecipa di tale fase processuale, non potendo essere ricondotta, per definizione, alla mera funzione valutativa propria della ctu c.d. deducente, esperibile senza preclusioni anche in grado di appello (Cass. n. 20695/2013).

Nella specie, sono gli stessi ricorrenti ad ammettere la tardività dell’istanza, la quale sarebbe stata chiesta, in primo grado, “invece che nelle memorie redatte ad hoc”, all’udienza “del 24.6.2006, rinviata d’ufficio al 12.4.2007”, mentre nel giudizio di appello, sarebbe stata ribadita solo “in maniera implicita”, chiedendo alla Corte di riformare la decisione gravata “previamente disponendo ogni più idoneo mezzo istruttorio (cfr. p. 16 mem. Art. 378 c.p.c.).

Quanto alla documentazione medico-legale asseritamente presente nel fascicolo di primo grado dei ricorrenti, si osserva che legittimamente il giudice di appello ha deciso sulla base dei soli atti e documenti rinvenuti al momento dell’assunzione della deliberazione giudiziale.

Infatti, nell’ipotesi di smarrimento del proprio fascicolo e dei documenti in esso allegati, la parte è tenuta a richiedere al giudice il termine per la ricostruzione del fascicolo e a controllare, prima del passaggio in decisione della causa, che il fascicolo ricostruito sia depositato e allegato a quello di ufficio nel termine stabilito dall’art. 169 c.p.c. (Cass. n. 21937/2004).

Ebbene, nel caso in esame, i ricorrenti non danno atto di aver formulato tale istanza, nè risulta che gli stessi ricorrenti, in appello, abbiano mai anche solo allegato lo smarrimento del fascicolo.

6. Dal rigetto del ricorso principale deriva l’assorbimento di quelli incidentali.

7. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti i ricorsi incidentali. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore delle Generali Italia S.p.a. che liquida in Euro 2.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, ed in favore del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca in Euro 2.200,00, spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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