Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25490 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/10/2017, (ud. 09/06/2017, dep.26/10/2017),  n. 25490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso ricorso 28467-2015 proposto da:

M.G., M.A., MO.AL., M.R.,

MA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA, CIRC.NE

TRIONFALE 123, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI RENZO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GLAUCO ORSITTO;

– ricorrenti –

Contro

P.M., P.A., in proprio ed in qualità di eredi

di P.P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA G

AVEZZANA 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI,

rappresentate e difese dagli avvocati ANDREA VERONA e NINO

SCRIPELLITI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 790/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Preso atto che:

il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo l’infondatezza del ricorso, giusti i principi espressi da questa Corte con le sentenze n. 2211/93 e n. 5229/99.

La proposta del relatore è stata notificata alle parti.

Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.

Il Collegio:

premesso che:

M.G., Mo.Al., M.R., M.A., Ma.Gi. con ricorso del 27 novembre 2015 hanno chiesto a questo Corte di cassazione la cassazione della sentenza n. 790 del 2015 con la quale la Corte di Appello di Firenze dichiarava inammissibile la citazione con la quale si chiedeva la revoca della precedente sentenza n. 88 del 2005 della stessa Corte di Appello che aveva dichiarato l’usucapione a vantaggio degli attori (i sigg. P.) di specifici beni immobili, condannato i sigg. M. Ma. all’arretramento di una veranda coperta e all’eliminazione della sopraelevazione del tetto del loro fabbricato sino al rispetto della distanza di metri 10 dal fabbricato degli attori. La revoca della sentenza stata chiesta ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3. Dichiarava inammissibile la querela di falso presentata da M. e P.A., rigettava la domanda ex art. 96 c.p.c.. Secondo la Corte distrettuale, i sigg. M. Ma., che avevano chiesto la revoca della sentenza n. 88 del 2005 della Corte di Appello di Firenze, non avevano dato la prova dell’osservanza del termine di trenta giorni per proporre domanda di revocazione, decorrenti dalla data della scoperta dei documenti posti a fondamento della domanda e quindi della tempestività e dell’ammissibilità dell’impugnazione.

La cassazione della sentenza è stata chiesta per un motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 398 c.p.c., comma 2, artt. 325 e 326 c.p.c.. Violazioni tutte in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

P.M., P.A., in proprio e quali eredi di P.P. hanno resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Ritiene che:

1.= I ricorrenti sostengono che la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che la citazione per revocazione non rispondesse al disposto di cui all’art. 398, comma 2, non avendo indicato alcuna prova in ordine al giorno della scoperta o recupero dei documenti posti a fondamento della revocazione perchè non avrebbe tenuto conto che tale giorno (il giorno della scoperta) sarebbe coinciso necessariamente con quello del rilascio delle copie autentiche da parte degli uffici della Provincia di Lucca (11 marzo 2014) e che comunque tale data non era stata oggetto di alcuna contestazione da parte dei convenuti in revocazione. Non avendo i convenuti contestato la data di cui si dice ai sensi dell’art. 115 c.p.c. la data doveva essere considerata dimostrata e, di conseguenza, la domanda di revocazione del 9 aprile 2014 doveva esser considerata tempestiva.

1.1= Il motivo è infondato. Deve rilevarsi che l’impugnazione per revocazione, correlata, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 3, al recupero di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta a pena d’inammissibilità, a norma degli art. 325 e 326 c.p.c., entro trenta giorni dalla data dell’avvenuta scoperta dei documenti medesimi e l’onere della prova dell’osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell’ammissibilità dell’impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, a pena d’inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonchè del giorno della scoperta o del recupero del documento (Cass., n. 2211/93; Cass., n. 5229/99).

Ora, nel caso di specie, il giudice del merito, con giudizio ponderato e attento ai dati processuali, ha chiarito che la relativa prova di rilascio da parte della PA. dei documenti posti a fondamento della domanda di revocazione, era insufficiente a provare la data del recupero, posto che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3 (ritrovamento di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa forza maggiore o per fatto dell’avversario), il termine di impugnativa stabilito dall’art. 326 stesso codice decorre dal giorno in cui la parte abbia avuto notizia dell’esistenza del documento assunto decisivo, e non già dalla data di materiale apprensione del documento stesso.

D’altra parte, la prova relativa alla dimostrazione della data di verificazione dell’evento cui si correla la proposizione del gravame (art. 398 c.p.c., comma 2) deve essere particolarmente rigorosa, soprattutto, quando si tratti di documenti esistenti presso la Pubblica Amministrazione, a disposizione di chiunque abbia interesse a prenderne visione.

Sotto altro aspetto va qui osservato che è inconferente il richiamo al principio della “non contestazione” posto che la non contestazione riguarda fatti nella disponibilità e non anche fatti che devono ancora essere accertati.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza, condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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