Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25489 del 13/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, (ud. 27/09/2016, dep.13/12/2016),  n. 25489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23312-2013 proposto da:

COMUNE DI FORMIA, (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore Dott.

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MIGNACCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO DI RUSSO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., F.S. nella qualità di eredi di

F.A. e F.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LABICANA 92, presso lo studio dell’avvocato TESTA/CROCETTA,

rappresentati e difesi dagli avvocati GIANFRANCO TESTA, CARMINA

FORCINA giusta procure in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.G., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2385/2001 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/07/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato DOMENICO DI RUSSO;

udito l’Avvocato GIANFRANCO TESTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Formia ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 2 luglio 2001 e notificata in forma esecutiva al Comune di Formia in data 29 gennaio 2003, con la quale la Corte territoriale ha accolto l’appello proposto da P.G. e S.L. avverso la sentenza del Tribunale di Latina del 31 gennaio 1994 nei confronti del Comune di Formia e ha dichiarato il predetto Comune tenuto al risarcimento dei danni nei confronti degli appellati per la somma di Lire 280.000.000, con gli interessi come specificato in quella sentenza e con condanna dell’ente appellato alle spese del doppio grado del giudizio di merito in favore degli appellanti, ha rigettato l’appello proposto nei confronti di A. e F.L. e ha compensato tra questi ultimi e gli appellanti le spese di quel grado di giudizio.

Ha esposto il ricorrente di aver “avuto contezza” al riguardo di un “unico atto” denominato “ricorso al Presidente, già G.I., del Tribunale di Latina per la fissazione di udienza di prosecuzione di processo civile”, depositato il 4 dicembre 1984, da P.G. e S.L. e volto alla fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio introdotto nel 1979 e sospeso con ordinanza del 8 aprile 1982 nei confronti di F.L. e F.A. nonchè del Comune di Formia, avente ad oggetto il risarcimento dei danni quantificati in Lire 200.000.000 conseguenti alla mancata demolizione di un vecchio e fatiscente rustico di proprietà dei F., onere incombente su questi ultimi in virtù di un atto d’obbligo a loro firma presentata al Comune di Formia nel 1973 e in forza del quale avevano ottenuto le licenze edilizie nn. 1912 e 1913 del 1973, dirette all’edificazione di palazzi da tempo realizzati.

Ha dedotto altresì il ricorrente che il Tribunale di Latina aveva fissato l’udienza per la prosecuzione della causa dinanzi al G.I. e, nella contumacia del Comune di Formia, con sentenza del 31 gennaio 1994, aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta nei confronti del Comune di Formia, rigettato la domanda proposta nei confronti di A. e F.L., compensato le spese legali e ripartito quelle di c.t.u., per una metà a carico degli attori e per l’altra metà a carico dei F.. Avverso tale sentenza P.G. e S.L. avevano proposto gravame. L’atto di appello risultava notificato a mani di un funzionario del Comune ma con “la relata sbarrata e non sottoscritta dall’ufficiale giudiziario” nonchè al defunto avv. N.M., che non aveva ricevuto alcun incarico di difesa da parte del Comune, atto nella specie ricevuto dall’avv. Salvatore Diana, collega di studio dell’avv. (OMISSIS), come già detto ormai defunto. Tale atto di appello non era stato però iscritto a ruolo da nessuna delle parti del giudizio; gli originari attori avevano successivamente notificato atto di appello di riassunzione solo presso l’avv. (OMISSIS) come procuratore del Comune di Formia mentre a quest’ultimo ente non era stato notificato alcunchè e la Corte di merito, nella contumacia del Comune di Formia, aveva deciso la causa con la sentenza sopra riportata e depositata il 2 luglio 2001.

Il Comune di Formia ha pure rappresentato che “solo” con la notifica della predetta sentenza della Corte territoriale, effettuata all’ente in persona del sindaco in data 29 gennaio 2003, aveva appreso “dell’esistenza del processo” e che quando si era reso conto che la sua contumacia era involontaria era ormai decorso il termine breve per l’impugnazione ex art. 327 c.p.c., comma 2, sicchè aveva chiesto la revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c. ovvero la declaratoria di inesistenza del processo ma tale impugnazione era stata rigettata dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 19 giugno 2001 e il ricorso per cassazione avverso detta sentenza era stato rigettato da questa Corte con sentenza depositata in data 27 novembre 2012.

Tanto premesso il ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c. ovvero ex art. 153 c.p.c., comma 2, di essere rimesso in tetinini per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di merito depositata il 2 luglio 2001 e, nel caso di accoglimento di detta istanza, ha chiesto l’accoglimento del proposto ricorso per cassazione.

Hanno resistito con controricorso F.A. e F.S., quali eredi di F.A. e F.L..

Gli intimati P.G. e S.L. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Rileva la Corte che il ricorso è inammissibile per essere stato tardivamente proposto con atto notificato il 25 ottobre 2013 avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2385/01 depositata il 2 luglio 2001.

Ritiene il Collegio che non sussistono le condizioni per accogliere l’istanza di rimessione in termini proposta contestualmente al predetto ricorso, in quanto ben avrebbe potuto il Comune attivarsi al riguardo quanto meno subito dopo la notifica della detta sentenza in forma esecutiva, effettuata nei suoi confronti, in base a quanto rappresentato dallo stesso ricorrente, in data 29 gennaio 2003, ovvero, a tutto voler concedere, subito dopo aver ottenuto, in data 14 aprile 2003 (v. ricorso p. 21), la certificazione in virtù della quale sostiene l’involontarietà della sua contumacia. Ed invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare e come va in questa sede ribadito, la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184-bis c.p.c. (abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46), quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153 c.p.c., comma 2, tuttora vigente, presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass. 11/11/2011, n. 23561).

2. Il ricorso deve essere, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ìn misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2016

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