Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25486 del 26/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.26/10/2017),  n. 25486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI ENRICO – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15494-2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE,

49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentato e

difeso dagli avvocati DANILO BUONGIORNO e FABRIZIO BINI;

– ricorrente –

contro

FCA ITALY SPA, (già FIAT AUTO SPA e già FIAT GROUP AUTOMOBILES

SPA), in persona del Procuratore Speciale, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 47, presso lo studio RUCCELLAI &

RAFFAELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO TODARO ed

ENRICO ADRIANO RAFFAELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1241/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO

SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31/3/2016 la Corte d’Appello di Milano ha respinto il gravame interposto dal sig. C.G. in relazione alla pronunzia Trib. Milano n. 12600 del 2013, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dalla società Fiat Auto s.p.a. (poi Fiat Group Automobiles s.p.a.) di risarcimento dei danni subiti in relazione a fatture false aventi ad oggetto l’inesistente esecuzione di lavori di manutenzione e riparazione di autovetture ad essa addebitati in quanto asserita mente coperti dalla garanzia del costruttore.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la FCA Italy S.p.a., che ha presentato anche memoria.

E stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite proposta ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione o falsa applicazione” di “norme di diritto… in relazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in fase di indagine senza la garanzia del contraddittorio sulla non coerenza delle stesse e sulla mancanza di conferma in sede dibattimentale”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2^ motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 2947 c.c. e del “regime della successione della Legge nel tempo in relazione alla prescrizione”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 2055 c.c.; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso è inammissibile.

I motivi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente pone a suo fondamento atti del giudizio di merito (in particolare alla “citazione 24/3/2009”, alla “querela”, al “decreto di archiviazione della “notitia criminis””, alla sentenza del giudice di prime cure, al’atto di appello, agli “atti di causa (pag. 6 e 7 comparsa di costituzione 1^ grado, pag. 11 atto di appello)”, alle “dichiarazioni del P.”, a “quanto indicato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino (doc. 1)”; alla “propria nota del 9 aprile 2003”, alla “condotta del D.M.”, alle “parole della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (sub doc. 2)”), limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle.1e3deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Deve ulteriormente porsi in rilievo che il ricorrente inammissibilmente prospetta invero doglianze di vizi motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’erroneità, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione o l’omesso e a fortiori erroneo esame di determinati elementi probatori (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 20.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017

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